La mostra tutta al femminile La Vita Materiale è un progetto che negli intenti di Marina Dacci – la non-curatrice come si definisce- , vuole mettere in luce come un certo approccio al lavoro artistico sia più proprio di una certa sensibilità (femminile). Le otto artiste invitate – Chiara Camoni, Alice Cattaneo, Elena El Asmar, Serena Fineschi, Ludovica Gioscia, Loredana Longo, Claudia Losi e Sabrina Mezzaqui – sono accomunate da più aspetti: una pratica artistica che prevede l’utilizzo di materiali spesso umili e tradizionalmente associati all’artigianato, il contatto con la materia e la presenza del corpo.
Partendo da una suggestione suscitata dalla antologica a Palazzo Magnani su Jean Dubuffet, dal titolo JEAN DUBUFFET, l’arte in gioco. Materia e spirito, 1943-1985 (mostra inaugurata in contemporanea a La Vita Materiale) Marina Dacci ha chiesto a ciascuna delle artiste di lavorare su una delle stanze quattrocentesche di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia realizzando un habitat, uno “studio-mondo”.
Quello che ne emerge è una mostra che mette in luce una delle costanti della storia dell’arte: la riflessione sulla rottura dei confini tra cultura alta e bassa in una forma di dialogo che “non vuole essere formale, ma di ricerca”, sottolinea la Dacci.
Gli otto ambienti che di sviluppano a Palazzo da Mosto, si dipanano seguendo le riflessioni della Dacci – figura che, decidendo di sottrarsi dal ruolo canonico di curatrice, ha stimolato le artisti a sviluppare prospettive e significazioni partendo proprio dal ‘fare’, creando così, come raccontano Elena El Asmar e Serena Fineschi, “spazi intimi che fanno parte della quotidianità e del fare artistico, nei quali l’opera non sottomette il fruitore ma lo accoglie”.
Esemplare in questo senso è “l’albero del corpo” di Claudia Losi che apre il percorso della mostra: una grande doccia di parole che accoglie e racconta corpi e che, per la sua posizione e dimensione, rende l’immersione del nostro corpo inevitabile.
Ad essere messo in scena, concretizzato, è il fare artistico, la poetica stessa dell’artista, il suo approccio con l’arte e con la materia.
Ludovica Gioscia conferisce ad esempio una sorta di animismo agli oggetti e ai materiali; nelle opere di Serena Fineschi la materia diventa corpo con il quale confrontarsi e rapportarsi; Loredana Longo brucia, assale, scava e demolisce per poi recuperare forme di energia. E ancora: Sabrina Mezzaqui trasforma la materialità di un libro in uno spazio immaginifico; nuovi paesaggi onirici nascono dalle ricombinazione di forme e oggetti di Elena El Asmar. Alice Cattaneo indaga il concetto di tensione in un dialogo con la materia.
L’insieme che ne nasce non può essere definito, spiega ancora Dacci, “una mostra collettiva tradizionale perché non sono state scelte solo opere su un certo tema. Le artiste e l’energia del loro lavoro hanno generato veri e propri habitat, piccole personali sulla loro ricerca ”.
Un lavoro corale dunque che riporta alla luce quella dimensione umana che per la Fineschi “si sta perdendo nella contemporaneità e in particolare nel sistema dell’arte”. Da questo approccio deriva anche un percorso espositivo non prefissato.
Come nel labirinto di creta, sassi, piante e fiori realizzato da Chiara Camoni, la possibilità di muoversi liberamente in modo fluido suscita nuove suggestioni, associazioni visive e di significato.
Un metodo di lavoro che si riflette anche nella composizione del catalogo che accompagna la mostra: una pubblicazione costituita da otto piccoli diari attraverso i quali ciascuna artista, come fosse un luogo intimo su carta, racconta la propria esperienza tra arte e vita. Quello che colpisce, oltre alla ricchezza dei contenuti e dei linguaggi, è qui l’assenza di un testo critico e la capacità dei titoli scelti dalle artiste per le stanze di riassumere la propria poetica senza la necessità e l’esigenza di una spiegazione.