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Condizione Assange | Intervista a Miltos Manetas

In questi ultimi mesi in cui il mondo intero si è trovato a fronteggiare un’emergenza sanitaria inaspettata, che ha obbligato miliardi di persone all’isolamento forzato, siamo stati chiamati più e più volte a interrogarci sulle possibilità, e le sfide, poste da una circostanza straordinaria come questa. Una sequela di progetti online, tra viewing rooms, mostre […]

Miltos Manetas_344 days in prison March_19_2020 Digital Print 42x60cm

In questi ultimi mesi in cui il mondo intero si è trovato a fronteggiare un’emergenza sanitaria inaspettata, che ha obbligato miliardi di persone all’isolamento forzato, siamo stati chiamati più e più volte a interrogarci sulle possibilità, e le sfide, poste da una circostanza straordinaria come questa. Una sequela di progetti online, tra viewing rooms, mostre e fiere virtuali, si è avvicendata a ritmo serrato alimentando posizioni discontinue sulla utilità presunta di alcune di queste iniziative.
A tal proposito, Condizione Assange, il progetto di Miltos Manetas ospitato nella Sala Fontana di Palazzo delle Esposizioni a Roma, ha senza dubbio il merito di porre contestualmente in discussione non soltanto il prodotto-mostra in quanto tale, ma anche, a un livello di lettura ulteriore e più profondo, lo statuto dello spazio pubblico in relazione alla fruizione, alla partecipazione e, non ultimo, all’aspetto politico – nell’accezione etimologica del termine – dell’opera d’arte e del suo contesto. La mostra – termine a tratti improprio e riduttivo -, che ha inaugurato l’11 maggio ovvero una settimana prima della fatidica riapertura, tra le altre attività, dei musei italiani, è costituita da una serie di circa quaranta ritratti di Julian Assange eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno. Non una mostra virtuale dunque, bensì uno spazio “interdetto” al pubblico – l’unica condizione posta affinché la mostra sia visitabile anche dopo la riapertura del Museo è che Julian Assange venga liberato – che potrà conoscere il progetto in progress e la sua documentazione attraverso i canali social e digitali del Palazzo delle Esposizioni e attraverso la pagina Instagram @condizioneassange creata da Manetas. Nella dinamica relazionale attivata dal progetto, il pubblico da spettatore a attore partecipe può addirittura divenire proprietario di uno dei ritratti dichiarando esplicitamente sui social il proprio desiderio di possederne uno. Lo scambio avviene dunque non a colpi di like, bensì attraverso un atto di volizione che lega inscindibilmente il destino del ritratto e del suo ideatore, quello del ritrattato e di chi lo riceverà. Fuor di metafora, è facilmente comprensibile quanto il messaggio e il progetto stesso riescano con nitidezza estrema a catalizzare l’attenzione su una storia e una figura che, a fasi alterne, rischiano di cadere nel grande magma del rimosso collettivo, sollevando temi e spunti di grande rilevanza che acquisiscono un valore e un significato universali, di più ampio respiro.

Miltos Manetas_20 days in prison April 30, 2019 24x39cm
Miltos Manetas, 2020, “162 days in prison (Julian Assange, Sept 20 , 2019)”, oil on canvas, 22x28cm Courtesy Anthony Stephinson, Paris
Miltos Manetas, 332 days in prison (Julian Assange, March 07, 2020) 25x41cm

“Se teniamo alla libertà di stampa e alla libertà di informazione, è assolutamente cruciale mobilitarci per Assange. Non è una questione che riguarda (soltanto) lui in persona. (La figura di Assange) rinvia a un contenuto ulteriore. E la sua eventuale, e ulteriore condanna, sarà un chiaro segnale. Un segnale di cosa? Un segnale di ciò che oggi, oltre all’ecologia e al tema dei rifugiati, rappresenta una guerra cruciale. La guerra per il controllo digitale delle nostre vite. […] Un nuovo stato di polizia sta emergendo. E l’aspetto tragico è che siamo controllati senza saperlo. Ci sentiamo liberi, non lo sappiamo. […] E Wikileaks rappresenta tutto questo. […] Dimenticate Assange, è un essere umano come tutti noi. […] (La questione cruciale) riguarda letteralmente il destino del nostro spazio pubblico. […] Dimenticate Assange e pensate piuttosto a cosa Assange rappresenti. Assange ha bisogno di voi ma, a un livello più profondo, voi avete bisogno di lui. Lui sta combattendo per voi. “

