Caterina Silva parla di due nuclei fondamentali della sua ricerca, la lingua e lo spazio, per introdurre la tappa finale del progetto Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə, ideato per MACTE Digital, piattaforma digitale del Museo di Arte Contemporanea di Termoli, in cui gli artisti sono invitati a sperimentare e a creare nuovi mondi e immaginari. Caterina Silva ha proposto un vero e proprio viaggio, in cui il suo personaggio – Moira – si è sviluppato in forme diverse – un testo, uno screensaver, uno spazio sonoro, un’animazione, una performance – per abbattere il soggetto, in senso fisico e linguistico, e trasformarlo. Il lungo percorso, quasi “mistico”, è stato scandito da alcune tappe, individuate attraverso il calendario lunare: Moira ha assunto progressivamente una forma fino alla performance “rituale” finale, realizzata in uno spazio “fisico” e “reale” ma trasmessa in streaming e accessibile a chiunque.
La ricerca di Caterina Silva si concentra sul linguaggio, e in particolare sulla lingua italiana, con l’obiettivo di destrutturare quelle che sono categorie ed “etichette” e ritrovare, nella parola, una forza trasformativa che possa agire sul contesto senza imprigionarlo o dominarlo. L’artista ha risposto a qualche domanda per raccontare il progetto e per approfondire il personaggio affascinante, ibrido e mutevole che è Moira.
Veronica Pillon: Moira, secondo la definizione del termine greco data dal vocabolario Treccani, “è l’espressione della fissità delle leggi fisiche che governano il cosmo e la vita degli uomini, e dell’immutabilità delle leggi morali che mantengono l’equilibrio sociale…; più genericamente viene intesa come fato o destino”. Moira è anche il titolo del progetto che hai realizzato per MACTE Digital, il nuovo programma digitale del Museo di Arte Contemporanea di Termoli. Che significa per te “moira”, perché l’hai scelto come titolo del progetto e quali sono i legami, se esistono, con l’accezione data in greco antico?
Caterina Silva: La scelta del nome Moira è connessa a una ricerca iniziata nel 2019 sulle Mouras Encantadas del folklore portoghese, creature di forma mutevole, guardiane di spazi liminali dove si credeva che il soprannaturale potesse manifestarsi. Appassionate di pane sciapo e latte, secondo alcune leggende sono le antiche costruttrici dei Dolmen, eppure vivono imprigionate in un incantesimo imposto loro da padri o fratelli. Mi interessa la commistione di sfuggevolezza e potenza, costretta però a non manifestarsi. La radice della parola “Moura” deriva probabilmente dal Celtico “MRVOS” ma è vicina al greco “μοῖρα”, giusta ripartizione e quindi morte, destino, tempo. Il legame con l’accezione greca delle “Moire” è quindi un passaggio ulteriore che per assonanza apre ad altre interpretazioni. In realtà le Mouras sono più simili alle nostre ninfe. Vedo Moira come una Moura fuori controllo, che dopo aver costruito Dolmen, raggira o sconfigge padri e fratelli, trova un modo per rompere l’incantesimo e arriva nel sito del MACTE.
VP: Il progetto, curato da Marta Federici, si è svolto in più tappe e in più forme: come si è sviluppata la narrazione? Quali sono le forme che hai adottato nelle singole tappe?
CS: Moira è un essere ibrido a metà tra persona e cosa, quindi per sua natura cambia costantemente forma. Nella prima tappa appare come un testo animato, la sua stessa storia narrata in terza persona, su uno sfondo liquido realizzato con Sezione Grafica. Nel racconto Moira si muove in un mondo silenzioso e bianco, composto di solidi fatti di parole, di cui si nutre al bisogno. Non sa esattamente dove andare e costruisce un suo sistema di riferimento non basato sul libero arbitrio. Per la seconda tappa si trasforma in uno screensaver, sonorizzato da Andrea Koch e ispirato al quadro Interspazio 10 di Anselmo Anselmi, parte della collezione permanente del MACTE. L’opera rappresenta delle porte che affacciano su di uno spazio vuoto. Ho immaginato che Moira entrasse nel sito dal retro del quadro*.
Per la terza tappa Moira torna brevemente testo per poi manifestarsi finalmente come animazione 3D, modellata e animata con Ruben Piergiovanni, in una stanza spoglia. Creatura ibrida in parte animale, in parte umana, in parte vegetale, Moira trova nella stanza un dispenser di latte fresco e del pane sciapo. Mangia e beve avidamente e inizia a vomitare ciò che il suo intestino conteneva, cioè parole. Le agisce e le pronuncia. Le parole che Moira ha potuto mangiare nel tragitto che l’ha portata a noi sono parole che mettono in relazione persona e cosa.
L’ultima tappa del progetto, che ha sostituito temporaneamente la narrazione sul sito del MACTE è una performance dal vivo, un rituale in onore di Moira, in cui cinque corpi/persone interagiscono nello spazio pubblico a partire dai suoi gesti e dalle sue parole.
