La visione totalizzante di Rowena Harris The Gallery Apart

"Mi sono concentrata sulle differenze concrete / corporee del vivere in un ambiente nuovo, in contrapposizione con ciò che, invece, conosco bene. In seguito ho anche indagato l’immagine del corpo attraverso certa scultura romana antica..."
21 Luglio 2015

Se ci raccontassero la mostra ospitata alla The Gallery Apart di Rowena Harris“Being both on and within, as I sais” – senza averla vista, potremmo pensare che la ricerca dell’artista abbia preso ispirazione da lontane teorie rinascimentale. La sua concezione della realtà come materia omogenea e unitaria, dove la visione totale che lega scultura, oggetti e corpo umano formano un tutt’uno, ricorda infatti la posizione filosofica dell’Olismo, basata sull’idea che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti. L’ “organismo” mostra che l’artista ha concepito nello spazio romano, pensato in una visione olistica, non è concepibile come formato di parti separate ma come un “tutto”. Il paragone più prossimo che potrei fare è quello con l’organismo biologico, l’essere umano, in quanto va considerato come un’unità-totalità non enunciabile come il risultato dell’insieme delle parti che lo costituiscono. Non è un caso, dunque, che la Harris, per concepire molte delle opere in mostra, parte proprio da un’altra unità di misura cara all’età rinascimentale: il corpo. Tracce, segni, indizi corporei sono disseminati in tutti i lavori, siano essi calchi (probabili) del corpo – magistrale la coppia di piccole copie dei canali semicircolare che stanno dentro all’orecchio, tra l’incudine, la staffa e il martello e la posteriore coclea – o veri e propri stampi di parti di esso: penso ai drappi di seta dove la stampa cyanotype ha colto casualmente la luce filtrata dalla mano che, in un primo momento, ha serrato la staffa lasciando trapelare alcuni bagliori. Ma potrei citare anche il cuore sezionato e un piccolo orecchio di silicone.

Un altro aspetto fondamentale per capire questa complessa e intrigante mostra, è che il progetto espositivo è nato in relazione ad una lunga residenza che ha permesso all’artista di vivere e lavorare a Roma. Di fatto abbiamo già conosciuto l’artista in una precedente mostra inaugurata lo scorso febbraio a Roma, “Conversation Piece | Part 1” – a cura di Marcello Smarrelli, ospitata alla Fondazione Memmo – Arte Contemporanea -, dove la Harris ha esposto dei piccolo calchi di oggetti quotidiani come un orologio o un accendino, installati con delle sculture monoblocco in cemento. Quest’opera è molto vicina a quella esposta in mostra, “I am the things in my pockets, but in much the same way I could be those things in yours”: monete, chiavi, auricolari, accendini, custodie di cellulare, piccole fotografie. Piccoli oggetti che, come suggerisce il titolo, posso trovarsi nelle nostre tasche o borse, frammenti banali della realtà, riprodotti in silicone e installati per terra, quasi a renderli residui o macerie di gesti insignificanti, persi nell’abitudine.

Riguardo all’esperienza romana in relazione alla sua ricerca, l’artista spiega: “Direi che l’influenza maggiore non e? derivata da una cosa, un artista o un luogo nello specifico, ma piuttosto dall’esperienza stessa dello stare in citta?: camminare per le strade, le architetture, il ritmo della vita di tutti i giorni. Mi sono concentrata sulle differenze concrete / corporee del vivere in un ambiente nuovo, in contrapposizione con cio? che, invece, conosco bene di Londra. (…) In seguito ho anche indagato l’immagine del corpo attraverso certa scultura romana antica – concentrandomi particolarmente sugli oratori, sulla gestualita? delle mani a cui e? data importanza in quanto pregna di moltissimi significati. Notando questi aspetti, in contrapposizione alla condizione della mano al giorno d’oggi, mi sono resa conto delle tante possibilità espressive dei gesti e delle azioni”.

Ecco allora che tutti le opere esposte in galleria partono proprio dallo studio e a dall’osservazione del corpo in relazione allo spazio ma anche – e soprattutto – alla prospettiva percettiva di chi guarda. Opere come “Plasters and Bandages” e “Searching for a sense of balance (part 1)” – cornici in acciaio, una sospesa e provvista di un piccolo inserto in silicone, l’altra a terra sostenuta da un blocco di cemento – ma anche “Note to self – mine and yours perhaps” – installazione formata da uno specchio appoggiato a terra con davanti il calco di un paio di scarponi in cemento – sono tutte opere che inquadrano, riflettono, sdoppiano e incorniciano chi guarda. Per alcuni versi sono opere che includono spazio e spettatore nell’opera, lo estraggono dal mondo ‘reale’, per portarlo nel mondo della rappresentazione.

A queste opere si affiancano monoblocchi di cemento che inglobano oggetti o, in altre opere, e il cemento ad essere inglobato, come in “The fundamental ergonomics of body meets machine”: un cuscino per il collo da viaggio, riempito di cemento installato accanto ad una custodia di plastica trasparente sigillato che contiene del fiato umano. Organico e inorganico, calchi e stampi, negativo e positivo: anche se è facile il nesso o il gioco degli opposti, l’artista rende la tensione tra i contrari un terreno dove creare significato e riflettere. 

 Nel basement della galleria la Harris porta a compimento il suo ‘organismo’ installando la serie “Being both on and with, as I said”: dei monoblocchi in cemento con all’interno dei piccoli stampi in silicone di oggetti. I visitatori sono invitati a sedersi per leggere una pubblicazione pensata dall’artista e parte integrante della mostra. Il libro include una raccolta di scritti recenti in cui l’artista elabora dei ragionamenti e riflessioni in relazione con la sua ricerca scultorea e performativa.

Rowena Harris,   The fundamental ergonomics of body meets machine,   2015,   Neck cushion inflated with concrete,   cast silicon rubber,   sealed plastic containing one breath,   56 x 30 x 9cm,   photo by Giorgio Benni,   courtesy The Gallery Apart,   Rome

Rowena Harris, The fundamental ergonomics of body meets machine, 2015, Neck cushion inflated with concrete, cast silicon rubber, sealed plastic containing one breath, 56 x 30 x 9cm, photo by Giorgio Benni, courtesy The Gallery Apart, Rome

Rowena Harris,   Being both on and within,   as I said,   installation view at The Gallery Apart,   Rome,   photo by Giorgio Benni

Rowena Harris, Being both on and within, as I said, installation view at The Gallery Apart, Rome, photo by Giorgio Benni

Rowena Harris,   Being both on and with,   as I said #1,   2015,   concrete,   armature,   silicon rubber,   artist book,   cm 44 x 31,  2 x 29,  6,   photo by Giorgio Benni,   courtesy The Gallery Apart,   Rome

Rowena Harris, Being both on and with, as I said #1, 2015, concrete, armature, silicon rubber, artist book, cm 44 x 31, 2 x 29, 6, photo by Giorgio Benni, courtesy The Gallery Apart, Rome

Theme developed by TouchSize - Premium WordPress Themes and Websites