Teatrum Botanicum – PAV, Torino – Part One

ATPdiary, ha chiesto agli artisti partecipanti di darci un saggio della loro partecipazione. Iniziamo con Agreements to zinedine, Alessio Gianardi, Cleo Fariselli, Enrico Ascoli, Filippo Marzocchi, Gaetano Cunsolo e Giulio Saverio Rossi.
12 Giugno 2017

Prendono avvio venerdì 16 giugno, al PAV – Parco Arte Vivente di Torino, tre giorni dedicati ad artisti emergenti impegnati nell’indagine artistica naturale ed ecologica. Teatrum Botanicum non si presenta come una mostra ‘canonica’ bensì come una flusso di pratiche performative, proiezioni, talk e performance-lectures, dj set e live set “svincolati da una precisa intenzione curatoriale, ma determinanti a rivelare un nucleo concettuale a posteriori.”
Il progetto si apre con delle domande: come un giovane artista può relazionarsi al concetto di “ambiente”? Quale potrebbe essere una personale definizione del termine o un più ampio discorso che scaturisce dall’idea di ambiente?

Gli artisti coinvolti in questa seconda edizione di Teatrum Botanicum sono: Agreements to Zinedine, Enrico Ascoli, Lia Cecchin, Gaetano Cunsolo, Cleo Fariselli, Matteo Gatti, Alessio Gianardi, Paolo Inverni, La Distrazione del Fagiano, Filippo Marzocchi, Mount Fog, Giovanni Oberti, Mauro Panichella, Gianandrea Poletta, Serena Porrati, Lavinia Raccanello, Giulio Saverio Rossi, Ruben Spini, The Cool Couple.
Il programma dei talk comprende la partecipazione di: Enrico Ascoli, Atelier A, Chan, Regine Débatty, Alessandra Franetovich, Paolo Inverni, Kabul Magazine, La Distrazione del Fagiano, Leandro Pisano.
Il festival, patrocinato dalla Città di Torino, è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT e della Regione Piemonte.

CS_Teatrum Botanicum 

ATPdiary, ha chiesto agli artisti partecipanti di darci un saggio della loro partecipazione.
Iniziamo con Agreements ti zinedine, Alessio Gianardi, Cleo Fariselli, Enrico Ascoli, Filippo Marzocchi, Gaetano Cunsolo e Giulio Saverio Rossi.

Agreements to zinedine

© Agreements to zinedine

© Agreements to zinedine

Alessio Gianardi
Ho un’idea di contatto, 2017

Ciò che viene messo in scena è la traduzione di un procedimento di copia a contatto tradizionalmente utilizzato per ottenere da una matrice (per convenzione, “negativo”) il suo relativo (positivo).  Le caratteristiche della cianotipia fanno sì che i sali fotosensibili costituenti la soluzione, espongano a luce solare e vengano rivelati attraverso il lavaggio in acqua, un passaggio potenzialmente possibile senza azioni umane, con l’alternanza atmosferica di sole e pioggia. Sensibile allo stesso binomio è la gelatina di pesce che, in questo caso, fa da supporto: l’acqua le conferisce plasticità, assumendo la forma di ciò che le gravita sotto e il sole la fissa.
Si potrebbe definire un processo fotografico per sinestesia: al principio sembra che la cianotipia sia utilizzata forse solo pretestuosamente per rimarcare i legami che la fotografia ha con il materico ma mettendo in relazione “ciò che ora vediamo” con “ciò che ricordiamo/immaginiamo”, prendiamo coscienza che questa riproduzione semplificata del soggetto, ridotta ai minimi elementi, spogliata dei colori e del particolare è qualcosa di molto vicino alla percezione del ricordo e all’approssimazione della memoria umana: organica e quindi caduca, deperibile.
Un’allegoria.
Il risultato prettamente visibile è qualcosa che oscilla tra la volontà di ottenere un calco dell’oggetto, rinnovando la relazione ambigua negativo/positivo, e la creazione di un oggetto subordinato ad esso rincarando la questione negativo di chi?/positivo di chi?
Durante i tre giorni di Teatrum Botanicum sarà possibile osservare presso “La table de Circé”, scenario della performance di Brigitte De Malau, alcuni passaggi progressivi del suddetto processo.

