La prima selezione dei 12 finalisti è il risultato del confronto della giuria composta da Andrea Bruciati, storico dell’arte, Patrizia Moroso, art director di Moroso, e Paola Pivi, artista di riconosciuta fama internazionale premiata con il Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 1999 e quest’anno special guest dell’iniziativa.
Ai 12 finalisti verrà chiesto di realizzare un progetto concepito appositamente per gli ambienti Moroso che potrà essere al tempo stesso realizzato e veicolato presso musei e centri d’arte contemporanea istituzionali.
I 12 finalisti selezionati, resi noti alcune settimane fa sono: Alfredo Aceto (1991); Canemorto, collettivo composto da Silvio Bertelé (1988), Nicola Maspero (1989) e Alessio Tagliapietra (1989); Roberto Fassone (1986), Francesco Fonassi (1986), Anna Franceschini (1979); Invernomuto, duo composto da Simone Trabucchi (1983) e Simone Bertuzzi (1982); Margherita Moscardini (1981); Valerio Nicolai (1988); Luigi Presicce (1976), Stefano Seretta (1987), Ilaria Vinci (1991), Driant Zeneli (1983).
L’annuncio dei vincitori avverrà in occasione della grande mostra che si svolgerà dal 28 aprile al 4 giugno 2017 presso il Museo Etnografico del Friuli di Udine, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura di Udine. La mostra offrirà un percorso che unisce i lavori dei 12 finalisti con opere dei 12 artisti selezionatori (Sergio Breviario, Gianni Caravaggio, Loris Cecchini, Giulio Delvé, Ettore Favini, Anna Galtarossa, Andrea Mastrovito, Andrea Nacciarriti, Dragana Sapaňjoš, Namsal Siedlecki, Luca Trevisani e Nico Vascellari).
Per arrivare alla selezione dei tre vincitori interverrà la scelta di una seconda commissione internazionale, composta da Fabio Cavallucci, direttore Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Martino Gamper, designer, Amanda Levete, architetto, Jovain Jelovac, art director Beograd Design Week; Piero Gandini, art director FLOS.
ATPdiary vi presenta in tre pubblicazioni i progetti degli artisti finalisti. Seguono le presentazioni di Aceto Alfredo, Francesco Fonassi, Margherita Moscardini e Ilaria Vinci
Alfredo Aceto —
Alfredo Aceto (1991) per Moroso concept ha pensato di realizzare Modesty or Surprise (2016), un’ipotesi di allestimento di una show room, con quattro casse che diffondono altrettante registrazioni. Tutto parte dal 1954, quando fu creato per la prima volta il grido di Godzilla, il “mostro misterioso” del cinema giapponese. Da allora molti sound designer e ingegneri del suono hanno cercato di riprodurre quel suono o di studiarne la genesi, senza mai riuscire a ripeterlo del tutto. Il grido di Godzilla per Aceto è una sorta di simbolo dell’ambiguità tra realtà e finzione, e la creazione di una show room nasce dal vedere in essa un luogo a sua volta a cavallo tra realtà e finzione. “Alcuni oggetti funzionano come tracce che riunite compongono un luogo dove il tempo si altera e dove la cronologia diventa un termine desueto […] L’idea è di lavorare sulla determinazione di un sistema alternativo all’in- terno di uno preesistente. Vorrei che il suono esaltasse in qualche modo la presenza dei mobili e il modo in cui sono stati disposti nello spazio”. Tre registrazioni nascono dallo sfregamento di un oggetto su un altro (due portiere d’auto arrugginite; guanto di pelle intinto di grasse e catrame con corde di violoncello; sneakers con pelle di tamburo), mentre la quarta è la proiezione dei suoni precedenti in interazione con i suoni ambientali di Pripyat, una città abbandonata dell’Ucraina dove i primi stati proiettati mediante un sistema acustico da concerto.
