Sol Indiges. Arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro è il progetto, curato da Marcello Smarrelli, nato dalla sinergia tra il Comune di Pomezia e la Fondazione Pastificio Cerere con la volontà di incrementare il patrimonio culturale della città attraverso gli interventi nello spazio pubblico di Agostino Iacurci e ivan (Ivan Tresoldi). Alla prima fase del progetto si lega “L’antiporta” di Agostino Iacurci intervenuto sulle architetture della Biblioteca Comunale Ugo Tognazzi attraverso una rilettura degli spazi che guarda al cromatismo e ai codici espressivi della pittura murale romana, rimodulata con un lessico contemporaneo. La caverna dalle cento porte della Sibilla Cumana, le soglie che conducono all’Averno, la misteriosa porta in tufo dell’Heroon di Enea conservata al Museo di Lavinio, le porte varcate da Dante e Virgilio nella Divina Commedia, costruiscono un universo immaginifico che si nutre del mito e del suo passato, dell’archelogia e della storia, eleggendo la biblioteca a tempio laico della città e dei suoi abitanti. In stretta continuità con gli intenti del progetto, che si interroga sulle questioni correlate allo spazio pubblico, alla comunità e alle potenzialità dell’arte come medium espressivo in grado di rivivificare il loro rapporto, Iacurci ha elaborato un complesso ciclo pittorico che riflette l’esigenza di comunicare nuove chiavi di lettura sul passato e sulla sua connessione con il presente più attuale.
AG: “Penso che le questioni correlate allo spazio pubblico, all’abitare, alle comunità, alla rigenerazione urbana siano oggi le più urgenti e interessanti: così si è espresso Marcello Smarrelli, curatore del progetto che ti vede coinvolto nella realizzazione di un intervento di pittura murale lungo tutte le pareti della Biblioteca Ugo Tognazzi di Pomezia. Qual è stato il tuo approccio al progetto in relazione allo spazio pubblico, alla città, ai suoi abitanti?
Condivido che i temi posti da Marcello siano tra i più urgenti ed interessanti. Dal mio canto mi sentirei di dirti che io sono solo un umile pittore. Credo che la realizzazione di un dipinto possa modificare la percezione di un luogo, creare dei momenti di dibatto, funzionare da attivatore di una comunità (anche solo per amor di polemica), ma se parliamo di rigenerazione urbana entriamo in un territorio molto complesso ed articolato dove una singola iniziativa può fare ben poco se non è inserita in un quadro più ampio di politiche di progettazione e programmazione.
Nel mio piccolo ho provato a mettermi in ascolto, cercando di entrare in sintonia con il luogo e gli abitanti. Dal punto di vista formale ho cercato di creare una sorta di ciclo pittorico in esterno in dialogo con l’architettura e la piazza circostante. Per quanto riguarda invece il processo, quando realizzo i miei interventi cerco sempre degli appigli al territorio perché credo che in tal modo il lavoro possa arricchirsi di ulteriori chiavi di lettura – stratificarsi. Nel territorio di Pomezia c’è una grande ricchezza di storie e reperti. Ho quindi raccolto alcuni di questi materiali, e ho cercato di costruire una sorta di patchwork da frammenti di storie che mi hanno colpito.
Ormai da diversi anni mi interesso a temi legati al mondo classico greco e romano; dal 2019 con Marcello Smarrelli abbiamo iniziato una fruttuosa e stimolante collaborazione, una sorta di sfida giocosa ai grandi classici, Vitruvio prima e Virgilio ora.
AG: L’antiporta, questo il titolo che hai scelto per rileggere gli spazi della biblioteca: come ti sei relazionato con i riferimenti storici e mitologici che ti sono stati di ispirazione e come questi si sono integrati all’interno della tua pratica artistica?
Mi ci sono relazionato in maniera molto libera. Nel primo sopralluogo a Pomezia ho visitato il Museo Archeologico Lavinium, e lì sono stato colpito in particolare da alcune statue in terracotta di fanciulle e fanciulli “donanti” e dalla grande finta-porta in tufo dell’Heroon di Enea, un tumulo sepolcrale che si trova a Lavinio.
Guardando il prospetto principale della biblioteca, con le sue due grandi facciate perpendicolari simili alla copertina di un libro, ho associato l’ingresso all’immagine della porta dell’Heroon. Rileggendo poi l’Eneide mi sono imbattuto in questo passo suggestivo del libro VI in cui Virgilio descrive l’antro della Sibilla Cumana come un antro in cui 100 porte si spalancano all’unisono nel momento in cui la Sibilla rivela il suo presagio. Nei dipinti all’ingresso ho convogliato tutte queste immagini in una sorta di facciata monumentale composta da un grande portone spalancato fatto di tante piccole porte e due nicchie simmetriche con all’interno due fanciulle con in mano una palla, riferimento da un lato alle statue del museo di Lavinium, dall’altro all’arte divinatoria delle Sibille.
Ho scelto il titolo “L’antiporta” perché questo termine ha vari significati in diversi campi. L’antiporta in tipografia, specialmente nei libri antichi, è la pagina che precede il frontespizio spesso adornata da un ritratto o un disegno allegorico. In architettura invece è una porta posta davanti ad un’altra oppure un vestibolo.
Quella parte del dipinto per me è una grande antiporta allegorica e mi piaceva l’idea di intitolare il lavoro con un termine tecnico che rimanda sia all’architettura che al mondo librario, che sono i due cardini che hanno guidato l’ideazione e la realizzazione dei dipinti murali con le forme della biblioteca da un lato e i riferimenti ai libri e alla letteratura, in particolare all’Eneide, dall’altro.
AG: Vorresti raccontarmi un dettaglio del palinsesto di motivi decorativi, cromatici e figurativi che ricorrono ne “L’antiporta”, un particolare che ritieni significativo in relazione al progetto e alla declinazione che hai voluto dargli?
Ci sono tanti temi: la magia appunto con le Sibille ed il ramo d’oro, i riferimenti alla pittura dei vasi greci e alla pittura murale romana, il gioco con le forme dell’architettura, con l’ingresso che diventa un portale di un tempio e la grande curva che diventa una sorta di teatro romano.
Se dovessi scegliere un tema particolarmente significativo direi quello delle navi. Per me rimandano all’aspetto che più di tutti mi interessava dell’Eneide, ossia quello del viaggio e la dimensione di “profughi” del manipolo di fuggiaschi di cui Enea si mette alla guida e che poi fonderanno, unendosi agli autoctoni, quello che sarà il primo nucleo della futura Roma. Due delle navi hanno inoltre il profilo di un cavallo. Questa scelta rimanda ad una recente teoria dell’archeologo navale Francesco Tiboni che sostiene che il cavallo di Troia fosse in realtà una nave, un Hippos fenicio. L’equivoco millenario sarebbe nato da un errore nella traduzione dei testi successivi a Omero, ai quali si ispirò lo stesso Virgilio per comporre l’Eneide. Se così fosse, una delle immagini più potenti della storia della letteratura, quella del grande cavallo con la sorpresa, sarebbe frutto di un errore. Trovo molto interessante come la storia contenga in sé gli elementi per una sua costante riscoperta.