Quella di Alice Channer da Quartz Studio a Torino è la prima personale italiana, post-Brexit, di un’artista consolidata che, oltre ad aver preso parte alla 55esima Biennale di Venezia, quella del Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni, ha esposto in importanti istituzioni, europee e non. Attraverso una pratica dalla chiara vocazione internazionale, e che media tra due polarità interdipendenti legate al doppio filo che tiene insieme natura e tecnica-tecnologia, Channer performa l’oggetto scultoreo sottoponendolo a una serie multiforme di variabili.
Una piccola scultura in alluminio cromato, Worms (2021), ci accoglie in uno spazio all’interno del quale l’orchestrazione del display sottende una scelta deliberata e molto chiara: ciò che si apre davanti allo sguardo è un insieme di tre lavori, prodotti appositamente per la mostra, che esprimono con puntualità il lessico e i lemmi propri della ricerca scultorea di Channer. Soft Sediment Deformation (Granite Bodies) [2020], Worms, Urn (Second Rebirth) [2020, 2021, ongoing] sono tre lavori che, con le loro specificità, rimandano a un corpo assente e, allo stesso tempo, presente. Il dettaglio dei titoli, puntuali nel loro carattere descrittivo, ma anche fortemente evocativi, non è affatto accidentale.
Una conchiglia fossile, una superficie squamosa che richiama la pelle di un rettile così come i profili frastagliati di un paesaggio sedimentato stampato al di sopra di un tessuto in crêpe di seta, le fusioni di due rami di rovo incastonati nella sabbia di silice sono gli indici di una poetica che fa della scultura un medium articolato attraverso uno scambio di pieni e di vuoti, di ombre portate e di concrezioni evidenti, in un rimando costante alla duplice funzione a cui questi lavori assolvono.
Da un lato, le sculture e gli interventi, sia a terra che a parete, occupano uno spazio svolgendo quel ruolo eminente di oggetti presenti in tutta la loro evidenza plastica, anche quando, come nel caso del tessuto, l’aspetto scultoreo è subliminale, suggerito allo sguardo che ne accoglie la consistenza fittiziamente tridimensionale. Dall’altro, Channer è in grado di rendere questi interventi degli indizi di una ricerca più ampia, in cui duro e morbido, positivo e negativo, calco e fusione divengono un tutt’uno attraverso una visione organica in cui si sedimentano sia l’oggetto che la sua memoria.
Fusioni in sabbia, alluminio cromato, tessuto lavorato e cucito sono soltanto alcune delle tecniche e dei materiali attraverso cui si dipana un’indagine ancorata all’attualità e alla volontà di sondare le potenzialità di un lavoro che persegue un’ottica processuale evidente. Piuttosto che fermare un istante, Alice Channer dilata lo spazio con le proprie incursioni scultoree, costantemente sottoposte alle variabili intrinseche al loro situarsi nel contesto.
C’è un aspetto evidente che ha a che fare con la conoscenza dei materiali e delle tecniche artistiche: anche nel delegare la produzione delle proprie fusioni in alluminio, Channer possiede una ferma consapevolezza della tecnica e, attraverso di essa e con essa, del processo integrato nell’opera e parte sostanziale di essa.
La sua è un’“arte processuale del XXI secolo” in cui si uniscono pratica e teoria, ricerca sui materiali e costante spostamento di senso. Come osserva Eva Brioschi nel testo critico che accompagna la mostra “insieme al concetto di unità e determinatezza Channer mette in questione anche quello di autorialità. Chi produce cosa? Tutto si muove in una costante e continua trasformazione, volontaria e involontaria, predeterminata e accidentale. Ogni oggetto, ogni forma è il prodotto di un lavoro a cui partecipano processi organici e industriali, mutazioni genetiche e stratificazioni temporali e spaziali.”
Urn (Second Rebirth) [2020, 2021, ongoing], costituita da un box per fusioni in sabbia preso in prestito dalla Fonderia Artistica Campagner – che si è occupata della produzione della fusione in alluminio – posta così com’è quasi in asse con l’ingresso dello spazio, è una scultura che si colloca in una posizione intermedia, occupa una soglia svolgendo una funzione duplice nell’introdurre la mostra e nel congedarla. Essa è un’urna, un guscio in sabbia di silice che accoglie al proprio interno le fusioni in alluminio di due rami di rovo; in questo dittico scultoreo, le spine arcuate imbrigliate nella sabbia di fusione, e il loro negativo, innescano una crasi generativa che contrasta la durezza dei materiali con il referente naturale costretto in un’impasse.
Soltanto liberando i rovi dalla sabbia e dalla gabbia in ferro che li circonda, il processo alla base del dittico sarà finalmente compiuto: una dinamica collaborativa in cui entra in gioco la dimensione processuale, e una finalizzazione dell’opera che concretamente emerge dallo stampo per ricollocarsi di nuovo nello spazio, e mutare ancora una volta la propria funzione.
Alice Channer – Worms
Quartz Studio, Torino
Fino al 8 gennaio 2022
Testo critico di Eva Brioschi