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Intervista a Marina Dacci e Krištof Kintera | Hidden Beauty, Z2O, Roma

[nemus_slider id=”74634″] — Testo e intervista di Vasco Forconi — Dall’incontro fra Marina Dacci, Sara Zanin e Krištof Kintera nasce Hidden Beauty una collettiva che riflette sull’atto di ricerca della bellezza quale elemento imprescindibile tanto nella pratica artistica quanto soprattutto...

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Testo e intervista di Vasco Forconi —

Dall’incontro fra Marina Dacci, Sara Zanin e Krištof Kintera nasce Hidden Beauty una collettiva che riflette sull’atto di ricerca della bellezza quale elemento imprescindibile tanto nella pratica artistica quanto soprattutto in quella di attraversamento quotidiano della realtà. La mostra raccoglie lavori recenti di quattro artisti originari di Praga i quali, pur nella profonda differenza delle rispettive ricerche, sono qui legati da una comune attitudine nei confronti dell’esistente, scandagliato non alla ricerca di una bellezza canonica ma nel tentativo costante di riattivazione dello sguardo e dell’esperienza.
Anna Hulačová attraverso disegni alchemici e sculture dai volti irriconoscibili propone un’indagine sull’identità che si fa complessa e stratificata. I volti scompaiono e vengono sostituiti da stampe digitali o da sovrapposizioni di frammenti scultorei, facendo del mistero, di vaga memoria metafisica, il luogo privilegiato di ricerca della bellezza.
Kristof Kintera, attivo anche nel ruolo di co-curatore della mostra, propone interventi scultorei e installativi che riflettono sull’idea di natura artificiale, realizzati ricorrendo all’assemblaggio di materiali di scarto e proiettando un’idea di bellezza che, nella sua radicale commistione con la realtà, si apre anche al basso allo sporco e al decadente. Oltre agli interventi in galleria Kintera installa le sue opere all’interno di numerose attività commerciali presenti nel quartiere, proponendo al pubblico un’esperienza di arte non contemplativa e disseminata.
Pavla Sceranková riflette sulla percezione e sul rapporto tra il soggetto e lo spazio che lo circonda. Nelle sue sculture e installazioni suppellettili e oggetti d’uso quotidiano vengono sezionati o fatti esplodere in mille frammenti come a voler registrare la tensione impressa su di essi dallo spazio circostante, trasformandoli quindi in altrettanti dispositivi di misurazione dello spazio stesso.
La ricerca di Richard Wiesner, impostata su un registro decisamente più intimo, lavora sulla trasformazione di oggetti portatori di una memoria che è sul punto di svanire. In occasione della mostra espone una serie di sculture in cui mobili, strumenti ed elettrodomestici, appartenenti a un anziano cittadino praghese, vengono inglobati all’interno di complesse conformazioni di resina, le quali annullandone la funzionalità preservano di fatto la memoria intrinseca dell’oggetto.

«La mostra è un piccolo teatro di sguardi e artefatti diversi, in parte complementari, che hanno però un denominatore comune: la tensione, il bisogno di riscoprire e inventare ogni giorno una qualche nuova forma di Bellezza, per sentirsi “al mondo” e conviverci in modi anche inaspettati.
Non ci interessa dare una etichetta a “che cosa è Bellezza”– sono stati scritti fiumi di parole sull’argomento – ma come poter usare occhi nuovi per scoprire quella bellezza nascosta che spesso non vediamo o non consideriamo come parte fondante della nostra esistenza.
Si tratta di una bellezza, a volte con la “b” maiuscola ma il più delle volte minuscola, rintracciabile in trascurabili dettagli e/o in umili situazioni in cui la nostra memoria, l’immaginazione, il sogno, la sperimentazione ci aiutano a restituirle un significato universale, seppur attraverso canoni soggettivi, un significato altamente validante e non stereotipato su ciò che ci fa sentire di poter vivere un’esperienza autentica. Anche per questa ragione parte della mostra, per i lavori di uno degli artisti presenti, si propone come una “caccia al tesoro” in luoghi insospettabili in cui recarsi e nei quali indossare “occhiali nuovi”». (testo da comunicato stampa)

Hidden Beauty, 2018 - Installation view, room 3 - z2o Sara Zanin Gallery, Roma - Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Hidden Beauty, 2018 – Installation view, room 3 – z2o Sara Zanin Gallery, Roma – Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni

ATP: Iniziamo dal titolo della mostra Hidded Beauty (Bellezza Nascosta): che significato ha oggi interrogarsi sul valore della bellezza?

