ANIMA(L)RAVE, Villa Manin | Intervista con i curatori

"Il termine animale deriva da anima, ovvero “principio vitale”, “soffio”. Quindi qui la parola animal viene intesa nella sua doppia accezione: alla centralità dell’alterità animale nelle dinamiche progettuali di RAVE e poi nel senso originario di soffio vitale, come essenza universale della vita, mette in luce il tema del biocentrismo, focus del progetto RAVE."
16 Febbraio 2018

Villa Manin a Codroipo inaugura la nuova sala esposizioni della Barchessa di Levante, appena restaurata, con il progetto ANIMA(L)RAVE, che racconta la storia di RAVE East Village Artist Residency attraverso le opere prodotte in sette anni di attività da parte degli artisti ospitati nella residenza friulana. La mostra, curata da Daniele Capra, Isabella e Tiziana Pers, raccoglie infatti per la prima volta tutti i lavori svolti da Regina José GalindoIgor GrubićIvan MoudovAdrian PaciDiego Perrone e Tomás Saraceno durante il periodo trascorso nel territorio del Friuli Venezia Giulia. La mostra è visibile fino all’11 marzo 2018.

Abbiamo posto alcune domande ai curatori della mostra Daniele Capra, Isabella e Tiziana Pers.

ATP: Partiamo dal titolo della mostra: ANIMA(L)RAVE. Come nasce e cosa indica?

Il termine animale deriva da anima, ovvero “principio vitale”, “soffio”. Quindi qui la parola animal viene intesa nella sua doppia accezione: alla centralità dell’alterità animale nelle dinamiche progettuali di RAVE e poi nel senso originario di soffio vitale, come essenza universale della vita, mette in luce il tema del biocentrismo, focus del progetto RAVE. Evidenzia il percorso che l’umanità sarà necessariamente costretta a percorrere, scendendo dal trono dell’antropocentrismo. È necessario partire dalle relazioni interspecifiche e intraspecifiche del nostro tempo per andare verso un futuro dove ogni singola vita, per quanto differente dal modello dominante, lontana o poco riconoscibile, diventi centrale. Questo comporta ripensare ai rapporti tra i singoli individui umani, tra gli animali umani e non-umani, ed infine tra gli umani e gli ecosistemi ambientali nel complesso, in direzione di nuove forme di pensiero e nuove metodologie d’azione.

ATP: I lavori sono nati nel RAVE East Village Artist Residency, un territorio molto particolare nella campagna friulana. Che influenza ha avuto questo sugli artisti? E secondo voi quale può essere l’aspetto interessante dell’incontro tra questa realtà e gli artisti contemporanei in generale?

Il Friuli è una terra meravigliosa. Possiede molti colori fatti di persone spesso scarne di parole, ma vere in ogni senso, con una generosità diretta ed un profondo senso dell’accoglienza. Alla prima edizione RAVE avevamo pochissimi fondi così abbiamo chiesto aiuto al comune di Trivignano Udinese e ai paesi vicini da cui abbiamo avuto un grande supporto: chi ha donato un pranzo per artisti e ospiti, chi una notte in agriturismo, chi materie prime. RAVE si fonda infatti su di una caratteristica che rende la progettualità unica, poiché il focus verte sulla condivisione di spazio e tempo con animali salvati dal mattatoio. Il che significa confrontarsi direttamente con coloro i cui corpi vengono sottratti dalla vista per essere resi dalla società come prodotti di consumo. Significa ricercare quindi le radici di un rapporto antico che si è perduto. Per questo il cibo offerto agli ospiti è privo di animali e derivati animali. L’interazione tra animali umani e non umani avviene in un luogo il più libero possibile: ci sono ampi spazi verdi per quanto, purtroppo, recintati. La presenza stessa dei recinti si fa monito di quanto l’uomo abbia colonizzato l’ambiente, antropizzato i luoghi, plasmato e modificato il senso stesso di ciò che chiamiamo natura, sottraendo gli habitat alle altre forme di vita.

ATP: Quali sono a vostro parere le opportunità maggiori rispetto agli altri luoghi in cui gli artisti si possono confrontare con la natura? Penso, in Italia, alle neo-nate Cascina Maria ad Agrate Conturbia e Ca’ Corniani a Caorle.

Per quanto sappiamo si tratta del primo ed unico progetto ad aver aperto il dibattito sul rapporto tra questione animale ed arti visive con queste metodologie. La ricchezza di RAVE è di guardare alle contraddizioni ed alla complessità dei rapporti grazie ad un approccio orizzonte tra i partecipanti, e ad una interdisciplinarità che permea anche i dialoghi, gli incontri e la stessa pratica artistica. Nel progetto è quindi centrale rivedere gli equilibri con il resto dei viventi, ed essendo l’arte uno dei modi privilegiati per poter immaginare nuove forme e nuovi modi di stare al mondo, questo approccio può rivelarsi fondamentale.
Inoltre dalle origini dell’arte concettuale l’arte ha spesso oggettivato il corpo dell’altro, come un materiale da poter usare a proprio piacimento, privandolo della propria identità e spesso della vita: dalle installazioni alle performance gli esempi nemmeno si contano, dagli artisti più celebri ai meno conosciuti. Forse è il caso di domandarci se davvero sia questo il modo di relazionarci all’animalità nelle arti visive.

