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Fino al 4 ottobre è possibile visitare la mostra “Still-Life Remix” – organizzata da Antinori Art Project nella Cantina Antinori nel Chianti Classico – a cura di Ilaria Bonacossa. Abbracciando stili e mezzi espressivi eterogenei, la mostra si presenta come un excursus (quasi) didattico sulla natura morta come topos ancora in via di definizione e rappresentazione.
“Nel complesso di idee che si sono sviluppate attorno alla costruzione della Cantina a Bargino, c’era anche quella di mostrare, oltre che la tradizione, anche il presente e il futuro”, racconta Alessia Antinori. “Per l’Antinori Art Project abbiamo deciso, all’inizio con la nostra curatrice Chiara Parisi, e oggi con Ilaria Bonacossa, di focalizzarci su un artista all’anno (in autunno la Cantina ospita un progetto di Giorgio Andreotta Calò) che reinterpreti la nostra collezione passata con dei progetti site specific per questo luogo. Per l’Expo, visto che l’argomento di questa edizione è molto legato al nostro settore, abbiamo deciso di fare una mostra ad hoc che partisse da varie opere collezionate dalla nostra famiglia nell’800 e nel ‘900, per poi arrivare ad una parte più contemporanea con la mostra cura dalla Bonacossa, Still-Life Remix.”
Il percorso della mostra parte dalla vasta installazione pittorica “Giant Foods” di Nicola Party nella parete esterna dello spazio espositivo. Racconta la curatrice: “Il giovane artista svizzero ha esordito come street artist, per poi dedicarsi (dopo gli studi all’accademia a Glasgow) ad un tipo di pittura dalla stile surreale – influenzato da Balthus e da Morandi – in cui la scala e le forme sono esagerato o, se vogliamo, sbagliate. Nicola Party ha lavorato al murales con una velocità impressionante per quattro giorni, usando la pittura spray. E’ abbastanza incredibile che un artista usi le bombolette per ottenere un effetto pittorico così eccezionale.”
Nello spazio interno, cattura l’attenzione la grande installazione di Arianna Carossa, “Natura morta con sedie”: 17 sedie impilate che sostengono il quadro dal tipico soggetto di una natura morta (un coniglio e degli uccelli), messi in una ambigue relazione tra animato e inanimato, vivo e trapassato. Poco lontano, l’opera a parete di un’altra artista italiana, Elisa Strinna “Variazione su Canestra di Frutta”, un lavoro che riflette sul concetto di interpretazione e di archetipo. In questo caso, è stata messo a fuoco una delle nature morte più celebri della storia dell’arte, la “Canestra di Frutti” di Caravaggio, alla quale la Strinna ha inserito e variato alcuni elementi. A opere dove è evidente l’aspetto citazioni sta – si potrebbero citare le opere di Ori Gersht, “Pomegranate”, di Santo Talone “Giorgia”, “Desiree” e “Giselle”, di Elad Lassry, “Marble (For Holiday), di Esko Männikkö, “Kuhmo” e di Shirana Shahbazi, “Stilleben” tra le altre – ce ne sono molte altre dove è il concetto stesso di “natura morta” ad essere sviscerato e, in alcuni casi ribaltato. E’ il caso (emblematico sarebbe corretto dire) dell’opera dell’artista giapponese Shimabuku “Something that Floats / Something that Sinks” che consiste esattamente in quello che dice il titolo: due recipienti di alluminio pieni d’acqua con dentro rispettivamente una coppia di lime e una di pomodori. In ogni contenitore, un frutto rimane a galla e l’altro no. “Alcuni affondano, altri galleggiano” ci racconta l’artista. “E’ una cosa naturale. L’ho scoperto mentre stavo cucinando dei pomodori. Non c’è alcun trucco. Io non ho fatto nulla. Alcuni vegetali affondano, altri galleggiano, tutto qui”. Shimabuku si è procurato due casse di pomodori e due casse di lime, provando ogni frutto finché ne ha trovato una coppia di forma e dimensioni simili di cui uno galleggiava e l’altro no. “Ho solo scelto il lime, il pomodoro e un basamento bianco per fare i colori della bandiera italiana”.