Marina Dacci: È la domanda che ho rivolto a tutti e quattro gli artisti presenti in mostra, perché per me era interessante avere da loro non tanto una definizione di bellezza quanto capire come loro potessero trovarla e quanto era importante nella loro ricerca. E mi hanno dato risposte differenti, però alla fine questa differenza si è coagulata in un unico aspetto, secondo me interessantissimo, che è quello di lavorare sull’idea della cancellazione della stereotipia, cioè di questo modo che noi abbiamo normalmente di incontrare il nostro ordinario e di cercare di usare altra paia di occhiali per leggere le cose. Ognuno a modo suo, perché ognuno è focalizzato sul proprio percorso, però è anche interessante avere bisogni diversi e approcci diversi per arrivare a uno stesso punto comune. La ricerca della bellezza è più importante della definizione di bellezza ed è qualche cosa di indispensabile, oggi più che mai.

ATP: Nel catalogo che accompagna la mostra chiedi a ciascuno degli artisti “se la bellezza è necessaria” e tutti rispondono in modo assolutamente affermativo. Questo in parte mi ha sorpreso….

MD: Assolutamente sì, non è una cosa curiosa, perché secondo me il senso della vita è accettare l’idea di mistero, e la bellezza è costituita dall’idea di mistero. Accettare il mistero a mio parere significa entrare ogni volta in una dimensione, in una sorta di piscina in cui nuoti, ti metti gli occhialini, apri le braccia e aspetti che qualcosa arrivi verso di te…e la tua attitudine, perché questo è il problema fondamentale, è l’attitudine dello sguardo sulle cose. Nelle cose più piccole, più banali, più stupide fino ad arrivare alle cose più importanti. Tutti i giorni, l’ho scritto e lo continuo a ripetere perché lo vivo anche personalmente come essere umano, siamo intrappolati dal fatto che ogni cosa che incontriamo cerchiamo di incastrarla nelle nostre mappe cognitive, è tutto funzionale a qualche cosa che abbiamo bisogno di controllare. La bellezza arriva inaspettata non la puoi controllare, devi soltanto aprirti e viverla e prenderti una sorta di respiro. Quindi l’idea è proprio questa, come è possibile oggi mettere insieme il nostro quotidiano e un’attitudine verso la ricerca, perché siamo fatti di quotidiano. In un mondo in cui muore l’ideologia, muoiono tutta una serie di altre cose, la cosa importante è vivere nella piccola vita quotidiana e aprirsi senza barriere a quello che può entrare, e farlo entrare. Questa mostra non parla della bellezza, parla del processo in cui tu ti metti, in una postura, per cui è possibile che tu la percepisca.

ATP: Come nasce la collaborazione con questo gruppo di artisti di Praga? E come mai la scelta di esporli qui a Roma?

