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Tre volte Giappone a Palazzo Reale

[nemus_slider id=”59118″] — Paesaggi dalle tonalità chiare e piatte, visi elegantissimi sagomati da linee scure, mani delicate chiuse in gesti erotici, mari schiumosi riassunti nel fragoroso scontro cromatico di blu e bianco, templi sacri chiusi in linee geometriche che ne restituiscono la compostezza, ponti vari sopra ruscelli appiattiti su carte ingiallite, cascate dalla freschezza pari […]

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Paesaggi dalle tonalità chiare e piatte, visi elegantissimi sagomati da linee scure, mani delicate chiuse in gesti erotici, mari schiumosi riassunti nel fragoroso scontro cromatico di blu e bianco, templi sacri chiusi in linee geometriche che ne restituiscono la compostezza, ponti vari sopra ruscelli appiattiti su carte ingiallite, cascate dalla freschezza pari all’indaco che le crea, case del piacere con piccole donne voluttuose, l’imperioso e sacro Monte Fuji, foreste verdastre e super intricate, cicogne incantevoli e quaglie incantate dal fragore della natura, … Tutto questo è il soggetto di quei disegni sofisticati e leggeri nati in Giappone tra Seicento ed Ottocento, quando l’aristocrazia guerriera e samuraica perde il suo potere e la borghesia, legata al commercio e al mercato, acquista prestigio divenendo lo strato sociale più cospicuo ed esigente di questo periodo. Siamo nell’ Epoca Edo (1615-1868), che, come indica il nome stesso, fu intimamente legata alla nascente capitale, appunto, di Edo (Tokyo). Va da sé che le opere nate in questo periodo riflettono e rappresentano i gusti di questa stessa cerchia di persone, andando a delineare una precisa produzione pittorica e silografica, chiamata ukiyoe. Questo termine, originariamente legato al pensiero buddista che ne diede una sfumatura negativa nel significato di fuga dai piaceri terreni, assume successivamente il significato attuale di pieno godimento delle offerte della vita, senza troppo preoccuparsi della fugacità della stessa. La traduzione letterale del termine è “mondo fluttuante”, che dà l’idea di una condizione fluida e ariosa, quasi ignara, o semplicemente indifferente, al tempus fugit che impera sul pensiero occidentale.

In occasione del 150esimo anniversario del primo Trattato di Amicizia e Commercio tra Italia e Giappone, stipulato il 25 agosto 1866, Palazzo Reale presenta una mostra dedicata ai tre massimi rappresentanti di questo genere artistico, Katsushika Hokusai (1760-1849), Utagawa Hiroshige (1797-1858) e Kitagawa Utamaro (1753-1806). Questi tre artisti hanno lanciato quindi delle vere e proprie mode legate all’immagine, che, anno dopo anno e secolo dopo secolo, sono state ripetutamente emulate, rendendo leggendarie alcune opere all’interno dell’immaginario collettivo: è il caso de La grande onda o delle Trentasei vedute del monde Fuji di Hokusai, forse il più celebre dei tre.

Come ha spiegato la curatrice della mostra Rossella Menegazzo, la mostra “con queste 200 silografie policrome dalle dimensioni non molto grandi intende spiegare le opere non solo da un punto di vista estetico, ma anche culturale, come rappresentazione di un preciso mercato dell’immagine. Bisogna ricordare anche che tutta la cultura pop nasce da queste immagini coloristiche e avvolgenti del Giappone, diverse dall’altra faccia dell’iconografia nipponica, rappresentata da immagini monocromatiche e con linee nere, legate alla cultura samuraica”. Sicuramente fondamentale è stata l’apertura forzata dei porti giapponesi alle potenze occidentali a metà Ottocento, determinando la diffusione europea del giapponismo, come scoperta e approfondimento del mondo giapponese che influenzerà le prospettive artistiche ed iconografiche di artisti quali Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec in una Parigi di grande fermento artistico e culturale.

E come mai in mostra sono state esposte solo silografie policrome? “È una scelta di concetto: la silografia è la vera rivoluzione tecnica ed estetica dell’epoca Edo, che ha consentito la diffusione capillare dell’immagine e la divulgazione di certi canoni estetici, culturali e geografici che porteranno il Giappone a percepirsi come nazione. In un’epoca in cui venne coinvolta anche una fetta di popolazione interessata a comprare stampe piccole, adatte a decorare case comuni e non castelli o palazzi”.

