Intervista a Gian Antonio Gilli sul seminario “Il luogo dell’apparizione”

"Essere-in-un-luogo, sentire che qualcosa è un luogo, riguarda piuttosto quel ‘secondo livello’ che ciascuno di noi intravede in certi momenti nella propria esperienza di vita: un qualcosa di spirituale e, insieme, di intimamente affettivo. "
18 Settembre 2018

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Dal 13 al 19 agosto si è svolto a Crissolo (Alta Valle Po), a cura di Gian Antonio Gilli, il seminario “Il luogo dell’apparizione”, un’esperienza dedicata ad un gruppo eterogeneo di nove artisti la cui ricerca ha come denominatore comune una sensibilità di fondo al tema del Luogo. E’ il Luogo infatti il protagonista di queste riflessioni, e l’apparizione non è altro che uno dei modi attraverso cui il Luogo si rivela. Nel seminario sono stati richiamati sia immaginari propri della filosofia e della mistica medioevali, sia antiche esperienze ascetiche e di impossessamento. Nel corso della settimana gli artisti hanno anche compiuto dei percorsi in alta quota, ricchi di ‘luoghi’.

Gli artisti partecipanti erano Manuele Cerutti, Francesca Ferreri, Oscar Giaconia, Marco Gobbi, Andrea Grotto, Pesce Khete, Fabrizio Prevedello, Laura Pugno e Alessandro Quaranta. Per il 2019 è previsto un secondo appuntamento, intitolato “Comportamenti di luogo”, di particolare interesse per artisti che hanno come linguaggio elettivo la performance.

Gian Antonio Gilli, professore ordinario di Sociologia presso l’Università del Piemonte Orientale, lavora da decenni su due temi. Il primo riguarda lo schema corporeo, le sue ‘patologie’ e la ricostruzione delle sue origini. Il secondo, strettamente connesso, riguarda l’esperienza religiosa nelle sue manifestazioni più estreme, spesso oggetto di attenzione da parte di psichiatria e neurologia. Il tema del ‘luogo’, e dei comportamenti-di-luogo, è centrale a queste riflessioni.

ATP: Gian Antonio, può spiegare un po’ meglio il rapporto tra i due termini ‘luogo’ e ‘apparizione’ che figurano nel titolo del seminario?

Gian Antonio Gilli: Per me ‘luogo’ non ha significato generico, ma è qualcosa di profondo, di intimo. Non ogni posto, non ogni spazio è un luogo. Non sono luoghi i posti che soddisfano solo bisogni materiali, pur così importanti nella nostra vita quotidiana, non è un luogo la poltrona davanti al caminetto, anche se è bello e comodo averne una. Essere-in-un-luogo, sentire che qualcosa è un luogo, riguarda piuttosto quel ‘secondo livello’ che ciascuno di noi intravede in certi momenti nella propria esperienza di vita: un qualcosa di spirituale e, insieme, di intimamente affettivo. Un Dove in cui ci si sofferma per raccogliersi, per derivarne certezza e, insieme, nuova ispirazione. Un Dove con cui si ha uno scambio basato sulla somiglianza, una specie di rapporto ‘alla pari’. Perciò la scoperta di un Luogo non è un fatto intellettuale, e nemmeno volontario: significa lasciare che un luogo ci venga incontro.

Gli antichi Italici credevano che in ogni luogo vi fosse un genio – il genius loci appunto – che ne proteggeva gli occupanti, e dava identità al luogo. Molti altri esseri misteriosi popolavano il paesaggio antico: abitavano spesso luoghi deserti, perché inaccessibili, o inadatti alla vita sociale. Il Cristianesimo dichiarò che tutti questi abitatori-di-luoghi (ciascuno profondamente radicato nel suo luogo) erano dei dèmoni, proprio come gli dèi pagani, e proclamò quell’unico Dio che “è in cielo e in terra e in ogni luogo”. In nome di questo nuovo Dio vennero asceti, eremiti e altri ‘disadattati’ che cacciarono i precedenti abitatori, ma solo per subentrare al loro posto, per radicarsi nello stesso modo, – continuando insomma quella ‘religione dei luoghi’ che da millenni, ignorata e spesso avversata dalle Religioni ufficiali, dà risposta al bisogno-di-luogo.

