Dopo TRIPLA, lo spazio costituito da tre vetrine in via dell’Indipendenza, Live Arts Week ha collaborato per l’ultima edizione – svoltasi dal 4 al 16 aprile 2019, in più sedi – con l’artist run space Gelateria Sogni di Ghiaccio diretta da Mattia Pajé e Filippo Marzocchi.
Per il progetto “C’è un inganno nel crepuscolo 2” realizzato in occasione dell’evento bolognese, Pajé e Marzocchi – insieme a Giovanni Rendina, Andrea Magnani e Daniele Guerrini – hanno trasformato gli spazi della galleria in un palcoscenico animato da giganteschi pupazzi, provenienti dalla tradizione carnevalesca, dei quali non rimangono altri che resti. I colori, la folla e le grida della parata sembrano ormai lontani, scoloriti e indeboliti. Oggetti pensati e creati per essere osservati in movimento vengono privati della loro vitalità e trasformati in meri fantocci che, come bambole di porcellana in una stanza oscura, toccano tensioni interne inaspettate.
Rispondono ad alcune domande: Mattia Pajè, Giovanni Rendina.
“C’è un inganno nel crepuscolo 2” è il progetto che avete presentato a questa edizione di Live Arts Week. Di cosa si tratta?
“C’è un inganno nel crepuscolo 2” è un’installazione vivente, un ambiente attraversabile e ascoltabile. Il lavoro nasce dalla collaborazione tra gli artisti Filippo Marzocchi, Mattia Pajè, Andrea Magnani, il curatore Giovanni Rendina, il compositore Daniele Guerrini e l’associazione carnevalesca Mazalora 1947.
Lo spazio espositivo è buio e completamente saturato di volumi scultorei, frammenti di grandi composizioni carnevalesche che hanno vestito enormi carri durante le parate folcloristiche. Teste umane e animali, braccia e pezzi di corpi si sovrappongono in un ambiente che sembra popolato di rottami, vecchi sogni distrutti, ricordi lontani di festeggiamenti, fiabe invecchiate.
Ci interessava recuperare i resti di un mondo tanto sfavillante quanto effimero e riproporlo in un’accezione fisicamente statica, quasi inquietante, come quando nei cartoni animati per bambini i giocattoli nel buio contribuiscono a creare un’atmosfera ambigua, prima dell’improvvisa entrata in scena del mostro cattivo.
Un tappeto sonoro proveniente da speaker, installati nascosti dentro alle strutture, riempie ulteriormente il luogo immergendolo in un clima denso, in attesa di un possibile lugubre evento, prossimo e imprevedibile.
Poi la luce trema e si accende, due personaggi iniziano un dialogo destinato a fondersi in un’unica voce.
Come avete lavorato insieme?
Il lavoro nasce dall’esplorazione dei magazzini di San Matteo della Decima, dove l’associazione Mazalora 1947 stipa i resti di grandi carri carnevaleschi, che produce per il Carnevale di Cento.
L’associazione ogni anno realizza un carro con un tema differente, producendo da zero tutte le maschere che si montano assieme per creare una coreografia mobile, un agglomerato di personaggi meccanicizzati montati su una grande pedana trasportabile.
Filippo e Mattia hanno iniziato nel 2017 a spostare e ricollocare gli elementi scenici ormai inermi dei carri verso contesti espositivi. Live Arts Week ha istigato ulteriori inclusioni ideative e realizzative, che coinvolgono la collaborazione con Giovanni nella confutazione curatoriale, con Andrea nella scrittura di un dialogo librettistico e con Daniele che ha sonorizzato l’ambiente e il testo.
Abbiamo lavorato concentrandoci singolarmente sulle diverse parti del progetto e confrontandoci in gruppi parziali o completi a seconda delle situazioni, come una sorta di troupe cinematografica dove ognuno ha compiti diversi ma l’obiettivo finale è unico.
In che modo nel lavoro confluiscono le ricerche che portate avanti come artisti e curatori?
Questa domanda avrebbe bisogno di cinque risposte personali. Le nostre ricerche confluiscono in modi diversi per ognuno. Di certo nella realizzazione di questo lavoro la fluidità dei ruoli è stata determinante per la sua realizzazione.