*Nella narrazione iniziale, che costituisce la prima tappa del racconto, Moira si imbatte nella versione linguistica del retro dell’opera, composta dalle parole che più spesso vengono catalogate come spam dai filtri antivirus di posta elettronica.
VP: Sempre in relazione alle singole fasi del progetto, la scansione è stata data dal calendario lunare: da dove deriva questa scelta?
CS: Il calendario lunare è forse il più antico metodo di scansione del tempo dell’essere umano, comune a varie tradizioni e culture.
Il luogo che Moira attraversa per arrivare su MACTE Digital non è identificato geograficamente, è un mondo prettamente linguistico e autoreferenziale; il sistema di calcolo del tempo di Moira è infatti il battito di palpebra. Usare le fasi lunari per scandire questo attraversamento dalla nostra prospettiva è un modo per contrapporre qualcosa di ancestrale e oggettivo, come la luna, alla dimensione straniante che assume il linguaggio quando perde la connessione con il reale. Quando il potere magico di creare mondi attraverso la parola si affievolisce e le cose non hanno più ragione di esistere di per sé ma solo in funzione della loro presenza all’interno di serie linguistiche astratte**. La luna agisce sulle attività naturali della terra e sui corpi animali e umani, ha una potenza viscerale che sposta il ragionamento verso territori non linguistici, non dicibili, ineffabili.
**Come ad esempio il capitalismo finanziario che non traduce semplicemente il mondo nelle sue strutture linguistiche, ma crea un mondo che coincide esattamente con queste strutture.
VP: Il 26 maggio si è svolto l’ultimo momento di questo viaggio, espresso da una performance corale trasmessa in diretta su Twitch e su MACTE Digital. La performance si è svolta all’aperto, all’interno di uno spazio pubblico – un ponte – e ha visto coinvolto un gruppo di performer, tra jogger e passanti. Che significato ha per te lo spazio? L’azione si è infatti svolta in un luogo fisico e “reale”, il ponte appunto, ma è stata trasmessa nel web, diventando allo stesso tempo parte di un altro spazio, quello virtuale.
CS: Il progetto Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə è nato in relazione alla dimensione online e cerca di rispondere ai suoi parametri assumendone le forme e l’estetica. La scelta di trasmettere le riprese (di Margherita Panizon) della performance su MACTE Digital attraverso Twitch, piattaforma usata inizialmente per lo streaming di videogiochi, riflette questa esigenza.
Svolgere il rituale in onore di Moira in un luogo pubblico, oltre che IRL, fisico “reale”, è un modo di spostare l’attenzione dalla sfera online, spesso individuale e isolante, a una dimensione collettiva di corpi nello spazio aperto, comune. Un tentativo di avvicinarsi a Moira e alla sua condizione di persona/cosa aprendosi contemporaneamente all’imprevisto del quotidiano. Con la curatrice del progetto Marta Federici, abbiamo cercato un luogo di passaggio, che contenesse elementi naturali e urbani, che non fosse immediatamente riconducibile a un immaginario geografico definito e che avesse un suo carico magico intrinseco.
Lavorando dal vivo cerco di instaurare un rapporto spontaneo con i luoghi e le loro caratteristiche, a prescindere dalla loro storia, sia nel caso di spazi espositivi bianchi, musei, palestre, strade, chiese.
VP: Ora che il progetto si è concluso, cosa pensi (e speri) di aver trasmesso al pubblico?
CS: Il progetto si muove su vari piani ed è disseminato di riferimenti più o meno leggibili al mondo in cui viviamo e alle parole che usiamo per descriverlo. A cosa ci spinge ad identificare una persona come oggetto, e quindi a riservarle un trattamento “inumano” o invece a innalzare qualcos’altro allo statuto di persona attraverso meccanismi culturali, morali o religiosi escludenti. Vedo la complessità come un fiume sotterraneo da lasciare libero di scorrere. Viviamo un momento particolare e stiamo lentamente capendo come decostruire il nostro razzismo interno, la nostra volontà di colonizzare, antropomorfizzare, sfruttare, catalogare, controllare. Il dispositivo che con Moira mi interessa scardinare è il linguaggio, in questo caso l’italiano, perché è la radice della nostra coscienza, da cui possono scaturire mostri come invece realtà possibili di coesistenza.
Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə
Ideazione e realizzazione Caterina Silva
Curatela Marta Federici
Animazione e modellazione 3D Ruben Piergiovanni
Dimensione sonora Andrea Koch
Voce Moira Ornella Paglialonga
Performer Caterina Silva, Giuseppe Vincent Giampino, Marta Montevecchi, Matteo Locci, Natalia Agati
Consulenza linguistica Andrea Zaninello
Riprese video Margherita Panizon
Prodotto dal MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli
Design Sezione Grafica
Code Dude