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Il “Bestiario de Lengüitas” di Mercedes Azpilicueta al Museion

Quattrocento modi per insultare una donna era l’oggetto della performance ‘ye-gua-ye-ta-yu-ta’ che Mercedes Azpilicueta aveva recitato in dialetto castellano rioplatense al Museion di Bolzano in occasione della mostra Somatechnics. Transparent travelers and obscure nobodies, curata da Simone Frangi nel 2018.Il...

Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel

Quattrocento modi per insultare una donna era l’oggetto della performance ‘ye-gua-ye-ta-yu-ta’ che Mercedes Azpilicueta aveva recitato in dialetto castellano rioplatense al Museion di Bolzano in occasione della mostra Somatechnics. Transparent travelers and obscure nobodies, curata da Simone Frangi nel 2018.
Il ritorno dell’artista nel museo altoatesino avviene in occasione di Bestiario de Lengüitas, prima personale dell’artista in un museo italiano, frutto di un progetto internazionale in collaborazione con CentroCentro, Madrid e CAC, Brétigny.
Ricomposte in una mostra dall’artista e dalla curatrice Virginie Bobin sono le prove di una pièce di personaggi usciti dal pantheon personale dell’artista: donne di famiglia, nonne di fantasia e muse artistiche, come la Mala-Mama, una Sorella che vive nel limbo e una Maestra/Guardiana del futuro. Alcuni video tutorial, Inala l’odore delle viscere di lattice e lascia che ti crescano dentro, trasmessi da televisori vintage addobbati anche con fiocchi, spiegano come mantenere il caos e l’eccesso – in un mondo che richiederebbe l’opposto – tramite l’esecuzione di gesti inefficienti, eseguiti da “vagabondi dell’infra-mondo”.
La sceneggiatura, la cui prima stesura avviene a Parigi nel 2017, è tradotta in una drammaturgia spaziale alimentata da workshop, collaborazioni e prove corali. Le opere lasciate su questo palcoscenico – disegni, costumi, sculture, installazioni audio e video, carta da parati e un coro di personaggi grotteschi- immaginano modalità alternative di abitare il mondo e di esserne influenzate, anche recuperando sistemi di sapere obsoleti, traduzioni malriuscite e la poesia in stile “neobarroso” di Perlongher, in un omaggio a morti, discriminati ed esiliati.
La scrittura della pièce è alimentata dalla guida spettrale di La dame à la licorne – ciclo di arazzi fiamminghi al Musèe de Cluny a Parigi – dell’artista femminista Léa Lublin e del poeta, sociologo e attivista gay Néstor Perlongher. La integrano conversazioni e sessioni di lavoro con la designer Lucile Sauzet, la graphic designer Vanina Scolavino, l’architetta Ana Ausín, la performer Emmanuelle Lafon, le registe Hélène Harder e Quiela Nuc, la coreografa e ballerina Pauline Simon, l’artista e programmatore Julien Jassaud, la ricercatrice Ana Roquero, vari coristi di Madrid, e gruppi di studenti, visitatori e visitatrici.
Il percorso espositivo è articolato in zone che non richiedono una fruizione in un senso prestabilito e lineare, proprio in funzione dell’ascolto della polifonia di lingue e voci presentata da questo bestiario magico e meraviglioso, che nel complesso suggerisce modalità di ascolto che rinunciano alla trasparenza di significato: Percorri lo spazio come se indossassi un’armatura morbida.
Mentre ciascuna area è associata a un profumo, suggerendo una percezione sensuale del luogo, sono anche sparse nei testi presenti in mostra possibilità sinestetiche, quali “Annusa con la lingua!”, “Tocca con le orecchie!”, mentre un “Coro di Cadaveri” continua ad interrompere la pièce ridendo, tossendo o fumando.

