Dentro e fuori l’opera di Baruchello. Sogni, memoria e oblio in scena al Mart

La mostra raccoglie più di trecento opere che raccontano e illustrano la variegata e prolifica produzione dell’artista livornese
18 Giugno 2018

“Qualsiasi parola vi verrà in mente sarà quella giusta”. Con questo incitamento, liberatorio e benaugurante, esordisce Gianfranco Baruchello alla presentazione della sua retrospettiva, curata da Gianfranco Maraniello presso il Mart di Rovereto, fino al 16 settembre.

La mostra raccoglie più di trecento opere che raccontano e illustrano la variegata e prolifica produzione dell’artista livornese, durante una carriera condivisa con altri autori capitali del secolo breve come Marcel Duchamp, Italo Calvino e Jean-François Lyotard.

La comune critica ai modelli del potere e la decostruzione degli ordini di senso precostituiti, sono le modalità di pensiero che anche il curatore Maraniello ha cercato di mantenere nell’azione di resa museografica dell’opera di Baruchello. Il museo, ha spiegato il curatore, produce per induzione una classificazione sugli oggetti che esso ospita, tuttavia, questo paradigma entra in crisi al cospetto della produzione di Baruchello. Ben presto, davanti a queste opere poliedriche e tematicamente proteiformi, si rischia di sconfinare nel fantastico, o nella follia, poiché nel caso di Baruchello le tipologie sono così numerose e varie che non è facile tenere il passo. Ci sono dipinti che si realizzano nello spazio come sculture, opere sul territorio come installazioni con piante, e poi collage, scatole, video e opere interattive.

Gianfranco Baruchello - Installation view - Photo Mart, Bianca Lampariello

Gianfranco Baruchello – Installation view – Photo Mart, Bianca Lampariello

All’ingresso è posta, emblematicamente, l’installazione di piante velenose Giftplanzen, Gefahr! (Piante velenose, Pericolo!) del 2009, che ci mette in guardia rispetto quelle forme affascinanti ma nocive. Si prosegue con Casa in fil di ferro, 1975-1982, poi con quasi duecento disegni, molti esposti per la prima volta, dove, al limite fra segno pittorico e scrittura, Baruchello esplora e testa le visioni che si concretizzeranno in opere successive. E quindi le scatole di plexiglass con le loro stratificazioni di sogni e due nuove opere: L’archivio ci guarda, selezione d’immagini dal grande archivio visivo della Fondazione, e Le moi fragile un set al contempo cinematografico e psicanalitico. Poi la pittura con le grandi tele Lo zero di Gödel, 1963, Altopiano dell’incerto, 1965, La presqu’île intérieure, 1963; l’opera interattiva L’oblioteca, 2018, una damnatio memoriae che ci invita a consegnare le parole che vogliamo dimenticare a una bottiglia, per liberarci dal fardello del ricordo. Il percorso si conclude al buio con tre video: Il grado zero del paesaggio del 1963, sua prima opera filmica; Filming Marcel Duchamp, 1964, e Tre lettere a Raymond Roussel, 1969. La mostra è, insomma, un giro nei mondi di Baruchello dal 1958 fino al 2018, una sorta di esercizio di convergenze, come l’ha definita Carla Subrizi, che esemplifica bene la varietà dei media con cui Baruchello ha lavorato.

Gianfranco Baruchello - Installation view - Photo Mart, Bianca Lampariello

Gianfranco Baruchello – Installation view – Photo Mart, Bianca Lampariello

La costante fra tutte queste pratiche è l’anelito alla fuga dai limiti che i vari media impongono, la ricerca d’espressività è quel sottofondo che connette l’intera ricerca e pratica di Baruchello; l’artista difatti, ogniqualvolta sembrava aver trovato una strada efficace, ha optato per una variante e ha sempre scansato movimenti e correnti; mai Pop nei disegni con gli smalti industriali, mai Concettuale nelle elucubrazioni sulla lingua, né Institutional critique con le azioni dentro o fuori i musei. La sua opera sembra quindi un gioco di scatole cinesi che s’incastrano l’una nell’altra con rimandi, concatenazioni e mise en abyme. Baruchello costruisce sfide al vedere, perché, in fondo, la raccolta qui presentata ci permette una panoramica sull’universo ramificato di paesaggi mentali e interstizi fra significato e significante, dove parole, segni, ritagli d’immagini e mappe creano un insieme estremamente libero, contraddittorio, ermetico e onirico. Un montaggio allegorico d’immagini e pensieri colati in una fusione magmatica fatta di personale, politico, letterario e scientifico. Opere che si biforcano fra più interpretazioni e dicotomie; esse incarnano l’ambivalenza, ma, prima ancora, rappresentano l’apertura e l’inclusione. Sono “ambigrammi”, come li ha definiti Paolo Fabbri, elementi al limite fra i codici visivi e linguistici, in cui il peculiare codice pitto-alfa-numero di Baruchello, che preconizza forse anche le emoticons, è, ancora oggi, un linguaggio nel quale solo ciò che è impossibile è certo, tutto il possibile rimane, invece, incerto.

Gianfranco Baruchello - Installation view - Photo Mart, Bianca Lampariello

Gianfranco Baruchello – Installation view – Photo Mart, Bianca Lampariello

Gianfranco Baruchello, Autonomia della morte all'angolo di via Fiuminata il nove settembre 1974, 1974.  Mart, Collezione VAF, ph Carlo Baroni

Gianfranco Baruchello, Autonomia della morte all’angolo di via Fiuminata il nove settembre 1974, 1974. Mart, Collezione VAF, ph Carlo Baroni

Gianfranco Baruchello - Installation view - Photo Mart, Bianca Lampariello

Gianfranco Baruchello – Installation view – Photo Mart, Bianca Lampariello

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