Alessio Ginardi, Ho un'idea di contatto, 2017 - gelatina di pesce in fogli e soluzione cianotipica, dimensioni variabili

Alessio Gianardi, Ho un’idea di contatto, 2017 – gelatina di pesce in fogli e soluzione cianotipica, dimensioni variabili

Cleo Fariselli

“O” è un costume/maschera di una luna piena e dei suoi riflessi su uno specchio d’acqua. Esposto come un dipinto, nella performance il lavoro sarà animato da Viola Vento che si trasformerà in una figura dalla misteriosa femminilità.

Cleo Fariselli, o

Cleo Fariselli, o

Enrico Ascoli

Filippo Marzocchi

Filippo Marzocchi, Crouch, bind, hello

Filippo Marzocchi, Crouch, bind, hello

Gaetano Cunsolo 

Ruins Collection, come molti altri miei lavori, prende forma e si finalizza partendo da una pratica quasi performativa. Sono attratto da tutto quello che può essere fatto partendo dallo scarto dei processi produttivi. È appunto in queste aree industriali che inizia la mia pratica, il mio movimento, volto alla ricerca di materiali, forme architettoniche, gesti spontanei che per forza modificano l’ambiente. Pollai, baracche, orti, piccoli laboratori di contadini e operai, ma anche coperture arrangiate, strutture molto precarie di clandestini o senzatetto che si creano proprio partendo dallo scarto industriale, dalla rimanenza e dall’esubero di una produzione in cui tutti questi soggetti sono spesso anche coinvolti. La serie Ruins Collection in mostra al PAV, accanto anche ad una mia performance, presenta piccole forme che suggeriscono architetture fatte di assemblaggi inconsueti, soluzioni accidentali ed imprevedibili. Sono degli studi, delle piccole maquettes che però sovvertono scala, progetto e gerarchia di materiali.

Gaetano Cunsolo, Dalla serie Ruins Collection, 32 teche 35 x 45 x 5,5 - Tecnica Mista su carta millimetrata, 2016

Gaetano Cunsolo, Dalla serie Ruins Collection, 32 teche 35 x 45 x 5,5 – Tecnica Mista su carta millimetrata, 2016

Giulio Saverio Rossi

La mia pratica artistica si configura come ripensamento critico sia dei medium tradizionali che dei topos della cultura visiva. Il paesaggio assume un ruolo centrale in quanto luogo di confine e di congiunzione fra progettazione politica del mondo e valore estetico visivo.
L’intervento pensato per il PAV si snoda in due opere: Se il seme non muore (1953), posto all’interno del museo, e Riscrivere un albero, situato nel parco esterno.
Se il seme non muore (1953) trae origine dall’omonimo docufilm di propaganda che racconta il rimboschimento del suolo italiano attuato durante il piano Marshall. Dalla pellicola originaria ho selezionato tre inquadrature di un batterio nocivo visto al microscopio che ha reso necessaria la sostituzione degli alberi di castagno italiano con quello americano. I tre frame sono stati riprodotti su tavole di legno di castagno utilizzando tannino e resina, due elementi naturalmente prodotti dall’albero, che generano un cortocircuito in quanto il tannino era usato come collante e protettivo per la celluloide nelle pellicole dell’epoca ed è al contempo un elemento antibatterico dell’albero.
Riscrivere un albero consiste nella riscrittura, con matita di pura grafite, della corteccia di un albero del parco del PAV. La superficie del tronco è ricoperta dalla grafite, creando un dialogo fra mondo organico e minerale, in una logica di riscrittura del mondo in cui l’oggetto riscritto coincide con sé stesso e al contempo diventa altro rispetto a qualsiasi albero.

Giulio Saverio Rossi, Studio per Riscrivere un albero

Giulio Saverio Rossi, Studio per Riscrivere un albero

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