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TERZA MOSTRA: TRE COSE. Intervista con Francesco Arena

Pochi ma rilevanti e poetici elementi quali l’oggetto, la parola e l’immagine, ridisegnano e definisco lo spazio ambientale nelle sedi della Galleria Raffaella Cortese a Milano. Con Terza mostra: tre cose Francesco Arena (Mesagne, 1978) interviene facendo dialogare brani figurativi, simbolici e materici con i cardini architettonici e portanti nell’ambito della rappresentazione dello spazio costruito, […]

Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi
Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi

Pochi ma rilevanti e poetici elementi quali l’oggetto, la parola e l’immagine, ridisegnano e definisco lo spazio ambientale nelle sedi della Galleria Raffaella Cortese a Milano. Con Terza mostra: tre cose Francesco Arena (Mesagne, 1978) interviene facendo dialogare brani figurativi, simbolici e materici con i cardini architettonici e portanti nell’ambito della rappresentazione dello spazio costruito, come il piano orizzontale del pavimento e quello verticale della parete. 
All’intero di ogni luogo le singole opere, che assumono titoli emblematici come Bandiera linearizzata (Civico, 7), Sentenza in sei metri da zero a sessantasei centimetri (Civico, 1) e Orizzonte lasco (Civico, 4), sprigionano in maniera dialettica delle caratteristiche differenti, dove il valore formale e intimistico di questi atteggiamenti, si trasforma in un inedito archetipo contemporaneo. In occasione dell’attuale esposizione, visibile fino al prossimo 18 novembre 2021, abbiamo dialogato l’artista pugliese.

Giuseppe Amedeo Arnesano: Andiamo per ordine temporale, qual è la connessione tra questi ultimi lavori e quelli presentati da BASE nel 2019 a Firenze nella mostra intitolata: Una cartolina, un passo, una linea e una pietra?

Francesco Arena: In entrambe le mostre le varie opere cercano un dialogo tra di loro anche se in tutti e due i casi le opere non sono state pensate per essere esposte insieme, a unirle è stata la necessità mentre in comune hanno tutte la caratteristica di essere mie cose.

GAA: Cosa vuol dire scomporre, annullare e decostruire simbolicamente la bandiera americana e ridare a quell’oggetto di rappresentazione un altro tipo di funzione, quasi architettonica, poiché posizionata per terra lungo una diagonale di undici metri. Destrutturare dunque, vuol dire costruire un nuovo ordine, un nuovo linguaggio?

FA: Ci sono opere che nascono come un immagine già finita nel senso che la suggestione che le informa e l’opera terminata e installata nello spazio sono la stessa cosa, altre invece partono da una suggestione/innesco per poi effettuare una serie di passaggi che portano all’opera compiuta così come la vediamo in mostra, l’effetto palla di neve per intenderci, questo non vuol dire che l’opera durante questo processo diventi “più grande” fisicamente o “più complessa” anzi spesso è una sorta di effetto palla di neve al contrario e l’innesco è qualcosa di grosso che durante il suo percorso si assottiglia quasi srotolandosi per arrivare al suo nocciolo. Bandiera linearizzata nasce dal desiderio di fare una linea da un qualcosa che non era una linea, da qui tutta una serie di riflessioni mi hanno portato alla scelta della bandiera americana come oggetto da smontare e linearizzare, è come un disegno nel quale le linee/segni di cui è fatto si spostano dalla loro collocazione per tornare a essere una forma primaria. Nel caso della bandiera, parlando di un oggetto con una sua massa, il suo disporsi in diagonale nello spazio della galleria è un tentativo di dialogo e di accomodamento con lo spazio che la ospita.

Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi
Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi

GAA: Liberarsi delle strutture, in questo caso la bandiera, è inteso come un atto post- strutturalista e di liberazione?

FA: La bandiera perde la sua forma per assumerne un’altra, lascia una struttura ordinata per seguire un altro ordine ma solo apparentemente perché nel rimontare la bandiera come linea ho rispettato lo stesso ordine dei componenti così come sono ordinati nell’oggetto di partenza, la struttura è sempre presente anche quando sembra non esserci, la struttura da leggibilità alle cose e alle idee, le rende reali nel loro essere completamente irreali. Un segno è cancellato da un altro segno ma è pur sempre un segno.

GAA: Nella trave a doppio T è incisa la frase Le cose vivono solo nel presente, il passato e la memoria sono una prerogativa del genere umano. L’opera mi riporta a una serie di domande che, secondo Foucault, avrebbero incuriosito Kant, ovvero: «Che cos’è la nostra attualità? Che cosa accade attorno a noi? Che cos’è il nostro presente?».  Come si configura questo tuo lavoro in relazione alle domande del filosofo?

FA: La trave con la sua frase abita un perenne presente non diverso dal nostro, la differenza è che la trave e gli oggetti in generale hanno una loro felicità nel presente a differenza nostra che non possiamo fare altro che vivere proiettati nel futuro o nel passato e quindi nella speranza o nel rimpianto. Siamo troppo mobili per fruire il presente, per quello serve staticità. Un personaggio di un libro di Thomas Bernhard diceva che arrivando in una città pensava già a quella successiva e non godeva nulla di quella in cui era, avrebbe voluto che non fosse così ma non poteva farci nulla. 

GAA: Nell’opera Orizzonte lasco, installata nello spazio al civico 4, è presente la fotografia di Thomas Bernhard pubblicata a doppia pagina del libro. Ritorna un’altra volta il tema del doppio, della linea che delimita e segna un margine netto che sia esso ideale o figurato. Cosa ti ha portato a indagare l’opera dello scrittore tedesco e come sei arrivato alla formalizzazione dell’opera in mostra?

FA: Orizzonte lasco è una di quelle opere senza effetto palla di neve, è così come la vedi. Quando ho visto la foto nelle ultime pagine del libro ho pensato che quell’orizzonte doveva uscire dai limiti dell’immagine e riempire lo spazio. Lo scrittore padroneggia le parole, il ripetersi di un pensiero che si arrotola su se stesso e poi si srotola per poi arrotolarsi di nuovo come uno yo-yo, Bernhard tende a riempire lo spazio, non ci sono suddivisioni in capitoli, è un flusso costante che riempie sinché c’è spazio proprio come un orizzonte su un panorama aperto riempie tutto anche se è solo una linea. 

Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi .
Francesco Arena – Terza Mostra Tre Cose, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano 2021 – Photo Roberto Marossi