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Andreas Gursky | Gagosian, Roma

English text below Con l’introduzione del digitale non si può più dare una definizione univoca del termine “fotografia”. Quando ho iniziato il mio lavoro, sentivo che sarei stato sempre dipendente dal mondo materiale. Sembrava più interessante essere un pittore nel...

"Andreas Gursky: Bangkok" Installation view at Gagosian Rome Artworks © Andreas Gursky/SIAE, Italy  Photo by Matteo D'Eletto
“Andreas Gursky: Bangkok” Installation view at Gagosian Rome Artworks © Andreas Gursky/SIAE, Italy Photo by Matteo D’Eletto

English text below

Con l’introduzione del digitale non si può più dare una definizione univoca del termine “fotografia”. Quando ho iniziato il mio lavoro, sentivo che sarei stato sempre dipendente dal mondo materiale. Sembrava più interessante essere un pittore nel proprio studio, libero di decidere cosa fare, come sviluppare la composizione. Non sono un pittore, ma ora ho la stessa libertà.
— Andreas Gursky

Andreas Gursky è un fotografo capace di sintetizzare gli umori della contemporaneità con scatti che spesso la critica ha paragonato alla pittura, per le dimensioni monumentali proprie dei dipinti del passato e per lo sguardo scrupoloso (ma non solo documentario) nei confronti della realtà.
Definendosi come un costruttore di un’enciclopedia visiva del mondo, i suoi scatti spaziano dai magazzini di Amazon, a discount da 99 centesimi, dai rave del primo maggio alle aule della Borsa… Spesso riprese dall’altro, con l’intenzione di raccogliere più elementi in un unico scatto, le immagini sono spiazzanti per il loro essere vere, e vere in modo completo. La furia disumana dei dipendenti della borsa, le file infinite di oggetti che il consumismo porta nelle case delle persone attraverso un click fatto col dito al computer, la minimale vetrina di un negozio Prada.
Può sorprendere in Gursky la capacità di una sintesi super condita, completa, paradossalmente sovrabbondante. Oppure ci sono scatti più dolci, dove cambia il punto d’osservazione e l’obiettivo delle “pitture”: sono per esempio i vari Untitled XX, XXI, XIX, XVIII… in cui la fotografia di campi di fiori seminati artificialmente diventa analisi pittorica e aritmetica sul colore, sulle gradazioni e sulla disposizione.

Un aspetto importante delle fotografie di Gursky è l’apporto del digitale, che muta il dato oggettivo della realtà, mediante modifiche in post-produzione che spaziano dall’utilizzo di diversi scatti di uno stesso soggetto per ridarlo poi con una summa di elementi di questi, o con interventi nella filigrana dell’immagine.
Così accade nelle fotografie esposte alla Gagosian Gallery di Roma (fino al 3 marzo) appartenenti alla serie Bangkok (2011), riproducenti il fiume Chao Phraya che scorre attraverso la città sfociando nel Golfo del Siam. In primo piano sono i gorghi e le increspature della superficie dell’acqua e i giochi di luce che essa crea per natura. Eppure questi, modificati in post-produzione, assumono forme grafiche, colori piatti e omogenei, campiture in cui l’artefatto sopraffà il dato reale.
L’intervento confonde il vero e la visione che noi abbiamo di questo. Scopo della serie è anche quello di lasciare come sottofondo il retaggio dell’inquinamento e della globalizzazione, che modifica l’assetto paesaggistico della natura, sia a livello macroscopico (come si vede in Les Mées, 2016 – non in mostra) che microscopico (come negli scatti esposti del fiume). In forme di elementi riflessi o di oggetti realmente presenti nell’acqua, scorgiamo tra i giochi perfezionistici che il fotografo compie a livello estetico, le schifezze che l’acqua contiene, preservativi usati, materassi, copertoni d’auto, pesci morti. Il digitale alla fine camuffa la superficie di un mondo che non può che rimanere e restare concreto, e dimenticarsi di questa materialità significa non vederne gli effetti che la devastano e la mutano.

In mostra è esposta anche Ocean IV, appartenente alla serie Ocean (2010). Fatto durante un viaggio in aereo di Gursky, lo scatto di dimensioni enormi dà un’immagine simbolica dell’Atlantico. Dopo aver studiato la geografia dei fondali nei punti fotografati, ha modificato l’intensità dei blu e degli azzurri delle acque per ridare un’immagine artefatta del tratto di terra rappresentato, senza modificarne però confini e dimensioni. È anche un pensiero su come le acque stiano cambiando per gli interventi umani, su quanto il mutamento del colore di un elemento naturale possa significare in termini climatici e ambientali.
Ad un artista tanto attento alla realtà in cui vive, così scrupoloso nel rendere efficaci le restituzioni degli scenari che il capitalismo gli offre dinnanzi agli occhi, non manca mai l’attenzione per l’elemento naturale. Il dispositivo digitale, in quanto tecnica d’impostura umana sulla fotografia – che è, per proprietà transitiva, l’oggetto esistente –, è alla fine tautologia dello stesso intervento che l’uomo sta adoperando sul mondo in cui vive. Gursky, servendosene in modo volontario ed esplicito, dimostra e ci mostra che il cambiamento apportato può essere talora invisibile, esteticamente non fastidioso, ma poi gli scenari della natura si modificano. E una volta avvenuto il mutamento – e stampata la fotografia – tornare indietro non è sempre possibile.