Gli ukiyoe sono sempre diversi, verticali o orizzontali, a forma di ventaglio, in formato di libro, come piccoli fogli per decorare le pareti o i paraventi, in serie di 12 per costituire un calendario, talora come elementi di una collezione ampia e complessa, da maturare nel tempo. “Arrivano in Europa come carta straccia appallottolata per imballare ceramiche mandate da Tokyo a Parigi. All’epoca erano paragonati più ai rotocalchi di oggi che a opere d’arte”.

L’intera pratica di Hokusai, Hiroshige e Utamaro riflette molto bene le vicende e i rapporti tra artisti, editori, mercato librario e pubblico, in linea con precise esigenze e richieste del mondo editoriale del tempo, che si aspettava di trovare su carta soggetti precisi, luoghi e volti ben noti al pubblico, temi e personaggi alla moda. “I maestri erano accompagnati da un editore che investiva, credeva nel progetto, sceglieva i soggetti, l’intagliatore e lo stampatore, configurando un preciso lavoro di equipe rispondente ad una ben identificata richiesta”. Non per niente questi artisti si sono cimentati in imprese molto simili tra loro a livello di contenuto, sebbene diverse per qualità, imponendosi ciascuno per un preciso tema svolto con un connotato valore espressivo. Basti pensare alle Trentasei vedute del monte Fuji, inaugurate da Hokusai e poi riprese dall’altro grane paesaggista Hiroshige, senza però la medesima forza. Quest’ultimo ha invece consacrato la serie delle Cinquantatré stazioni del T?kaid?, poi imitate da più artisti senza mai raggiungere lo stesso risultato. Esemplare, invece, rimane il caso di Utamaro per le sue donne, offerte con grande abilità ed estrema eleganza.

Nella mostra abbiamo messo in paragone i maestri sugli stessi temi, su cui poi erano anche rivali: rivali erano gli editori, come oggi, e gli artisti, come oggi. I giapponesi seguono quello che è già noto e conosciuto; tutto ha un legame con la letteratura passata e la natura illustrata è sempre identica a se stessa, secondo canoni ben specifici. C’è una ripetitività continua su cui si devono confrontare e commentare editori e artisti” (R.M.). Il percorso espositivo è suddiviso in cinque sezioni: Paesaggi e luoghi celebri: Hokusai e Hiroshige; Tradizione letteraria e vedute celebri: Hokusai; Rivali in “natura”: Hokusai e Hirosige; Utamaro: bellezza e sensualità; I Manga: Hokusai insegna, ognuna delle quali offre l’interpretazione dei tre artisti sulle tematiche indicate dai titoli stessi. 

Katsushika Hokusai Il fiume Tama nella provincia di Musashi,    dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji,    1830-1832 circa Silografia policroma,   24,  4 x 37,  5 cm Honolulu Museum of Art
Katsushika Hokusai Il fiume Tama nella provincia di Musashi, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 circa Silografia policroma, 24, 4 x 37, 5 cm Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige 3 – Kawasaki. Il traghetto di Rokugô,   dalla serie Cinquantatré stazioni di posta del Tôkaidô,    1848-1849 circa Silografia policroma,   25 x 37,  2 cm Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige 3 – Kawasaki. Il traghetto di Rokugô, dalla serie Cinquantatré stazioni di posta del Tôkaidô, 1848-1849 circa Silografia policroma, 25 x 37, 2 cm Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige “Libellula e crisantemi”,   1837-1838 circa Silografia policroma,   11 x 16,  4 cm Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige “Libellula e crisantemi”, 1837-1838 circa Silografia policroma, 11 x 16, 4 cm Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige 41 – Narumi. Negozi che vendono i celebri tessuti shibori,   dalla serie Cinquantatré stazioni di posta del Tôkaidô,   1848-1849 circa Silografia policroma Honolulu Museum of Art
Utagawa Hiroshige 41 – Narumi. Negozi che vendono i celebri tessuti shibori, dalla serie Cinquantatré stazioni di posta del Tôkaidô, 1848-1849 circa Silografia policroma Honolulu Museum of Art
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