In un passo di T.A.Z. : The Temporary Autonomous Zone, Ontological Anarchy, Poetic Terrorism, Hakim Bey scrive: “ i media ci invitano a celebrare i ‘momenti della vostra vita’ con l’unificazione spuria di merce e spettacolo, il famoso non-evento di pura rappresentazione. In risposta a questa oscenità abbiamo, da un lato, la gamma del rifiuto, e dall’altro l’emergere di una cultura festale rimossa e anche nascosta dagli aspiranti manager del nostro tempo libero. ‘Lotta per il diritto alla festa’ è difatti non una parodia della lotta radicale ma una nuova manifestazione di essa, appropriata per un’era che offre tv e telefoni per ‘Esserci!’, maniere per ‘avvicinarsi e toccare’ altre creature umane”.
Che cosa spinga a una riflessione contestuale sul clubbing e la club culture in questo specifico momento storico lo racconta una mostra ospitata nei nuovi spazi della galleria romana COLLI. Attraverso una selezione di lavori di Riccardo Banfi, Anne de Vries e Luca Pucci, con la curatela di Giulia Bini, AFTER CLUB. And in the meantime the world has changed problematizza la semantica cristallizzata in un momento topico come questo, insieme alle ripercussioni subite dal clubbing come connettore dal potenziale creativo e manifestazione libertaria legata all’espressione di una dimensione underground. L’after viene così presentato in qualità di momento di sospensione spaziale e temporale, contesto in cui dominano una socialità imprevedibile, pronta a tenere insieme gruppi eterogenei di perfetti sconosciuti. I mutamenti a cui ciascuno è andato incontro come conseguenza della crisi sistemica acuita dalla pandemia globale hanno dimostrato tutta l’urgenza di una riflessione sul valore sociale, culturale e spesso apertamente politico della vita comunitaria e, con essa, della club culture. Il sottotitolo della mostra aggiunge una specifica significativa tanto più se si tiene presente che il progetto attualmente in corso è stato sviluppato a partire dal 2017 – preannunciando una serie di mostre che confluiranno in un libro catalogo dal titolo BULC, pubblicato da Viaindustriae e COLLI publishing platform. A partire da questa prospettiva, la mostra riunisce tre artisti le cui pratiche sono perfettamente integrate in un dialogo progressivo sui contenuti estetici, performativi, etici dell’after club da intendersi appunto come momento condiviso in cui una comunità si stringe attorno alla possibilità di riconoscersi attraverso un codice valoriale, linguistico e culturale non scritti, azzerando completamente le incombenze del tentativo, sempre liminalmente presente, di normalizzare il quotidiano facendolo piombare nel baratro dell’ordinario.
“Se nell’orizzonte del clubbing l’after è il momento successivo e non ufficiale dell’espansione della festa, quel dopo che prolunga e esalta una comunione segreta di inarrestabili frequentatori della notte, qui after diviene piuttosto un pensiero sullo statuto del clubbing e dell’idea stesso di club o del ritrovo a seguito della apocalisse 2020”.
Anne de Vries, per la prima volta in Italia, e con all’attivo progetti di risonanza internazionale – per citarne uno tra gli altri, l’installazione Critical Mass: Pure Immanence realizzata in occasione della 9 Biennale di Berlino del 2016 – declina in modo puntuale l’impianto concettuale di AFTER CLUB con due lavori, FreeZone 23 (2020) e T.A.Z. (2018), rispettivamente una scultura a parete in gesso e una grande tela con stampa UV, che sistematizzano a livello teorico e visuale gli aspetti nevralgici nell’orchestrazione della mostra.
de Vries è interessato a stabilire una riflessione che, partendo dal mondo della musica free techno e hard style – di cui impiega, spesso, alcuni elementi simbolici perfettamente riconoscibili dagli appartenenti alla tribe – trovi un terreno di scambio con la matrice anarchica della controcultura e con un interesse alla relazione tra tecnologia e progresso, alle teorie metafisiche e alle esperienze di massa, partendo spesso dalla confutazione e revisione di sistemi filosofico-politici preordinati.
Se i motivi ipnotici impiegati da de Vries innescano una distorsione percettiva da psytrance, Riccardo Banfi e Luca Pucci, a loro volta, declinano in chiave poetica e performativa simbologie e ritualità intrinseche, l’uno impiegando la fotografia come medium, l’altro aprendo il discorso a contenuti più esplicitamente relazionali e performativi. Banfi, che dal 2010 al 2017 ha condotto un’indagine serrata sulla nightlife – ad esempio in TNX (2015), progetto frutto di una lunga ricerca che lo ha visto scattare nei locali dello storico TENAX – è presente in mostra con Let’s Dance, 2016, e Hand (Riot), 2017, due lavori fotografici nei quali lo sguardo dell’artista indugia su dettagli singoli e close up astraendo il soggetto e il suo contesto per definire una continuità suggerita, rievocata, metaforica. 2012: A Reminiscence, il video finalizzato in occasione di AFTER CLUB per la sua piattaforma digitale, vede invece Banfi esplorare eventi passati attraverso l’impiego di filmati d’archivio di una notte di festa: tempo libero e senso di appartenenza a una comunità culturale si scontrano qui inevitabilmente con la consapevolezza della battuta d’arresto subita dalla vita notturna.
Luca Pucci interviene introducendo una dimensione da story telling. Agenzia Dancing Days, progetto nato in collaborazione con Emanuele De Donno tra il 2010 e il 2015, ha origine da una ricerca sui balli di gruppo.
In mostra, un vinile bianco, inciso su entrambi i lati con le registrazioni di 18 balli di gruppo tenutisi a Varsavia e 18 tracce legate ad altrettante performance in luoghi diversi, è la testimonianza, insieme alle “note” dell’artista, del viaggio condotto dall’Umbria alla Polonia con un gruppo di arzilli anziani amanti del ballo e dei balli di gruppo.
Negli spazi della galleria, una sequenza selezionata di tracce – dal battito di mani tipico dei balli di gruppo alla mazurca, passando per la ripetizione dei passi insegnati da Pucci al gruppo di anziani e arrivando sino a un’imprevedibile coda techno – sonorizza l’ambiente con un impatto straniante memore della distanza che ormai separa momenti autentici di socialità rispetto alla nostra situazione contestuale.