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C’è un andamento nelle opere di Bill Viola che oltre il valore biografico, di ricerca, stimola all’esterno un effetto di profonda immedesimazione. Uomini e donne in cammino, fluidi in caduta, successione emotiva. Una sua mostra, ogni singola installazione, richiede l’immedesimazione in un tempo espanso: non il conto del minutaggio ma un abbandono fino a sentire la coincidenza tra il nostro stare lì e la durata delle azioni registrate. Avviene anche nella spazialità quando per lo stato dell’inquadratura o per la distanza dagli schermi avvertiamo il nostro corpo essere nella stessa scala dimensionale dei video. Che cosa riguarda questa prossimità e che cosa riesce a trasmetterci? Credo che da ultimo si tratti della condivisione di stati sottesi alla realtà e alla vita, essenziali seppur i loro effetti non vengano subito percepiti. Come ad esempio in scienza fisica per deduzione si ottiene la conoscenza di processi del micro e del macro che l’occhio da sé non potrebbe vedere, l’indagine sulle emozioni condotta attraverso un procedimento che è quello classico della mimesis, della loro riproduzione in forma ampliata e condivisa, sortisce un riavvicinamento agli stati fondamentali della coscienza. Viola afferma la presenza dell’assoluto nel quotidiano, nella particolarità di ogni esistenza; in tal senso la sua videoarte è costitutiva di un genere, se non del medium stesso.
Secondo ragioni analoghe i progetti espositivi dell’artista americano non sono da considerare per i valori dell’immediata appariscenza; contano piuttosto la selezione rigorosa dei lavori, la coerenza interna di costruzione, il rapporto di reciproca influenza tra l’allestimento e l’ambiente come avvenuto in Palazzo Strozzi e negli altri luoghi cittadini deputati (tra cui le Gallerie degli Uffizi, il complesso di Santa Maria Novella, il Grande Museo del Duomo).
Firenze fu e resta un turning point nel percorso di Viola che fu qui tra il 1974 e il 1976 in qualità di direttore tecnico di Art/tapes/22, pionieristico studio di produzione video fondato da Maria Gloria Bicocchi – vi realizzarono tra gli altri Nam June Paik, Joseph Beuys, Vito Acconci, Urs Lüthi. La città toscana impressionò il giovane newyorkese per l’abbondante presenza di pitture, sculture, architetture antiche ancora nei luoghi originali o conservate in musei di lunga tradizione. Fu la scoperta del passato come fonte viva. Le opere del Rinascimento italiano e del periodo subito precedente cui egli da allora s’ispira sembrano avere una nota comune: una specie di sospensione delle azioni interne alla rappresentazione. L’intensità immobile dello sguardo tra Maria ed Elisabetta contro lo sfondo cittadino nella Visitazione del Pontormo (che l’artista vide dal vero soltanto durante il restauro del 2013), il moto ascendente del corpo invece esanime di Cristo nella Pietà di Masolino da Panicale – prova dell’alta qualità di questo autore per secoli trascurato dalla critica – la prospettiva infinita nel Diluvio di Paolo Uccello. È come se in The Greeting (1995), Emergence (2002), The Deluge (2002) Viola fosse partito da tali particolarità reinterpretandole in una maniera insieme rispettosa e indipendente, in nome di una comune vitalità come da lui stesso dichiarato: «La distanza che mi aveva separato dai maestri del passato si è completamente dissolta. Tempo e spazio, passato e presente, erano la stessa cosa. […]Ho capito che i così detti vecchi maestri non erano altro che giovani radicali.»
Da un altro punto di vista la ricerca condotta negli anni per un miglioramento delle modalità di registrazione e di proiezione dei video – più in generale l’evoluzione tecnologica dall’analogico al digitale fino all’alta definizione e così via – pur nella differenza di contesto ha avuto un grado di similarità con l’affinamento della resa pittorica rinascimentale degli impianti prospettici, delle persone e dei loro sentimenti, del disegno e del colore.
Al piano nobile del Palazzo la mostra fiorentina restituisce una visuale complessiva, abbracciando circa un ventennio di lavoro tramite alcuni capisaldi. L’apertura è con The Crossing (1996), doppia proiezione fronte-retro di un uomo in graduale scomparsa a opera del fuoco e dell’acqua, l’elemento materiale al massimo della sua potenza diviene agente di una pratica liminare verso la trascendenza. Al punto medio si sviluppa nel verso dell’orizzontalità la grande installazione The Path (2002) parte del ciclo di cinque Going Forth By Day; lungo una pineta quieta e divisa tra ombre e sprazzi di luce dorata trascorre una successione infinita di persone, ognuna connotata dallo specifico dell’aspetto, della veste, degli oggetti e del modo di camminare; incuranti l’una dell’altra e del tutto in sé immerse esse sono come presenze oltre l’esistenza terrena, anime pronte ad accedere a una differente dimensione. Nel finale Man / Woman (2013), direttamente ispirato all’Adamo ed Eva di Lucas Cranach, consiste nella proiezione su due tavole di granito nero: un uomo e una donna in età matura, nudi, con una torcia cercano di scovare oltre l’apparenza epidermica, delle carni in deperimento, un possibile elemento di immortalità o di eternità.
Il piano sottostante è dedicato alla prima fase della carriera dell’artista, con precisa attenzione all’esperienza giovanile in città e con la proposta di opere importanti per gli sviluppi tematici e tecnici successivi come Eclipse (1974), The Reflecting Pool (1979-1979), Chott el-Djerid (1979).
La mostra fiorentina, tra le più ampie in assoluto di Bill Viola, si pone quindi come importante celebrazione di un autore ormai riconosciuto tra i più significativi degli ultimi decenni a livello globale (e aggiungerei: coerenti) nonché come concreta ricongiunzione tra le origini e l’attualità del suo percorso artistico.
Bill Viola
Rinascimento Elettronico
Palazzo Strozzi, Firenze
Fino al 23 luglio 2017