Per quanto riguarda la parte visiva, come già accennato, si è sviluppata a partire da un progetto le cui radici risiedono in pratiche precedenti. Un esempio è la mostra collettiva Jollies, realizzata a Torino nel 2017 in occasione di NESXT, organizzata da Gelateria Sogni di Ghiaccio all’interno di una vecchia officina nel quartiere San Salvario di Torino. 11 lavori di 11 artisti circondavano una grande testa di cartapesta, anch’essa recuperata dai magazzini dell’associazione Mazalora. In questa occasione l’intervento curatoriale, più estetico ed intuitivo che teorico, andava a confondersi con una pratica più autoriale, recuperando e ricollocando un elemento artigianale e folcloristico che spiccava per la sua scala in uno spazio ridotto.
La definizione di opera, di curatela e di autorialità si fluidificano in un’operazione non facilmente definibile, rafforzata dalla presenza di una circostanza più usuale, come la mostra collettiva. Così come in quella occasione, anche in C’è un inganno nel crepuscolo2, l’autorialità è in bilico tra le definizioni.
In una visione che sembra apocalittica, alla ricerca di “un punto di partenza”, quali sono i temi sollevati che abbiano un’attinenza stringente con l’uomo contemporaneo? In altre parole, c’è un’“urgenza” che volete comunicare o preferite descrivere un tempo caotico dominato dalla confusione?
La ricerca del punto di partenza è la chiusura di un ciclo o l’apertura di una nuova coscienza nell’azione. Ripercorrere le sensazioni pulite della paura infantile, del personaggio “buono” in pericolo, dell’identificarsi in una soluzione possibile sono indubbiamente urgenze intuitive, libere dalla razionalizzazione, che utilizzano i corpi umani come mezzo di locomozione per rendersi palesi. Il tempo caotico dominato dalla confusione se esiste è solo il paio di occhiali che abbiamo scelto di metterci per vederlo. In generale comunque preferiremmo lasciare al lavoro la responsabilità di definire come si muove, del resto il presente sta succedendo adesso.
Nel programma di Live Arts Week il progetto è descritto facendo riferimento a molti aspetti del mondo mitologico: dal luogo leggendario del cimitero degli elefanti alla creazione della divisione della terra e il cielo nella mitologia egizia con Geb e Nut…
Al parco Indro Montanelli di Milano c’è un trenino elettrico su cui i bambini possono salire per 10 minuti con poche monete, ogni giro di giostra il macchinista adulto fa fischiare il treno. A marzo 2019 ci siamo trovati seduti su una panchina al parco di fianco a questo trenino, era periodo di carnevale e i bambini erano travestiti, c’era Spider-man, Hulk e Cenerentola. Abbiamo prodotto un piccolo testo, che è poi stato usato come comunicato stampa:
“Piove dal terreno. C’è un inganno nel crepuscolo 2 in quel momento tra chiaro e scuro, quando i fiori di carciofo si illuminano e le casacche sportive bucherellate brillano di luce propria, più scure e appiccicose nei punti sudati. I poli s’impastano in un centro ambiguo, grigio.
Geb e Nut stanno copulando, si sente una voce priva di genere, un sibilo ermafrodita.
Il riciclo d’identità genera un film statico, una narrazione tra il morto e il vivo, risultato di un’esplorazione nel cimitero di elefanti, che esiste. Una nuova alba nel tramonto, gli esseri umani spostano tonnellate nel tentativo di desaturare il colore e raggiungere un punto di partenza.”
In questa “narrazione tra morto e vivo” lo spettatore che ruolo ha?
L’ambiente muta nel tempo, lo spettatore può trovare differenti condizioni di luce e di suono a seconda del momento: dall’oscurità immersa in tappeti sonori a un’atmosfera più nitida, illuminata, dove le figure si delineano chiaramente e dove due delle maschere si attivano dialogando. In questo scenario lo spettatore si confronta con uno spazio saturo, è invitato ad addentrarsi e scoprire l’ambiente, ad inciampare, districarsi tra i volumi e ascoltare.
Le mostre a Gelateria sono accompagnate da una fanzine. Ne verrà prodotta una anche in questa occasione?
Si, il fogliaccio viene prodotto per ogni evento a Gelateria. Per questa occasione è stato prodotto anche un fotoromanzo di 10 pagine dove i personaggi sono fotografie delle maschere in disuso che abbiamo trasportato nello spazio.