Body Snatchers (The House)non è solo una mostra collettiva ma un progetto corale che ha visto la collaborazione di una rete di professionisti uniti per la realizzazione di un’idea comune, o meglio, così come viene esplicitato nel comunicato stampa: di un’unica opera/ esperienza collettiva. Like A Little Disaster e PANE project curatori della mostra, oltre agli artisti, hanno inviato REPLICA a realizzare insieme allo studio di design Julia una pubblicazione presentata in due diverse versioni: un’edizione numerata e tirata in quaranta esemplari, che contiene degli interventi unici e manuali fatti sul libro e una edizione aperta che offre la possibilità a tutti coloro che vogliono ricevere il volume di ordinarlo al prezzo di stampa attraverso lulu.com on demand.
Mai come in questo difficile anno di confinamento sociale riflettere sul corpo è diventa un’urgenza doverosa da affrontare, inoltre la modalità con cui è stata pensata la fruizione della mostra trasforma in segno positivo l’esperienza della solitudine fisica e sociale che abbiamo globalmente vissuto. Body Snatchers (The House) diventa l’occasione per vivere un’esperienza immersiva e meditativa, al pubblico, infatti, viene data la possibilità di accedere uno alla volta e in totale isolamento.
L’esperienza della mostra, come dichiarato dai curatori e dalla filosofa Giusi Allieri che ha contribuito alla stesura del testo critico «si trasforma da evento sociale e mondano in una dimensione privata in cui la visione diventa uno spazio per l’autoriflessione».
Il visitatore isolato nello spazio della galleria si fa strada tra le opere di Jaana-Kristiina Alakoski, Benni Bosetto, Reilly Davidson, Giulia Essyad, Adham Faramawy, Cleo Fariselli, Chiara Fumai, Jason Gomez, Ellie Hunter, Uffe Isolotto, Gregory Kalliche, Lito Kattou, Lucia Leuci, Aniara Omann, Catherine Parsonage, Giuliana Rosso, Namsal Siedlecki, Oda Iselin Sønderland, Federico Tosi e di Bruno Zhu.
Body snatchers (The House) come dichiarano nel testo critico della mostra «è un progetto iper-privato, forse puramente speculativo e fenomenologico, che conduce il visitatore all’interno di una bolla contemporaneamente familiare e aliena. All’interno di uno scenario parallelamente pre e post umano, il visitatore si ritrova circondato da numerose presenze corporee presumibilmente umane (ma nessuno può dirlo con certezza, nessuno può confermarlo). Un affastellarsi di corpi, di loro rappresentazioni, di performatività, trasformazioni, frammentazioni e, naturalmente, anche della loro assenza. […] L’imposizione della pars destruens si compenetra in una ristrutturazione del senso che, dal canto proprio, impone la propria urgenza. Non è ammesso distogliere lo sguardo; non è ammesso voltarsi da un’altra parte: l’opposto presenta i medesimi caratteri e la medesima urgenza».
Il corpo è qui declinato nella sfera del mostruoso e dell’informe, si tratta di una fisicità che strasborda dai suoi limiti e confini diventano qualcosa di inquietantemente altro che ci costringe alla visione di immagini inquietanti e perturbarti che agiteranno la nostra insonnia.
Le categorie binarie non sono in grado di categorizzare in modo esaustivo, infatti è qui che «la linea di confine tra natura e contronatura si palesa nella sua labilità e indistinzione, dando luogo a un effetto di disorientamento nella lettura e nell’interpretazione di ciò che ci viene offerto dalla percezione, che si configura come un senso di disagio verso un corpo che, a livello cognitivo, non è possibile discernere immediatamente come vivo o morto, reale o fantasmatico, un corpo tridimensionale e antropomorfo che confonde, cioè, le certezze di categorizzazione del reale e mescola ambiguamente le nozioni, esperite necessariamente come binarie – oppositive – di vita e di morte. […] Parti del corpo e tagli di carne non sempre identificabili costringono lo spettatore a un incontro viscerale con oggetti familiari, ma anche alieni. Un cadavere umano non è di per sé abietto, ma l’incontro con esso può certamente generare aberrazione. Ma anche attrazione. Una ricalibrazione della propria relazione con l’oggetto coinvolge il corpo mentre cerca di valutare se l’oggetto estraneo è una fonte di minaccia o fascinazione, forse entrambe, elementi coappartenenti di una zuppa tossica che ingenera seduzione e interesse carnale al disgusto, fantasie distopiche di voyeurismo e violenza, allusioni viscerali e scultoree, narrazioni immaginate di invasioni corporee; il grottesco dilagante, con corpi elastici, deformi o mostruosi. La possibilità di metamorfizzare la propria carne e la propria immagine – di permearne le soglie – è sia intossicante che ansiogeno». (Like A Little Disaster e Giusi Allieri)
Il volume Body Snatchers edito da REPLICA nella versione bilingue italiano e inglese fa da pendant all’esperienza visiva della mostra. La selezione eterogenea dei testi di Lisa Andreani, Chiara C. Siravo, Lucia Leuci, Julie Grosche, Reilly Davidson, Like A Little Disaster e me medesima spaziano dal racconto autobiografico, al saggio, al collage visivo di immagini e testo. L’accurato progetto grafico realizzato da Valerio Di Lucente riflette sul fine ultimo del design: l’atto del leggere, il libro come oggetto non solo come esperienza di conoscenza ma come esperienza tattile. Rendere visibile l’atto del leggere attraverso il gesto dello sfogliare mentre le dita sporche lasciano la loro traccia.
In ultimo va ricordato che Body Snatchers (The House) è un naturale proseguimento della mostra Body Snatchers (The Church) che attraverso i linguaggi della videoarte internazionale vuole indagare il tema del corpo dopo più di un anno di distanziamento fisico: « Man mano che cresce il desiderio di contatto fisico con tutto ciò che è rimasto fuori, escluso dalla nostra bolla intima, il confronto con immagini piatte diventa sempre più doloroso. Non ci resta che accarezzare lo schermo e accettare il valore dell’essere immateriale.». La mostra curata da Like A Little Disaster & PANE projec è anch’essa pensata per uno spettatore alla volta ed è allestita nella suggestiva chiesa settecentesca di San Giuseppe a Polignano a Mare. In questo spazio secolarizzato e sacro allo stesso tempo sono esposte le opere video di Ed Atkins, Petra Cortright, Julie Grosche, Oliver Laric, Heather Phillipson, Laure Prouvost, Bárbara Wagner e Benjamin de Burca, Jala Wahid.