Semplicemente così com’è… sembra essere la teoria o il concetto quasi disarmante che si cela dietro a questa enigmatica opera. Poco lontana, per elaborazione intellettuale, anche l’opera a parte di Lorenzo Scotto di Luzio “Senza Titolo”. “Il senso della natura morta equivale un po’ a un memento mori: frutta, verdura, cacciagione immortalati nel momento di fulgore massimo, dopo di cui c’è solo decadimento”, ci racconta Scotto di Luzio. “Nel lavoro in mostra illustro un maggiore parossismo, perchè il soggetto è un broccolo, preso in un supermercato parte di una grossa catena industriale, che ancor prima di essere goduto per la sua bellezza o per il gusto, è già incellofanato. Lo penso come una sorta di Cristo velato”. Il lavoro fa parte di una serie a cui l’artista ha lavorato per “Besser einkaufen, besser leben” (“Migliore è l’acquisto, migliore è la vita”), la sua personale alla galleria Fonti di Napoli dello scorso maggio, dove sarcasticamente indagava il modo in cui in una società materialistica e consumistica la scelta di ciò che acquistiamo – e di cui ci nutriamo – finisce per identificarci e qualificarci. “Questa è una mia versione di cosa potrebbe essere la natura morta oggi, che in un certo senso è morta ancor prima di essere natura. La natura morta, intesa come genere, per me ha lo stesso significato che ha avuto in ogni tempo, per i tanti artisti che l’hanno affrontata come tema. La sola differza (grande, se vogliamo) è che oggi la qualità e la produzione del cibo sono ovviamente diverse”.
Delicata e immaginifica, al tempo stesso, l’opera di Stefania Galegati: una serie di 5 piccoli ritratti di mele che non sono state, come potrebbe apparire, ritoccate digitalmente, ma sono invece maturate disegnandosi e trasformandosi in sculture temporanee. Altra opera originale, “Gomba Kalap”, di Namsal Siedlecki: un cappello realizzato con una particolare pelle di fungo che l’artista ha imparato a conciare in Transilvania. “Sono uno degli ultimi depositari al mondo di questa tecnica”, spiega l’artista. “Durante una residenza a Budapest ho visto nel museo di agricoltura locale un cappello, risalente alla fine dell’800, realizzato in pelle di fungo. Dopo lunghe ricerche ho scoperto che esisteva ancora un artigiano che avrebbe potuto insegnarmi questa antica tecnica. L’estate scorsa, con pochissimi indizi, sono partito per la Transilvania e, dopo molti tentativi sono riuscito a incontrare quest’uomo. E’ stato molto felice di tramandarmi le varie fasi di lavorazione”. Siedlecki, che proprio con “Gomba Kalap” quest’anno ha vinto il Premio Moroso, parlando del suo lavoro nel contesto della mostra ci racconta che “il fungo che ho utilizzato nella mia scultura è reale, e la nostra percezione della sua caducità è diretta, non mediata da una rappresentazione, come avviene nelle nature morte classiche. Gli ho conferito una forma che di suo non potrà mai avere e una matericità che ne prolunga la vita, che non lo fa marcire. E’ un oggetto che incarna la nostra volontà di ‘bleffare’ i limiti che ci ha imposto la natura, ma non lo fa attraverso una simulazione del reale. Inoltre, custodisce e tiene in vita un’antica tecnica che rischiava di scomparire”.

Still-Life Remix, Antinori Art Project, Cantina Antinori, Chianti Classico, Bargino, 2015 – Installation view
Di tutt’altro genere la scultura in bronzo di Giorgio Andreotta Calò, “Shell”. Come molti altri lavori dell’artista, anche in quest’opera, è citata Venezia, sua terra d’origine. Altro aspetto che si evince spesso nella ricerca di Calò è rivelare, nell’opera stessa, il processo di produzione: la scultura è composta da due parti, la prima il vero fossile di conchiglia dal quale sembra nascere il suo complementare; la seconda parte è il calco in bronzo della conchiglia. La scultura viene sorretta da alcune nervature che nel processo di produzione servono per far colare il bronzo nel calco.
Caleidoscopica ed eterogenea, questa collettiva conferma quanto il topos della “natura morta” sia un genere quanto mai vivo e fonte di innumerevoli interpretazioni. Come ha ripetuto più volte la curatrice nella presentazione della mostra, il fatto che un genere sia quanto mai utilizzato e “gravato” da una pesante tradizione sia simbolica che contenutistica, nulla toglie che, ora come nella notte dei tempi, un frutto, una verdura, dei fiori restano sempre pregni di una significato ancora misterioso e da svelare: rivelano, nel maturare e appassire l’inarrestabilità del tempo e la caducità della vita. La nostra.
(Ha collaborato Matteo Mottin)

Still-Life Remix, Antinori Art Project, Cantina Antinori, Chianti Classico, Bargino, 2015 – Installation view