ANIMA(L)RAVE, Igor Grubić, show view, Villa Manin 2018

ANIMA(L)RAVE, Igor Grubić, show view, Villa Manin 2018

ATP: Ci descrivereste le opere in mostra?

Nella prima edizione 2011, Adrian Paci ha realizzato il video Inside The Circle realizzato filmando Tiziana insieme al cavallo Tor De Chirincito, da lei salvato dalla macellazione. Sviluppato in bianco e nero e ambientato all’interno di un tondino da training del cascinale RAVE, l’opera esplora la complessa dinamica relazionale tra uomo, animale e natura attraverso l’interazione di un cavallo e di una giovane donna utilizzando lo sguardo ed il corpo, in una danza primordiale dalle dinamiche di branco, che al contempo evidenzia le contraddizioni del dominio umano.
Per RAVE 2012, Ivan Moudov ha realizzato l’installazione Stones a Casa Cavazzini, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine, in mostra documentata da un video. Sotto i sassi della corte dell’edificio l’artista ha collocato degli strati di gommapiuma facendo diventare la pavimentazione improvvisamente cedevole e mettendo il visitatore nella condizione di affondare i piedi nella ghiaia, col risultato di trovarsi qualche sassolino nelle scarpe. L’opera è essenzialmente un monito ludico a non dare per scontate le sicurezze che abbiamo.
Nella performance La oveja negra (2014) Regina José Galindo in cui l’artista è rimasta a carponi, interrata braccia e gambe, all’interno di un recinto provvisorio nelle colline goriziane, assieme a pecore e agnelli salvati dal macello che lì vivono abitualmente liberi. L’artista si è fatta monumento vivente alla pecora nera, sia in un’accezione autobiografica, che in riferimento agli intellettuali dissidenti di ogni tempo. E poi per gli altri esclusi per eccellenza: gli animali. La performance è stata trasmessa in diretta streaming al Museo di Arte Contemporanea MACRO Testaccio, negli edifici del grande ex mattatoio romano.
In Piedi (2015) Diego Perrone invita dei bambini a giocare con il proprio corpo, dopo aver incontrato Vincent e Pedro, un asino e una capra da poco salvati dal macello. Ai bambini viene infatti richiesto di dipingersi l’un l’altro le piante dei piedi, e poi, per realizzare ritratti dei piedi, vengono date loro macchine fotografiche. Nelle loro mani le fotocamere diventano instabili, tremolanti, ma intime e vere come sarebbe un disegno realizzato a matita con le loro mani. Il focus dell’opera è la processualità stessa, da intendersi come progressione di momenti creativi ed evoluzione naturale di forme.
Le opere Expanse NGC by a Tegenaria domestica sono state realizzate da Tomás Saraceno prelevando delle ragnatele abbandonate nelle vicinanze della nicchia del timpano di Villa Manin, durante i giorni della residenza nel 2016, in seguito ad un’indagine alla scoperta degli spazi non più vissuti dall’uomo. In quell’area una Tegenaria domestica aveva pazientemente deposto i propri fili costituendo delle strutture perfette, fondendo insieme conoscenze di geometria, di comportamento e strategia animale. L’autore dell’opera non è più così l’uomo, ma l’animale stesso, mentre all’artista spetta il ruolo di mettere in evidenza il processo.
Il lavoro di Igor Grubić Do animals…? (2017/2018) si articola in una serie di manifesti pubblicitari sui 6×3 dei capoluoghi di provincia del Friuli Venezia Giulia, con domande sospese scaturite dalle immagini stesse, un’intervista e un video realizzato nell’ex grande macello di Gorizia. Il luogo è stato recentemente acquistato da un’azienda che produce cibi vegani e che sta gradualmente togliendo tutti gli elementi della ‘catena di smontaggio’ dell’animale. Grubic disvela le prospettive nascoste alla vista e gli aspetti psicologici di ciò che accade all’interno del mattatoio. In questi spazi, dove ancora si percepisce il passaggio di ciò che è stato, una sola presenza attraversa la sua videocamera: Bjork, un cane adottato da un rifugio, che è l’unico animale ad esserne entrato e poi uscito vivo.

ATP: Come avete pensato l’allestimento del percorso espositivo?

La mostra è stata allestita in uno spazio di Villa Manin, appena restaurato, che, essendo dotato di tende mobili scure, era perfetto per una mostra in cui la maggioranza delle opere è costituita da video o video-documentazione. Le tende sono servite infatti a spezzare la volumetria in sezioni, ognuna delle quali corrisponde ad un artista. I manifesti di Grubić sono stati collocati in un unico muro per sottolinearne frontalmente l’impatto visivo, mentre Stones di Moudov è stata allestita con i dei sassi nel pavimento. Saraceno invece è stato allestito in una saletta in cui le opere dialogano con l’esterno della villa in una logica di rimandi tra le opere e il luogo da cui sono state originate.

ANIMA(L)RAVE, show view, Villa Manin

ANIMA(L)RAVE, show view, Villa Manin

ANIMA(L)RAVE, Regina José Galindo, show view, Villa Manin, 2018

ANIMA(L)RAVE, Regina José Galindo, show view, Villa Manin, 2018

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