MD: La scelta è nata da un incontro con Krištof Kintera, e Sara Zanin. Krištof ci ha proposto dei nomi e ci ha raccontato qual’era il motivo per cui li aveva scelti. Ovviamente poi giocano dei fattori anche epidermici e di sensibilità, evocativi. A me interessava avere visioni diverse. Krištof lavora adesso su questo tema molto interessante della natura artificiale ma anche del problema di rendere accessibile e fruibile l’arte a tutti, però mi interessava anche recuperare una visione al femminile con un altro processo, come quello di Pavla Sceranková. Pavla ha lavorato con degli astrofisici, iniziando a riflettere sul rapporto con la dissoluzione molecolare. Per tanti anni ha lavorato su questa categoria di spazio e di tempo cercando di ridefinirla e di non meccanizzarla, e quindi di decostruirla e ricostruirla attraverso il sistema di percezione personale. Dall’altro lato abbiamo invece tutto un lavoro più intimo, anche se con dei riflessi sociali, quello di Richard Wiesner e di Anna Hulačová. Richard ha lavorato su un filone molto preciso: è entrato in appartamento di Praga di proprietà di un anziano elettricista, che al momento è ospedalizzato, e che tra l’altro è stato uno di quelli che ha facilitato la comunicazione con gli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale, creando dei sistemi di comunicazione via radio. Questo signore dice “non voglio che vada dispersa tutta la mia vita, tutta la mia esperienza e i miei oggetti. Voglio che continuino a vivere al di là di me”.
Quindi Richard, che non era amico di questa persona, ha cercato, in modo assolutamente lirico, di incapsulare questi oggetti, di gestirli come fossero artefatti per fermarne la dissoluzione nel tempo, trasformando la funzionalità dell’oggetto e reificandolo attraverso un altro tipo di linguaggio. Quindi ci sono questa specie di cristalli, satelliti o parti di oggetti che vengono inglobati in delle resine o comunque in dei materiali artificiali con lo scopo di ridare loro nuova vita. Hanna invece costituisce un crossing point fra la sua esperienza in estremo oriente, fra il lavoro sul folk della sua nazione, e la sperimentazione di nuovi materiali e nuovi media. I disegni che abbiamo scelto per questa mostra sono tutti dei disegni un po’ alchemici, perché fanno una riflessione sul microcosmo, sulle piccole cose del quotidiano, riconducendole al macrocosmo. Mi sembra quasi di vedere un libro del 1600 che parla dell’organizzazione dello spazio e del cosmo.

Hidden Beauty, 2018 -  Installation view, room 1 z2o Sara Zanin Gallery, Roma - Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Hidden Beauty, 2018 – Installation view, room 1 z2o Sara Zanin Gallery, Roma – Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni

ATP: Selezionare lavori che affrontano la questione della bellezza (per quanto nascosta) è un compito arduo. A quali principi hai fatto riferimento?

MD: Di questi artisti abbiamo cercato di rispettare quello che era il nucleo della loro ricerca, non abbiamo selezionato lavori marginali. La mia aspirazione, così come quella di Krištof, era che questa mostra diventasse una sorta di costellazione stellare e quindi c’è una sorta di ricerca di complementarità, una sorta di lettura aperta dello spazio e della visione, sul senso della bellezza. Quindi non è un percorso lineare, non c’è è mai qualche cosa che confermi una lettura unidirezionale, ma sono modi diversi, feeling, esperienze di fare ricerca. Selezionare le opere non è stato così difficile alla fine. Immaginandosi quello che poteva essere un dialogo tra il cannocchiale di Wiesner con i disegni di Hanna, piuttosto che tra il lavoro di Pavla di destrutturazione di piccoli oggetti, di sezionature e di tagli, con il lavoro di Krištof, che è un lavoro sempre di tipo scientifico, perché sperimenta materiali e affronta il discorso della materia come qualche cosa che da inorganico può diventare organico e diventa il nostro landscape, a noi sembrava un modo molto naturale e molto fluido di mettersi in diverse posizioni e guardare la realtà. Quella che a me interessa che emerga in questa operazione è un atteggiamento, una postura.

ATP: La postura è anche qualche cosa di anatomico, perché ne parli proprio in relazione alla bellezza?

MD: Perchè credo che nel momento in cui viaggi nel mondo cercando delle conferme a quello che già pensi o alle cose da cui sei stato condizionato, non puoi trovare nulla se non delle conferme egoiche, inutili da un certo punto di vista. Allora la bellezza è qualcosa di lirico, qualche cosa di inspiegabile, di misterioso però è una ragione di vita perché ti fa vibrare insieme all’universo, al mondo in cui ti inscrivi. Quindi la postura è la capacità di tenersi aperti, non in un modo didascalico ma senza delle griglie troppo concettuali. La postura non è qualcosa di anatomico è anche qualcosa di psicologico. È la capacità di capire che tu puoi percepire il mondo attraverso un atteggiamento sinestetico, attraverso il fatto di non aspettarti delle conferme su quello che già conosci e che già sai ma farti sorprendere ed entrare in un mistero senza pretendere di bloccarlo.