Installation view at Gagosian Gallery, Roma 2017. Photo Matteo D'Eletto, M3 Studio © Andreas Gursky. Courtesy Gagosian
Installation view at Gagosian Gallery, Roma 2017. Photo Matteo D’Eletto, M3 Studio © Andreas Gursky. Courtesy Gagosian

Andreas Gursky | Gagosian, Rome
March 3, 2018

Since the photographic medium has been digitized, a fixed definition of the term “photography” has become impossible. When I started my work, I felt that I would always be dependent on the physical world. It seemed that it was more interesting to be a painter working in the studio, where one can decide what to do, how to develop the compositions. I am not a painter, but I have the same freedom now.
—Andreas Gursky

Gursky has demonstrated that a photographer can make or construct—rather than simply take—photographs about modern life and produce them on the scale of epic painting. Just as history painters of previous centuries found their subjects in the realities of everyday life, he finds inspiration in his own spontaneous visual experience and through reports of global phenomena in the daily media. From initially using the computer as a retouching tool, he began exploring its transformative potential, sometimes combining elements of multiple shots of the same subject into an intricate yet seamless whole, at other times barely altering the image at all. The resulting pictures have a formal congruence deriving from a bold and edgy dialogue between photography and painting, representation and abstraction. Over time his subjects have expanded to map and distill the emergent patterns and symmetries of a globalized world with its consensual flows and grids of data and people, architecture, and mass spectacle. In pursuit of his aim to create “an encyclopedia of life,” Gursky’s worldview fuses the perpetual motion of existence with the stillness of metaphysical reflection.

In spring of 2011, Gursky visited Bangkok and observed the Chao Phraya that flows through the city and empties into the Gulf of Thailand. In the Bangkok photographs, he depicts the flickering surface of the fast-flowing river at close range. The luminous ripples, captured in an expansive vertical format, echo the chromatic effects of Impressionism, or the bold compositions of the American postwar modernists. The river mutates endlessly, revealing a mercurial, iridescent pattern; a symmetrical, Rorschach-like image; or, as in Bangkok VI, a bright swath of turquoise, reflected from the plastic netting of construction scaffolding. This formal beauty, however, gives way to a toxic, scientific reality. Like urban waterways worldwide, Rome’s own Tiber included, the Chao Phraya is revealed by Gursky to be at once a dumping ground for all manner of manmade detritus (used condoms, mattresses, car tires); a crucible for natural disorder (dead fish and the pretty but devastating weed known as water hyacinth); and a reflecting, refracting mirror of the modern city in a constant state of flux.

Ocean VI (2010) is a satellite view in which water becomes a sublime and inscrutable void. Mesmerized by the flight-path program during a long flight, Gursky saw the graphic representation—the edges and tips of sharply delineated land masses with wide blue expanses of ocean between—as a picture. For the Oceans series, he sourced high-definition satellite photographs from which to generate his own interpretations of sea and land, consulting shoal maps to obtain the appropriate visual density. Dominated by the Atlantic, with Caribbean islands and parts of the North and South American coastlines visible in the outermost edges, Ocean VI underscores the vulnerability of the Earth’s continents as ocean levels rise at an increasing pace. Gursky’s photographs thus touch a topical nerve in contemporary life, symbolizing environmental threats on both a local and a global scale.

Andreas Gursky Bangkok II, 2011 Inkjet print 120 7:8 × 93 3:8 × 2 1:2 inches framed (307 × 237 × 6.4 cm) Edition 5:6 © Andreas Gursky:SIAE, Italy
Andreas Gursky Bangkok II, 2011 Inkjet print 120 7:8 × 93 3:8 × 2 1:2 inches framed (307 × 237 × 6.4 cm) Edition 5:6 © Andreas Gursky:SIAE, Italy
Andreas Gursky Bangkok IV, 2011 Inkjet print 120 7/8 × 89 3/8 × 2 3/8 inches framed (307 × 227 × 6 cm) Edition 2/6 ​© Andreas Gursky/SIAE, Italy
Andreas Gursky Bangkok IV, 2011 Inkjet print 120 7/8 × 89 3/8 × 2 3/8 inches framed (307 × 227 × 6 cm) Edition 2/6 ​© Andreas Gursky/SIAE, Italy