Panta Rei – Vittoria Gerardi, Maria Laet, Lucas Simões e Rodrigo Torres | Galleria Anna Marra, Roma

“La forma non è soltanto un elemento fisico: è molto altro. Definisce meccanismi legati alla formatività, cioè al modo di formare la realtà, dunque la forma ha a che fare con tempo e spazio. Ragionare sulla forma per un artista significa anche - e forse - soprattutto questo”. Marina Dacci
17 Dicembre 2021
Lucas Simões, Untitled [desenho-designío], 2020, steel and paper, 30 x 21 x 5 cm (variable)
Panta Rei – Vittoria Gerardi, Maria Laet, Lucas Simões e Rodrigo Torres | Galleria Anna Marra, Roma – Installation view – Foto Simon d’Exéa

“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”: che da questo frammento discenda, più o meno con certezza di attribuibilità, la proposizione con cui gli eraclitei hanno espresso l’eterno divenire della realtà è cosa certamente nota. 

Panta Rei è anche il titolo scelto per la mostra collettiva curata da Marina Dacci negli spazi della Galleria Anna Marra che propone il lavoro di quattro artisti – Vittoria Gerardi, Maria Laet, Lucas Simões e Rodrigo Torres – i quali, per affinità e divergenze, attuano in potenza, attraverso le loro opere, un’estetica trasformativa in cui entrano in gioco essenza ed esistenza, forma e sostanza.

Come scrive Marina Dacci nel testo curatoriale: “La forma non è soltanto un elemento fisico: è molto altro. Definisce meccanismi legati alla formatività, cioè al modo di formare la realtà, dunque la forma ha a che fare con tempo e spazio. Ragionare sulla forma per un artista significa anche – e forse – soprattutto questo. È possibile farlo mostrando cosa accade in natura e accettando l’entropia della materia vivente come regola della vita, o portando dentro l’opera le categorie di un tempo diacronico e sincronico, attraverso sovrapposizioni e ripensamenti, oppure decostruendo e ricostruendo il soggetto dell’opera da consegnare allo sguardo, o evidenziando le sottrazioni/distorsioni di senso, frutto di cambiamenti culturali oppure, infine, lasciando che chi guarda possa entrare in contatto con l’opera modificandone gli aspetti di formatività”.
Le fotografie di Vittoria Gerardi, dimentiche della funzione documentarista esclusiva accordata alla macchina fotografica e al supporto, piegano il medium a uno scopo che oltrepassa il limite funzionale dell’immagine. Territori desertici (le stampe ai sali d’argento della serie Confine),  in una declinazione tutta personale del paesaggio, descrivono una linea che non è più la linea d’orizzonte ma diviene un’intercapedine, l’ombra e il confine, la traccia e la memoria. A partire da una rielaborazione del negativo, Gerardi è in grado di restituire un’imprimitura fantasmatica in cui le tracce esistenziali si congelano sulla superficie sensibile della carta fotografica, spesso con interventi vicini al collage e all’assemblaggio (Aletegrafia, una serie di stampa ai sali d’argento su cui l’artista interviene applicando fili d’erba, cera e argilla ).

Maria Laet, Braid (Tribute to Tunga), 2017-2020, video, sound 2’10”, edition of 5 + 2AP, courtesy the Artist, A Gentil Carioca, Galleria Anna Marra
Maria Laet, Actividade Interna, 2017, drawing, ink on blotting paper, 75 x 100 cm, courtesy the Artist, A Gentil Carioca, Galleria Anna Marra

Una medesima sensibilità per i luoghi e il paesaggio, o meglio verso la Natura, è ravvisabile anche nei lavori di Maria Laet. L’artista, che impiega una pratica multidisciplinare, molto spesso correlata ad azioni e interventi che si svolgono sia in ambienti pubblici che in spazi domestici, è presente in mostra, tra gli altri lavori, con un polittico di incisioni xilografiche (Sob a pele, 2020), un disegno su carta assorbente (Actividade interna, 2017) e un video (Braid [Tribute to Tunga], 2017-2020) che sembra quasi richiamare alla mente il famigerato fiume epicureo.
Se per Laet il rapporto con il paesaggio è intimo e raccolto, intuitivo nell’apprendere da esso i segreti fugaci di un’esistenza simbiotica con la Natura, per Lucas Simões la continuità con lo spazio è costruttiva, specificamente legata alla categorie di tempo e di luogo. Simões, che ha una formazione da architetto, impiega materiali malleabili e fragili, come la carta, e materiali duri e freddi, come il cemento e l’acciaio, per dar vita a lavori in cui, attraverso una palette che dai bianchi della carta vira verso i grigi e i neri dei materiali industriali, l’apparente robustezza della superficie viene impressa di tutto ciò che le sta attorno. Rifrazioni di luce, spostamenti d’aria e forza gravitazionale imprimono le lievi torsioni della carta (Untitled [desenho- designìo], 2019), accentuando la decisa vena costruttiva di ciascun lavoro (Plano e Traço [Plan and Line], 2019).
Artificio e natura, infine, sono i due aspetti su cui si imposta la dicotomia del lavoro, ironico e amaro, di Rodrigo Torres; Casquinha (2019), Tipo Exportação (2017), Neolitico Express (2018) sono tre sculture ceramiche in cui la mimesi raggiunta attraverso l’impiego della pittura acrilica sulla ceramica e il finto marmo dipinto su legno trasportano in una dimensione evanescente in cui iperconsumismo e consunzione rispecchiano un rapporto viziato con la natura, aprendo a interrogazioni di tipo sociale e politico strettamente legate alla oggettificazione consumistica e ai suoi feticci. 
Un percorso che parla di trasformazione, a partire da una prospettiva ampia e stratificata, a riguardare forme sensibili e materiali che, in un’ottica organicistica, investono l’esistenza e la conoscenza estendendo le possibilità interne all’arte non soltanto di evocare e rievocare, ma anche e soprattutto di parlare del flusso costante dell’esistenza, di cambiamento. 

Vittoria Gerardi, Aletegrafia A35, 2020, gelatin silver paper, paper developer, clay, wax, resin, blades of grass, 40 x 27 cm, courtesy the Artist, mc2gallery, Galerie Thierry Bigaignon, Galleria Anna Marra
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