ATP: In merito al concetto di ‘brutto’ … o ‘di basso’, in contrapposizione ad un concetto altrettanto generico e complesso…

MD: Non è un ruolo dialettico di contrapposizione cattolica di “puoi conoscere il bene solo attraverso cosa è il male” ma semplicemente è una questione di vibrazione. A volte il brutto vibra in un modo per cui è interessante ed è utile nella tua vita per potere leggere il bello. C’è una forma di vibrazione anche nel brutto che alla fine ti fa vivere la tua appartenenza a un mondo reale che ingloba il brutto, così come ingloba il bello nel senso canonico. Credo che per Krištof l’idea di sporco, l’idea di qualche cosa che scende nei livelli più bassi ti consente di capire che hai bisogno di aprirti e di salire, non in una accezione cattolica né religiosa né morale, non è questo il punto. Il punto è che tu vibri insieme alle cose, e tu vibrando insieme alle cose il mondo è fatto di ogni, e secondo me l’idea di inglobare il brutto insieme al bello fa parte della vita e puoi trovare anche un aspetto lirico nel brutto. Non perché c’è l’estetica del brutto.

Krištof Kintera, Me, waiting in another room, 2009 - shoes, concrete - cm 64 x 40 x 55 - Installation view at Moves Fitness, Roma - Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Krištof Kintera, Me, waiting in another room, 2009 – shoes, concrete – cm 64 x 40 x 55 – Installation view at Moves Fitness, Roma – Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni

ATP: Kristof, come hai vissuto questa esperienza di artista/curatore?

Kristof Kintera: È ambiguo, quando sento che un regista recita nel suo stesso film mi chiedo “come riesce a farlo?” guardare attraverso la macchina da presa e allo stesso tempo recitare nel suo proprio film? Quindi mi sembra ambiguo. Qui invece sono stato coinvolto in veste di esperto sulla scena artistica di Praga. È qualcosa che conosco meglio di Marina, naturalmente. Mi piace questa sorta di confronto, perché sono davvero colpito da volontà di portare qualcosa dal nostro contesto locale in Italia e a Roma, ed è qualcosa che apprezzo molto. Perciò quando mi hanno chiesto di fare questa mostra per me è stata una sfida, mi sento come una sorta di guida della scena artistica e forse questo è stato l’unico e più importante ruolo che ho svolto nel progetto.

ATP: Hai disseminato otto opere nel quartiere che circonda la galleria. Come sono stati selezionati questi luoghi? E come hai scelto di intervenire al loro interno?

KK: Sulla selezione dei luoghi ho fatto affidamento a Marina e Sara Zanin che conoscono molto bene il quartiere e il contesto degli spazi. Fondamentalmente mi piace quando l’arte parla a persone che non sono addetti ai lavori, e questo è il momento più impegnativo. Quando porti l’arte a fare una passeggiata e la porti fuori dalla galleria, accade qualcosa, qualcosa di straordinario. È stata un’idea di Marina ma sapeva che nei miei progetti recenti stavo già lavorando su questo, sull’idea dell’arte che fa una passeggiata, nelle vetrine dei negozi. Per me non è un nuovo esperimento, ma lo è qui a Roma.

HIDDEN BEAUTY 
Anna Hulacová, Kristof Kintera, Pavla Sceranková, Richard Wiesner

a cura di Marina Dacci e Kristof Kintera 

24 marzo > 19 maggio 2018

Luoghi coinvolti:
Monkey Cycle, via della Vetrina 9
Abiti Usati, via del Governo Vecchio 35
Roma Centro Sicurezza, vicolo Savelli 5/A
Pasticceria La Deliziosa, vicolo Savelli 48
Moves Fitness, via dei Coronari 46
Fres&Co Alimentari Italiano, via dei Coronari 94
Albero Antico Bonsai, via dei Coronari 16
Antica Libreria Cascianelli, Largo Febo 15

Krištof Kintera, Easy Rider, 2018, mixed media, cm 103 x 73 - Installation view at Monkey Cycles, Roma - Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Krištof Kintera, Easy Rider, 2018, mixed media, cm 103 x 73 – Installation view at Monkey Cycles, Roma – Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Krištof Kintera, The end of words, 2014, concrete, books, cm 230 x 40 x 50 - Installation view at Antica Libreria Cascianelli, Roma - Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni
Krištof Kintera, The end of words, 2014, concrete, books, cm 230 x 40 x 50 – Installation view at Antica Libreria Cascianelli, Roma – Courtesy z2o Sara Zanin Gallery, Roma, ph. by Giorgio Benni