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Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel 

Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel
Mercedes Azpilicueta, Mama’s Casting Spell, 2019, courtesy of the artist. Installation view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel

Nelle aree Assaggia il silenzio della formalina e Il giardino è presente, in forme diverse, l’immagine della cocciniglia, l’insetto le cui femmine – fecondate ed essiccate – erano utilizzate da Aztechi, Inca e Maya per produrre la tinta rossa detta carminio. Questa sostanza divenne per i conquistadores spagnoli base dell’industria dei coloranti e immensa fonte di guadagno, terza solo a oro e argento. Il controincantesimo è nel giardino botanico di Madrid, dove alcune danzatrici eseguono gesti misteriosi, riproposti nel video Mama’s Casting a Spell (2019), in cui sono violate le distanze (museali) che separano umani e piante, suggerendo il modo in cui l’addomesticamento della natura è riflesso nelle economie globali del sapere.
Diversi elementi della pièce, come in Il palcoscenico, sono realizzati in lattice naturale, prodotto dalla linfa degli alberi di hevea in Brasile, un materiale con applicazioni domestiche ed erotiche, oggetto di scambi transatlantici e dello sfruttamento indigeno.
In Ascolta il colore della lavanda quattro “arazzi” in seta naturale, diventano una sorta di gobbo per la performance. Concepiti come scene, seppur non seguano narrative specifiche, essi rappresentano una forma di sapere clandestino e discreto. Vicino ad essi è installato un video in cui il curatore argentino Javier Villa recita la sua versione dell’opera Dissolution dans l’eau (1978) di Lea Lublin, performance in cui un elenco di domande sulla condizione femminile venivano immerse nella Senna dal Pont Marie.
Guardano la scena alcune tappezzerie bianche, allestite con discontinuità, e decorate con disegni neri di corpi deformi, escrescenze, protesi e piante, a suggerire forme di “bodies-at-homeness” che riconsiderano significato e ruolo di “casa” “luogo” e “corpo”. Questi segni, disorientati da frecce che indicano direzioni multiple, sono copione e fondale per costumi-corpi.
Prima dell’opening della mostra, Azpilicueta ha utilizzato la ruta – pianta “che produce rotture”, con effetti protettivi e abortivi – per purificare lo spazio espositivo, in un tributo al sapere represso di levatrici e streghe, contro le gerarchie di conoscenza create sotto l’ordine del colonialismo europeo e nella riscoperta della magia nei gabinetti delle meraviglie. Il bestiario stesso è uno strumento di sapere proto-scientifico dimenticato, recuperato da Azpilicueta in una ricerca artistica che è “barocco del Nuovo Mondo”, elogio a “l’instabilità e alla proliferazione rispetto alla ricerca di una singola verità”.
Il palcoscenico di Bestiario de Lengüitas è stato usato da diversi personaggi, ciascuno dei quali vi ha eseguito prove e lasciato tracce, affinché le stesse potessero essere ascoltate e ritrasmesse, in una catena del custodire e tramandare, che, come i primi archivi del mondo – le memorie delle donne -,  era riportata “pazientemente da bocca a orecchio, da corpo a corpo, da mano a mano” (Trinh T. Minh-Ha, “Granma’s Story” in Woman, Native, Other: Writing Postcoloniality and Feminism, Indiana University Press, 1989, p.121).

Bestiario de Lengüitas
MERCEDES AZPILICUETA
A cura di Virginie Bobin
14 febbraio 2020 – 13 maggio 2020

Performance
23 aprile 2020, 19:00

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Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel 

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Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel 

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Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel 

Mercedes Azpilicueta, Bestiario de Lengüitas, exhibition view, Museion 2020. Foto Luca Meneghel
Mercedes Azpilicueta, Soft Armour II (Toxic Skin), Museion. Foto Luca Meneghel [Armatura morbida II (Pelle tossica) / 2018. Latex naturale, filo, legno di faggio, rame, argilla rossa / In collaboration with: Lucile Sauzet
Mercedes Azpilicueta, Museion 2020. Foto Luca Meneghel