Questo discorso è stato pronunciato da Slavoj Žižek in occasione della petizione promossa, tra gli altri, da DIEM25, contro l’estradizione di Assange negli Stati Uniti. Ebbene, queste poche parole presentano con chiarezza alcuni temi cruciali che potrebbero essere utili a comprendere cosa stia accadendo al Palazzo delle Esposizioni di Roma in questi giorni con il progetto Condizione Assange. Il controllo digitale delle nostre esistenze – forse oggi più che mai attuale, con una situazione emergenziale che ha sollevato importanti questioni di ordine etico e politico – e l’emergere di uno spazio pubblico nebuloso in cui non siamo in grado di asserire la nostra “autentica libertà” sono soltanto alcuni di questi.

Miltos Manetas, 2020 “341 days in prison (Julian Assange, March 16, 2020)”, oil on canvas, 76×140 cm. Courtesy Massimo Sterpi, Rome, Italy
Miltos Manetas, 2020, “325 days in prison (Julian Assange, Feb 29, 2020)”, oil on canvas, 25x36cm Courtesy Paola Pivi
Miltos Manetas_Fourth day in prison April 14_2019 52x92cm Courtesy Priscilla Tea, Milan, Italy

Angelica Gatto: Nel testo che accompagna l’intervista cito un discorso di Žižek che parla dell’affaire Assange. Credo che dal discorso traspaiano alcune questioni importanti anche all’interno di questo progetto: se si, in che modo? Dipingere un ritratto al giorno sembra quasi una pratica meditativa, attraverso cui sperimentare e assorbire un tempo sospeso, ma non per questo meno vitale; il ritratto è poi strettamente connesso all’aspetto più riconoscibile della figura umana, il volto. Nella mia mente esso si relaziona alla storia dell’arte con un valore archetipico che è quello dell’asserzione del potere in un certo senso. É possibile che questi aspetti divengano degli elementi distintivi dei suoi ritratti per Condizione Assange?

Miltos Manetas: Io dipingo solamente quello che “devo dipingere”: le immagini che sono importanti per questo momento storico, per questa civiltà, il Mondo occidentale. Cerco anche di dipingere quello che non è stato dipinto. Il viso di Assange è stato dipinto moltissimo però sentivo che qualcosa mancava. Che, parlando di questo viso in particolare, era importante che un pittore – in questo caso io – dipingesse tutto quello che finora di lui era stato catturato solo con la fotografia.  Considera poi che io non ho mai ritenuto di avere il talento di dipingere visi, nelle mie pitture li facevo quasi sempre fare da un assistente e li ridipingevo sopra o addirittura proiettavo la pittura dell’assistente e la ricalcavo. Con Assange, questo talento mancante è stato generato: questo succede solamente se c’è un vero bisogno che qualcosa venga rappresentato, un bisogno collettivo.

Ecco, a questo bisogno collettivo credo che venga a rispondere Julian Assange – come personalità e anche come figura maschile. Come personalità per le ragioni che menziona Zizek che, nella stessa discussione che tu hai menzionato, dice: L’unico modo di tenere sotto controllo, magari addirittura di prevenire l’orrore di questo nuovo barbarismo tecnologico, sarebbe avere centinaia di Assange. Abbiamo bisogno di whistleblowers, di molti di loro. Come figura, Assange è importante perché la luce mediatica non è per niente riuscita a “illuminare” il suo viso. In genere questo succede con tutti. Visi piuttosto comuni, diventano interessanti solamente perché vengono ripresi così maniacalmente. Questi visi io non sarei mai capace di dipingerli. Come pittore, lo vedo chiaramente: questa gente NON ESISTE. Naturalmente non è sempre stato così per loro, una volta “c’era qualcuno dentro” a questo o quell’altro personaggio famoso, però milioni di fotografie l’hanno distrutto. Il viso di Assange invece è talmente fresco, come se uno lo incontrasse per la prima volta, come chi è appena arrivato da noi per compiere un certo lavoro, per portare un messaggio. Un messaggio importante a tal punto che lui è deciso a non andarsene finché noi non lo riceviamo. Costi quel che costi: è questa la storia di Julian Assange, lui -come Gesù nel suo tempo- è deciso a pagare.