Mi sembra possa legarsi a questo bisogno-di-luogo il fenomeno dell’Apparizione. Un fenomeno che suscita le riserve di molti, per l’uso ‘commerciale’ fattone dalla Chiesa (anche se, a dire il vero, una strumentalizzazione da parte delle gerarchie religiose è attestata ben prima del Cristianesimo, almeno fin dal VII secolo a.C.), ma che andrebbe considerato anche sotto un altro aspetto. E cioé, rendersi conto che un’apparizione è impensabile senza un luogo, e che il luogo è essenziale all’apparizione. E non ci sono apparizioni in luoghi già ‘noti’, – è sempre un luogo che prima era ignoto, o ignorato, e che da quel momento diventa significativo per molti. Direi allora che l’apparizione è, in qualche modo, il dono di un luogo, ossia la risposta a un bisogno di luogo, ed è per soddisfare questo bisogno che milioni di persone (magari suggestionate, persino ingannate, – il problema non è questo) si sono recate e si recano in certi luoghi.

L’apparizione, del resto (ed è stato questo uno dei temi del seminario) non riguarda solo entità soprannaturali, ma può avere ad oggetto qualsiasi cosa di cui si abbia profondamente bisogno: una verità, una guarigione, una memoria, un amore. E a volte, per chi viva in modo disperso, anche un luogo. In questo caso l’apparizione non è altro che il rivelarsi del genio del luogo, il rivelarsi del luogo. E’ il luogo che appare.

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ATP: Demoni e asceti, che hanno sempre una parte significativa nei suoi lavori sullo schema corporeo, l’hanno avuta anche in un seminario come questo, dedicato al tema del luogo. Può spiegare meglio il perché?

GAG: I temi che mi interessava trattare, parlando del luogo, erano il modo in cui un luogo viene ‘scoperto’, come ci si radica in esso, il bisogno-di-luogo, e così via, – tutti quei temi insomma che consentono di capire la profondità, e, più ancora, l’ ‘intimità’ del luogo; capire perché la filosofia medievale, nelle sue riflessioni sul luogo, concludesse che “il luogo e chi abita il luogo sono eguali”; o perché Silesius, un mistico del ‘600, affermasse: “uno son luogo e Verbo, e non vi fosse il luogo / per l’eterna eternità! non vi sarebbe il Verbo”. Ebbene, dovendo trovare dei personaggi che animassero questi temi, indirizzarsi verso asceti e demoni è stata, di fatto, una scelta obbligata. In tutta la letteratura occidentale antica e moderna, infatti, non esiste, a mia conoscenza, alcun filone che lasci emergere con tanta forza, con tanta insistenza, un’attenzione a questi temi, come l’antica letteratura ascetica e mistica. Certamente, un’infinità di persone, nei millenni, sono state cacciate dal luogo del loro radicamento, ma non conosco nessuna testimonianza più esplicita (e più viva) – su quello che chiamo bisogno-di-luogo – delle innumerevoli lamentazioni dei ‘demoni’ cacciati dal loro luogo che si leggono nelle antiche fonti ascetiche. Sappiamo del peregrinare di Ulisse/Odisseo in cerca della sua Itaca, sappiamo delle vicende di Enea, costretto a lasciare Troia in fiamme alla ricerca del luogo in cui nascerà la civiltà romana, – ma in queste fonti ‘alte’ la tematica del luogo appare, tutto considerato, pallida e lontana. Nulla a che vedere con i mille racconti sulle sofferenze dei demoni cacciati dai loro luoghi, o sulle miriadi di asceti che, lasciatosi tutto alle spalle, andavano alla ricerca di un luogo in cui stabilirsi, ed era Dio (affermano i loro biografi) a indicare a ciascuno il suo luogo, e ciascuno “si innamorava del luogo”, e vi si stabiliva, fino a morirvi ed esservi sepolto, e la sua forza diventava la forza del luogo (e viceversa), e per tutti coloro che cercavano consigli, guarigioni o ispirazione, tutto questo rappresentava anche, semplicemente, il dono di un luogo.

ATP: E tuttavia l’esperienza degli asceti, e le loro pratiche così eversive dello schema corporeo ‘a norma’, sembrerebbero temi più affini all’ambito scientifico-medico o a quello storico piuttosto che a quello artistico, – anche se è vero che la storia dell’arte abbonda di anatomie e visioni difformi. Da dove nasce allora l’idea di convocare proprio degli artisti  cui proporre un’esperienza così specifica, e, più in generale, qual è il rapporto dell’esperienza ascetica col mondo dell’arte?

