È finita la densa settimana inaugurale della Biennale di Venezia, durante la quale praticamente tutto il mondo dell’Arte si riversa in Laguna, inondando i social con foto di canali, calle e gondole almeno quanto quelle dei padiglioni, a testimonianza della propria immancabile presenza alla kermesse, tra un party, uno spritz e un cicchetto. Ovviamente aspettando ArtBasel.
Assegnato un bel Leone d’Oro al padiglione della Lituania che ha surclassato la vociferata Francia di Laure Prouvost, con tanti complimenti alla curatela di Ralph Rugoff che ci ha regalato un rimarchevole Arsenale dopo due edizioni non indimenticabili: pare si viva ancora in tempi interessanti.
Sono già state pubblicate fior fiore di classifiche, e noi lo abbiamo già scritto a proposito di Frieze New York: sono graduatorie totalmente soggettive. Ribadito ciò, ATPdiary ha stilato un elenco di “imperdibili”. Non tutti memorabili, ma Padiglioni che chi nei prossimi mesi si recherà a Venezia (con l’augurio di imbattersi in flussi di visitatori meno smisurati) riteniamo non debba mancare, indicati in ordine sparso (tra i quali, ahinoi, non figura il Padiglione italiano).
SVIZZERA
E’ tutta al femminile la proposta del Padiglione Elvetico, curato da Charlotte Laubard e interpretato dal duo Pauline Boudry / Renate Lorenz, che hanno coinvolto cinque performer, Julie Cunningham, Werner Hirsch, Latifa Laâbissi, Marbles Jumbo Radio e Nach, coi quali tessono un profondo scambio e dialogo, il cui intervento diviene un’imponente installazione filmica. Gli spettatori assistono al video come fossero davanti al palco d’un cabaret, un night club, un café-chantant con uno scintillante tendone d’avanspettacolo che si interpone a intremittenza tra il pubblico e lo schermo: Moving Backwards, questo il titolo, è una riflessione politica e sociale sulla possibilità di resistere, intendere diversamente, stravolgendo la percezione ordinaria.
POLONIA
Imponente e straniante l’intervento di Roman Stańczak curato da Łukasz Mojsak, Łukasz Ronduda. Un resto degno del 9/11 Memorial, un’icona contemporanea della devastazione militare che imperversa nel mondo, anche quando non sbandierata dai media perché concerne paesi non occidentali. Decostruito e rovesciato, Flight, scultura in scala 1:1 di un aereo rivoltato, è un relitto apocalittico-spirituale della nostra società, contestualmente violento e intenso. Una “situazione costruita” che sembra essere ripetizione di un eterno incidente.
GIAPPONE
Se non fosse il Padiglione del Giappone, renderebbe bene la definizione giapponese, intesa con questo l’accezione stereotipata, ordinata ed essenziale, che si ha degli assetti e dell’organizzazione nipponica dello spazio.
Curato da Hiroyuki Hattori, l’intervento Cosmo-Eggs di Motoyuki Shitamichi, Taro Yasuno, Toshiaki Ishikura e Fuminori Nousaku (specialisti di diversi settori della cultura contemporanea), si configura come un luogo esperienziale dove riflettere sul “teatro della vita urbana” e sulle sue ripercussioni sull’ambiente, in un’alternanza di elementi che entrano in armonia e dissonanza tra loro.
DANIMARCA
Nat Muller invita l’artista danese-palestinese Larissa Sansour che ci regala una doppia immersione oscura, Heirloom: in una stanza un film fantascientifico a due canali, in quella antistante un oggetto psicologico desunto dal video diventa monumento, una minacciosa sfera-stella nera, emanazione dell’interiorità umana, elemento ermetico di sapore distopico.
BELGIO
Irriverente sin dal titolo, MONDO CANE, richiamo del film-documentario del ’62 diretto da Jacopetti-Cavara-Prosperi, il progetto di Jos de Gruyter e Harald Thys, a cura di Anne-Claire Schmitz, uno zoo di manichini che riflette sulla concezione, forse obsoleta, di “padiglione nazionale”. Si propone come un museo del folklore, con bambole-automi, artigiani e zombies, mondi diversi che appaiono inconsapevoli della rispettiva presenza.
AUSTRALIA
Forse uno dei padiglioni più scenografici e meglio organizzati; ASSEMBLY, opera di Angelica Mesiti curata da Juliana Engberg , è un video tripartito collocato in un anfiteatro.
La “Macchina Michela” viene utilizzata nel Senato Italiano per redigere i resoconti stenografici, i cui tasti ricordano quelli di un pianoforte: è lei tra i protagonisti del progetto, incentrato sulla varietà dell’Australia cosmopolita, indagine sull’ampio spazio della comunicazione e riflessione sulla democrazia.
INGHILTERRA
Installazione, dipinti e stampe: attorno a questi elementi ruota il lavoro di Cathy Wilkes, curato da Zoé Whitley, Senior Curator presso la Hayward Gallery, la stessa istituzione di cui Ralph Rugoff è direttore.
Il progetto si struttura attorno alla presenza di figure simil-manichino, nature morte antropomorfe di marca metafisica , ma anche tracce residuali, panni e tele accumulate, per un percorso che è complessivamente lugubre e malinconico.
LITUANIA
Si aggiudica il Leone d’Oro Sun&Sea (Marina), padiglione tutto al femminile curato da Lucia Pietroiusti di Lina Lapelyete, Vaiva Grainyte e Rugile Barzdziukaite.
Il progetto consta in una performance balneare a cui si assiste da una loggia: quello della spiaggia è da sempre teatro di attenzioni nell’arte contemporanea, in questo caso intesa come condizione di cattività umana, prelievo di una realtà perennemente sotto i riflettori.
La componente sonora è in fuori registro, frizione con la temperatura vacanziera.
FRANCIA
Deep See Blue Surrounding You di Laure Prouvost, curato da Martha Kirszenbaum non si è aggiudicato il ventilato Leone d’Oro, ma resta uno dei progetti più meritevoli d’essere visti. L’artista francese di stanza a Londra, vincitrice del Turner Prize nel 2013 propone un’opera filmica, resoconto di un viaggio tra la Francia e Venezia che sfida le credenze di un mondo globalizzato. La galleggiante città lagunare è stata un’indubbia fonte d’ispirazione.
ALBANIA
Promettente sin dal titolo, Maybe the cosmos is not so extraordinary, il padiglione albanese di Driant Zeneli curato da Alicia Knock non disattende le aspettative. Coniugando, coerentemente con la sua poetica, possibile e immaginario, fantastico e pratico, tramite la narrazione del suo video l’artista inscena l’insistenza e la perseveranza dell’essere umano del concretizzare le sue fantasie, superando i propri limiti e proponendo dimensione alternative, ludiche ma paradossalmente credibili.