Umanizzare gli oggetti — Intervista ad Alessandra Mancini

"L’umanizzazione dell’oggetto deriva dall’aura sacrale che certi oggetti si portano dietro nella cultura occidentale e borghese. Nei dipinti gli oggetti, icone del design, diventano protagonisti di visioni erotiche che sono anche visioni estetiche."
19 Giugno 2017

Si è conclusa pochi giorni fa la personale di Alessandra Mancini, a cura di Valentina Sansone, al Caffè Internazionale di Palermo. Un percorso espositivo dal titolo Matchy-Matchy che affronta la dimensione domestica attraverso nuovi sguardi, costruiti per lo più dai dettagli e narrati attraverso una sospensione temporale. Gli oggetti, in trasformazione rispetto alla loro funzione originaria, si fanno feticci da abbinare ad ogni costo.

ATP Diary ha fatto alcune domande all’artista—

Francesca D’Aria: I lavori che hai raccolto in mostra al Caffè Internazionale di Palermo sono stati presentati al pubblico attraverso il titolo Matchy-Matchy. Potresti spiegare a cosa si riferisce?

Alessandra Mancini: Ho notato questo nuovo aggettivo guardando fashion e design blogs dove viene usato soprattutto con accezione negativa per indicare stili e colori troppo abbinati. Mi è sembrato perfetto come titolo per questa serie di lavori perché sintetizza quel piacere perverso di far combaciare le cose, soprattutto quando vogliamo che queste cose ci rappresentino.
Partendo dall’idea che gli elementi decorativi domestici hanno la capacità di definire sia uno spazio vitale che l’identità personale di chi li possiede, i lavori giocano proprio su quella necessità estetica di abbinare che diventa morbosa fino al punto di confondersi con l’“accoppiare”. Matchy-Matchy è un insieme di scene di pornografia domestica che va oltre le questioni di genere a cui questi temi possono associarsi.

FD: Nelle tue opere gli oggetti di arredamento si equivalgono alle figure, le cose hanno pari dignità dei soggetti umani. Cosa ti interessa della rappresentazione di qualcosa che generalmente viene dato per scontato, come gli utensili domestici?

AM: L’umanizzazione dell’oggetto deriva dall’aura sacrale che certi oggetti si portano dietro nella cultura occidentale e borghese. Nei dipinti gli oggetti, icone del design, diventano protagonisti di visioni erotiche che sono anche visioni estetiche. Ma le immagini prendono corpo soprattutto facendo ricorso all’ironia, a un aspetto teatrale che unisce l’“alto” e il “basso”, in un gioco di dissacrazione e trasgressione.
L’installazione pensata per lo spazio della mostra vede invece due oggetti comuni come i ganci appendiabiti diventare gli abitanti sessuati di quello spazio e definirne la geometria.
Del resto il disegno fisico di uno spazio costituisce una parte sostanziale delle nostre fantasie sessuali, basti pensare a quanto gli spazi privati, l’architettura e il design siano diventati soggetti da copertina più sexy di un nudo alla Playboy.

Alessandra Mancini, Divano osceno, 2017. Olio su tela, 51x67 cm.

Alessandra Mancini, Divano osceno, 2017. Olio su tela, 51×67 cm.

FD: La tua pittura riflette sulla conformazione degli ambienti contemporanei nei quali si sviluppano le relazioni e si articolano le giornate. Ogni dettaglio è frutto di una meticolosa scelta estetica, come se le case, gli uffici, i negozi fossero in realtà micro cosmi nei quali determiniamo la nostra identità mettendola in mostra con le cose che ci appartengono, che abbiamo scelto con cura. Cosa vuoi raccontare al pubblico attraverso una narrazione costruita soprattutto sui particolari?

AM: “Il diavolo sta nei dettagli” come si suol dire, o più precisamente “Dio sta nei dettagli”, frase attribuita a più personaggi, da Gustave Flaubert, che diceva anche “Occorre far parlare le cose“, a Mies Van der Rohe che intendeva al contrario che la perfezione fosse nella non manifestazione del dettaglio, ma soprattutto ad Aby Warburg, padre dell’iconologia che vedeva nell’analisi delle icone grafiche di tutti i tempi un grande atlante di memoria visiva, per cui ogni segno ha quel potere evocativo che può essere usato anche per esprimere forme di pensiero, concetti astratti.
Nel mio caso il dettaglio è l’elemento che rivela l’osceno. Tornando a Mies Van der Rohe ad esempio, in uno dei miei dipinti sono proprio i particolari della sua icona architettonica a produrre il contrasto con la scena rappresentata.­

FD: L’atmosfera che domina i tuoi dipinti ricorda la sospensione spazio-temporale della pittura di Piero della Francesca o di Giorgio De Chirico. Lo spazio accoglie gli oggetti che sembrano galleggiare nell’atmosfera e restare in attesa. Ci sono dei punti di contatto tra la tua riflessione e quella di artisti storicizzati a cui guardi nel tuo processo creativo?

AM: Le immagini che rappresento sono spesso frammenti di realtà, decontestualizzati e aperti piuttosto all’astrazione. Piero della Francesca è il maggior astrattista della storia o meglio il primo a dar forma a concetti astratti, anche senza riferimenti voluti credo che ogni immagine abbia una stretta relazione con la cultura e la memoria della società in cui si produce.
Inoltre a sedici anni realizzavo copie di De Chirico su commissione, avrà sicuramente lasciato un segno.

FD: In che modo si sono inserite le tue opere negli spazi del Caffè Internazionale? Hai immaginato per il visitatore un percorso?

AM: Il Caffè Internazionale è uno spazio che costituisce già di per sé una sorta percorso, è uno spazio di socializzazione, di scambio culturale, di musica e arte. Lo spazio espositivo è una delle stanze che compongono questa architettura sociale e come tale l’ho sfruttata “arredandola” per la durata della mia permanenza.

Alessandra Mancini, Ultra, 2017. Olio su tela, 53x60 cm

Alessandra Mancini, Ultra, 2017. Olio su tela, 53×60 cm

Alessandra Mancini,  Bauhaus Kiss, 2017. Olio su tela, 52x52 cm

Alessandra Mancini, Bauhaus Kiss, 2017. Olio su tela, 52×52 cm

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