GAG: Vent’anni fa ho pubblicato una ricerca sugli Stiliti (asceti che passavano la vita su di una colonna), in cui analizzavo la loro esperienza come una lunghissima performance, esplorativa di sensazioni nuove, culturalmente non omologate. Questa ricerca, che non era stata nemmeno notata da storici e sociologi, è stata invece ‘scoperta’ dagli artisti, e ha avuto molta diffusione tra di loro. E, anche se adesso pure storici e sociologi ne parlano, mi sono chiesto perché gli artisti l’abbiano capito subito. Così come mi chiedo, parlando a persone di ogni tipo di questi asceti ‘corporei’ e delle loro pratiche estreme, perché devo fare tanta fatica per giustificarli, quasi scusarli ai loro occhi, spiegando che non si trattava di ricerca cieca del dolore, ma di un’esplorazione di sensazioni nuove all’interno di quella che era la ‘specializzazione’ dettata dalla mappa corporea di ciascuno. E invece con gli artisti è tutto molto più semplice da spiegare. La mia conclusione (che vale probabilmente solo per me) è che ci siano, paradossalmente, delle analogie di fondo tra esperienza artistica ed esperienza ascetica. Mi sembra di avvertire, in molti segmenti dell’arte contemporanea, la stessa tensione fra smisuratezza e auto-limitazione, fra espansione e contenimento, fra sprofondamento e rinuncia, che rappresenta il motivo conduttore delle traiettorie ‘corporee’ dei soggetti che mi sono cari. Del resto, non è forse un caso che – agli occhi di molti – non solo gli asceti, ma anche l’arte contemporanea abbia bisogno di essere ‘giustificata’. Ma certo il tema meriterebbe di esser trattato più a lungo.

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ATP: Il seminario si è svolto a Crissolo, luogo della sua infanzia. In che misura la questione del luogo d’affezione ha determinato la scelta del tema da affrontare?

GAG: Crissolo è stato fondamentale per me, per il mio immaginario: il mito del Monviso, su cui, fin da bambino, aspettavo con ansia che mio padre mi portasse (ho aspettato fino ai 12 anni); l’essere immerso in una cultura fortemente ‘animistica’, dove le anime dei defunti e il Santo locale venivano correntemente ricordati, dove ogni prato, ogni campetto aveva il proprio nome, ed era una miriade di nomi, che oggi riesco a malapena a ricordare. E tutte le mie ascensioni, spesso da solo, si sono svolte lì, e soprattutto un’infinità di lunghissime camminate, – e il camminare è essenziale per la scoperta di ‘luoghi’. Nel tratto iniziale, che percorrevo ogni volta per portarmi in quota, incontravo, successivamente, il luogo in-cui-cresceva-l’ultimo-abete, quello dove-non-si-sentiva-più-il-rumore-del-Po, quello dove-si-riunivano-le-masche. A volte era ancora buio, ma sapevo fin da piccolo che in quei casi era importante dire un Requiem aeternam, e così facevo. Poi, diventato più grande, un animista capisce, quando il Requiem aeternam resta l’unica preghiera da dire, che essa non si presta molto a essere recitata in astratto, – è una preghiera che ha senso recitata in un luogo.

ATP: L’edizione 2019 del seminario farà particolare riferimento agli artisti performer, di cui gli stiliti (e molti altri asceti ‘corporei’) possono essere degli estremi antesignani. Cosa ci può anticipare a riguardo

GAG: Il motivo conduttore dell’edizione del prossimo anno sarà <Comportamenti di luogo>. Come ho spiegato prima, nel corso del seminario di quest’anno è emersa più volte l’idea che il rapporto di un soggetto con un luogo – con il suo Luogo – sia un rapporto profondo, organico, relativo all’essenza. I comportamenti-di-luogo non sono quindi attività banali, quotidiane, come leggere, cucinare o altro: sono piuttosto attività capaci di esprimere l’identità profonda di un soggetto, la sua ‘specializzazione’. Sono comportamenti-di-luogo, per esempio, l’Immobilità, la Contemplazione, e simili. E’ chiaro allora perchè queste riflessioni, pur potendo essere ovviamente significative per ogni artista, sono particolarmente rilevanti per chi pratica la performance. Mi piacerebbe quindi che – tra gli artisti partecipanti – vi fossero anche dei performer. La mia ambizione è di compiere con loro, in uno dei giorni del seminario, un percorso in montagna (penso sempre a Crissolo) lungo il quale ciascuno di essi individui un luogo che gli appare significativo e stimolante, e in riferimento al quale egli/ella elabori un proprio intervento, che potrà essere posto in opera, uno alla settimana, nel periodo successivo.

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Gian Antonio Gilli

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