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Locus Amoenus — Intervista con il curatore

Prosegue fino al 7 ottobre ad Ameno, piccolo comune cusiano, Locus Amoenus, la mostra collettiva a cura di Fabio Carnaghi realizzata da C.A.R.S. in collaborazione con l’Associazione Mastronauta e il Comune di Ameno. Ospitata nelle sale del Museo Tornielli, propone le...

Angelo Mosca, Tre versioni per un’assenza, 2006, olio su tela - Foto Davide Vergnano - Foto Davide Vergnano
Angelo Mosca, Tre versioni per un’assenza, 2006, olio su tela – Foto Davide Vergnano – Foto Davide Vergnano

Prosegue fino al 7 ottobre ad Ameno, piccolo comune cusiano, Locus Amoenus, la mostra collettiva a cura di Fabio Carnaghi realizzata da C.A.R.S. in collaborazione con l’Associazione Mastronauta e il Comune di Ameno. Ospitata nelle sale del Museo Tornielli, propone le opere di 14 artisti – Carla Accardi, Stefano Arienti, Marion Baruch, Lorenza Boisi, Mattia Bosco, Valentina D’Amaro, Gianluca Di Pasquale, Corrado Levi, Yari Miele, Angelo Mosca, Alberto Mugnaini, Michele Tocca e Devis Venturelli – che, in dialogo con il passato, presentano lavori site-specific che interpretano il concetto di “amenità” proposto dal curatore partendo dalla suggestione data del territorio e dal suo toponimo, che diventano stimoli per l’elaborazione di una geografia emozionale attraverso la quale rileggere l’immaginario legato al luogo.

Ne parliamo con Fabio Carnaghi.

Rossella Moratto: “Locus Amoenus” nasce dalla suggestione letteraria del concetto di locus amoenus declinato in questa occasione in relazione alla dimensione emozionale e personale. C’è un legame con il paesaggio ma mediato dall’esperienza del vissuto. Come nasce l’idea di questo progetto?

Fabio Carnaghi: Tutto è iniziato dal luogo stesso. Ameno è un piccolo borgo d’altura affacciato sul Lago d’Orta. Quando ho potuto conoscere per la prima volta Ameno, invitato per il sopralluogo in vista della mostra promossa da C.A.R.S. (Cusio Artist Residency Space), un’atmosfera quasi letteraria ha spontaneamente preso il sopravvento. Da questi presupposti ho deciso che il tema più adatto fosse il locus amoenus, oltre che per un palese suggerimento toponomastico, per l’immersione in flâneries e digressioni immaginifiche, che il Genius Loci ha favorito, sensazione sperimentata anche nel corso dei lavori di allestimento della mostra da parte degli artisti, che hanno avuto l’opportunità di vivere la distensione del luogo per alcuni giorni. Il progetto dunque si è proposto di indagare una topografia emozionale, una Carte de Tendre – per citare Madeleine de Scudery – svelando quanto una sorta di psico-geografia conduca a riconsiderare l’immaginario dei luoghi, oltre i limiti spazio-temporali. Laddove sia possibile scegliere di abitare un proprio tempo e un proprio spazio.

RM: Hai invitato quattordici artisti di diverse generazioni e tendenze: quali sono stati i critieri che hanno orientato la tua scelta? In che modo gli artisti hanno interpretato la loro personale geografia “amena”?

FC: La scelta fortemente perseguita di coinvolgere artisti molto eterogenei per pratica e ricerca artistica, oltre che per età ed esperienza, è nata dall’idea di conferire al progetto una biodiversità radicale, in modo da offrire al visitatore della mostra la possibilità di attraversare habitat poetici, ciascuno con un proprio clima e una propria modalità di insediamento. Nel progetto è risultata fondamentale l’idea di percorso, volto a concepire l’esperienza di visita alla stregua di un itinerario aderente alla singolare geografia del borgo. Passato il varco delle teste di Edipo luminose di Corrado Levi, che si ergono inaspettatamente a Sfingi, Locus Amoenus individua come punto di partenza una sezione storica sull’astrattismo che trova una cultura peculiare sul territorio del Lago d’Orta nell’esperienza di Antonio Calderara, a cui si aggiunge un corpus di opere di Carla Accardi nel solco della medesima corrente. La mostra comprende una sezione di pittura contemporanea – una sorta di viaggio nel viaggio – in cui la tela è luogo fisico e soglia verso paesaggi onirici, mnemonici, introspettivi con lavori di Valentina D’Amaro, Gianluca Di Pasquale, Angelo Mosca, Michele Tocca. E poi, nelle stanze del palazzo le carte fisiognomiche di Stefano Arienti, l’apologo esopico di un’inedita Marion Baruch, i frammenti di altre stagioni nelle ceramiche di Lorenza Boisi, gli oggetti parlanti di Alberto Mugnaini e i giardini visionari di Devis Venturelli. Infine, un padiglione nel parco racchiude un’installazione cangiante di Yari Miele, mentre la corte di Palazzo Tornielli accoglie due sculture in marmo di Mattia Bosco.