Miltos Manetas, 2020, “347 days in prison (Julian Assange, March 22, 2020)”, 50x80cm, oil on canvas, Courtesy Simone Marini, Rome
Miltos Manetas, 2020, “345 days in prison (Julian Assange, March 20, 2020)”, digital Print and animation (Erasing Assange) Unique signed edition. Courtesy Christos Tzovaras, Thessaloniki, Greece

AG: Il suo progetto possiede un intento relazionale; attraverso l’impiego di livelli molteplici di comunicazione, esso implica alcuni aspetti cruciali: l’opera d’arte come dono, l’inaccessibilità dello spazio pubblico, l’effimero. Potrebbe spiegarmi meglio questi punti?

MM: Non si tratta di un regalo: il regalo lo fanno a me le persone che accettano di ospitare un Julian Assange. Queste pitture sono strumenti di propaganda: mentre uno le riceve,  presta il suo nome alla causa, diventa parte dell’#AssangePowerTogetherness. Presta addirittura il proprio profilo e diventa anche lui/lei formalmente Assange. Questo avviene attraverso l’account instagram @CondizioneAssange che è per me l’estensione del luogo dove avviene la mostra. Per me “Condizione Assange”,  più che una mostra, è un’opera d’arte che viaggia in parallelo con la serie dei miei ritratti. Credo infatti che più un’opera è significativa, più impossibile diventa la sua esibizione per la semplice ragione che se un’opera è carica -come una donna incinta – nel momento in cui incontra l’occhio pubblico genera situazioni ben diverse da quello che rappresenta in se stessa. L’esposizione “Condizione Assange” non parla di Julian Assange – o almeno non parla solamente di lui: parla di tutti noi privilegiati, auto confinati in qualche posto piuttosto comodo e che si suppone sicuro. Siamo tutti nella stessa condizione, una volta entrati nel rifugio non sappiamo come uscirne perché non possiamo più ignorare le dinamiche del conflitto là fuori. E chiaro che la nostra crisi attuale c’entra poco con quel Virus: il Covid19 ha solamente reso visibili le pallottole che già volavano da tutte le parti. Come ha detto Noam Chomsky – nella stessa serie di DiemTV – La Corona Virus Crisis non è altro che un colossale fallimento del Mercato e noi – purtroppo – siamo il Mercato. Assange pure lo è..

AG: Pensa che questo stato di isolamento temporaneo possa estendere la capacità di soffermarsi e riflettere su questioni politiche che stanno diventando sempre più rilevanti nelle nostre vite? Mi spiego meglio, abbiamo avuto molto tempo a disposizione per riflettere, ma, al contempo, abbiamo anche negato, quasi con un meccanismo implicito di rimozione, questa stessa opportunità per via della paura del futuro.                 

MM:
Parlando con Bartolomeo Pietromarchi, lui mi ha detto: “Se dopo questo non ci viene la voglia di cambiare tutto, vuol dire che siamo morti già”.

Miltos Manetas, 2020, “358 days in prison (Julian Assange, April 2, 2020)”, Oil on plastic-wrapped canvas, 23x30cm. Courtesy Luigi Trotta, Brussels, Belgium.
Miltos Manetas, 2020, “379 days in prison (Julian Assange, April 23, 2020)”, Waterbased Oil and pen and pencil on canvas, 34x44cm Courtesy Tomas Mantilla, Bogota, Colombia
Miltos Manetas, 2020, “371 days in prison (Julian Assange, April 15, 2020)”, Oil on canvas, 30x37cm Courtesy Alessandro Gai , Rome