Francesco Fonassi —
Francesco Fonassi (1986) ha progettato per il Moroso Store di NY un’installazione ambientale composta da moduli in scala reali di prototipi architettonici che lui ha presentato per il Modica Art System e che avrà una prima fase di realizzazione dal 23 al 29 maggio. Si tratta di “strutture/rifugio per la trasmissione/ricezione radiofonica di segnali coast to coast, costruita con la terra del luogo dove sorge secondo una tecnica di costruzione chiamata SuperAdobe, sviluppata dall’architetto iraniano-americano Nader Khalili”. A NY ci saranno più moduli, uno principale sezionato in corrispondenza della vetrina su strada, da cui si potrà vedere uno “spaccato di architettura” e si potrà fruire di apparecchiature per la ricezione radio-streaming e per la loro diffusione anche all’esterno. Altri moduli di scala intermedia saranno poggiati a terra, mentre dei modellini verranno posti su plinti. I punti di diffusione nello spazio faranno in modo che i suoni siano sempre ben distinti, eccetto in una o due aree centrali dove si mixeranno, in relazione agli oggetti presenti. Monitor e stampe consentiranno di visionare il progetto in Sicilia. I sound di NY “avranno un’impronta sperimentale per quanto riguarda i sound pièce per radio, con particolare attenzione a musicisti, poeti e artisti immigrati e/o di provenienza dall’area del mediterraneo orientale. Un’altra tipologia di contenuti invece tratteranno tematiche legate all’idea di trasmissione come atto di riconoscimento e legittimazione politica, oltre che di persistenza dell’individuo su di un territorio e di transitorietà del proprio corpo come media immateriale. In questo senso buona parte delle produzioni di questo tipo saranno ‘vocali’ e non ‘linguistiche’”.
Margherita Moscardini —
La ricerca di Margherita Moscardini (1981), per Concrete Carpet Collection, parte dalla città Zaatari, che è il campo per rifugiati siriani più grande al mondo, costruito nel 2012 e con tanto di sindaco. Seguendo Arendt e Agamben, la Moscardini sottolinea come il futuro sia nel “paradigma della biopolitica, incarnato dalla condizione del rifugiato” e destinato a territori “extra-territoriali”. Per Moroso Concept l’artista propone la produzione di una serie di tappeti in calcestruzzo. Viene utilizzata sabbia (come elemento strutturale e come pigmento) del deserto giordano, miscelata con acqua e malta in laboratorio e poi colata in una cassaforma. La serie potrebbe proseguire con: granito Nero Assoluto dello Zimbawe; Alabastro turco; Manhattan schist, la roccia metamorfica sopra cui è costruita Manhattan. Si ottengono strutture monolitiche, che nello showroom incornicino gli oggetti Moroso, mentre in altri spazi restano “sculture minimali, che possono essere agite spontaneamente e sopra cui programmerò una serie di azioni”.
Ilaria Vinci —
Ilaria Vinci (1991), nel progetto Today I want to became a divinity: half man, half couch, come Alfredo Aceto, riflette sull’aspetto ambiguo proprio dello showroom, arredato con oggetto che vivono una dimensione sospesa prima di diventare davvero funzionali nella casa di chi li compra. Vinci vuole creare l’ipotesi in cui questo spazio venga realmente vissuto, agendo su due linee temporali: una “preistorica”, creando una sorta di caverna da porre sopra le diverse isole di oggetti che riempiono lo spazio espositivo; una “diacronica”, aggiungendo su questi stessi oggetti elementi propri della vita quotidiana, dal telecomando per la televisione, alla coperta di plaid… “Il bisogno di avere delle mura ed un tetto sotto cui ripararsi è rimasto invariato, ma il nostro stile di vita include molteplici attività che prima non esistevano […] La caverna avrà un altezza di circa 2 metri in modo da rendere visibili i mobili al suo interno ed è formata da una struttura componibile di pali in fibra di vetro (come quelli usati per le tende da campeggio) che si incastrano gli uni negli altri in modo da formare un sostegno per una copertura di tessuto”. Gli oggetti saranno delle specie di “sculture rivestite con bende di lino ed aerografate”.
Testi raccolti da Marco Arrigoni