 Gianluca Di Pasquale, Danza, 2016 - Cavalieri, 2016 olio su tela - Foto Davide Vergnano
Gianluca Di Pasquale, Danza, 2016 – Cavalieri, 2016 olio su tela – Foto Davide Vergnano

RM: La mostra è ospitata al museo Tornielli di Ameno, un palazzo di campagna appartenuto all’omonima dinastia del novarese, ora sede di mostre e di una collezione permanente. Scegliere delle sedi storiche mettendo in relazione l’arte di oggi con il passato è una costante nella tua pratica curatoriale L’incontro passato e presente è anche una sfida: come viene raccolta dagli artisti? E dal pubblico, che in molti casi appariene a un contesto periferico rispetto alle grandi città e quindi ha meno occasioni di incontrare la sperimentazione?

FC: La mia pratica curatoriale ha da sempre osservato criticamente il punto di tangenza tra passato e presente, con una pertinenza rispetto alla valorizzazione. In questo ambito non trovo stimolanti le vuote e consuete operazioni di reenacting, momento in cui il rapporto tra le due polarità temporali collassa e si affievolisce ogni reciproco rimando. Il mio punto di vista ha da sempre avuto un interesse nel delineare relazioni contenutistiche tra beni culturali e contemporaneo, in una reciproca leggibilità. Con tale premessa, gli artisti coinvolti in questa tipologia progettuale raccolgono spunti e momenti di confronto nella prassi creativa, vissuta come momento irripetibile per la straordinarietà dell’occasione di dialogo. D’altra parte il pubblico, inteso come accezione generica, nei contesti periferici rappresenta un osservatorio molto particolare, in quanto percepisce il fenomeno dell’arte contemporanea senza il filtro dei numerosi luoghi comuni urbani. Sicuramente un approccio strutturato e contenutistico nella relazione tra patrimonio culturale e linguaggio contemporaneo genera curiosità e al tempo stesso rigenera un’offerta culturale. E questo ci basti come conquista d’attenzione.

RM: Da più di un anno sei il Direttore di MARS, storico artist run space milanese: come curatore, com’è l’esperienza di collaborazione con uno spazio no profit?

FC: L’esperienza di MARS quale co-direttore accanto a Lorenza Boisi e Yari Miele è ricca di stimoli. MARS è un epicentro creativo, dinamico e multiforme, in cui condividere dall’interno la vita e il lavoro degli artisti. In particolare, nella mia relazione con gli artisti ritengo che la libertà creativa sia essenziale e si possa esprimere trasversalmente in un grande desiderio di sperimentare nuove possibilità e inconsuete alchimie. Questa è la forza inventiva e sorprendente che scaturisce dal confronto e dal dialogo con gli artisti, in cui spesso preferisco essere un affascinato ascoltatore.

RM: Gli spazi indipendenti negli ultimi anni hanno acquistato una sempre maggiore visibilità e importanza grazie alle proposte di qualità che, pur nella scasità di mezzi, sono stati in grado di offrire, diventando un punto di riferimento nell’ambiente dell’arte, segno di una geografia che sta mutando, quale sarà secondo te il loro ruolo in futuro?

FC: Credo che gli spazi indipendenti, genericamente intesi, rappresentino un fenomeno più stratificato di quanto si pensi. Lo sviluppo dell’attitudine di fare spazio è di sicuro l’apertura di un nuovo corso, di un nuovo livello di proposta e fruizione dell’arte contemporanea in relazione allo storico della situazione italiana. Lo stato di fatto mostra il fervido dinamismo di un sostrato che impone la necessità di un approfondimento e di una riflessione oggettiva rispetto ad un fenomeno complesso e composito, che credo vada ancora pienamente compreso e ponderato. A mio parere, il ruolo futuro degli spazi indipendenti dipenderà da quanto autonoma sarà la loro capacità di conservare una carica aggregativa e di proporre contenuti sempre aggiornati e propulsivi.

Stefano Arienti, Pennello rosso, 2012, tempera ed acrilico su carta da pacco, 7 fogli
Stefano Arienti, Pennello rosso, 2012, tempera ed acrilico su carta da pacco, 7 fogli
Devis Venturelli, Hanging Garden, 2017, cravatte, video HD 3’ loop - Foto Davide Vergnano
Devis Venturelli, Hanging Garden, 2017, cravatte, video HD 3’ loop – Foto Davide Vergnano
Lorenza Boisi, Senza Titolo, 2017 ceramica secondo fuoco, dimensione ambiente - Foto Davide Vergnano
Lorenza Boisi, Senza Titolo, 2017 ceramica secondo fuoco, dimensione ambiente – Foto Davide Vergnano
Marion Baruch, La volta e l’alveare 2017, installazione site specific, poliestere multistrato elastam - Foto Davide Vergnano
Marion Baruch, La volta e l’alveare 2017, installazione site specific, poliestere multistrato elastam – Foto Davide Vergnano