Paola Angelini e le forme del tempo — Pretorio Studio, Prato

"E’ stato come se uno spaccato della storia che ci riguarda si mostrasse come una presenza reale, pronta a essere utilizzata per poter comprendere meglio una provenienza e una impostazione culturale".
1 Luglio 2017

Paola Angelini è la prima artista ad aver partecipato al progetto Pretorio Studio che Veronica Caciolli ha ideato nell’autunno del 2016 per valorizzare il museo pratese di Palazzo Pretorio a Prato – dove si svolge il progetto – e la sua collezione, attraverso l’attività degli artisti che di volta in volta vengono invitati.

Il progetto ruota attorno al concetto di tempo e alle sue manifestazioni, storiche, stilistiche, simboliche, con l’intenzione di farle risuonare nella prospettiva presente e attraverso l’apertura a tutti i linguaggi. Il dispositivo consta a sua volta di tre tempi: un momento di ricerca costituito da una residenza in museo, un periodo di sviluppo, e la presentazione finale attraverso una mostra. Di volta in volta, l’interpretazione di segni condivisi e nascosti sarà affidata alla peculiare capacità di ogni artista, dalla cui visione emergerà un intreccio di tempi e luoghi, forme e narrazioni nell’arco di circa otto secoli” (da CS). CS Forme del tempo – Paola Angelini Prato, Palazzo Pretorio

ATPdiary ha posto alcune domande all’artista.

ATP: In primo luogo partirei da un dato di fatto essenziale, la tua relazione con un museo che contiene opere di Donatello, Filippino Lippi, Fra’ Diamante, Bernardo Daddi, Andrea della Robbia, tra gli altri. Come hai vissuto questo incontro-confronto e cosa ha avuto più influenza su di te in questo approccio?

Paola Angelini: La collezione di Palazzo Pretorio è molto vasta, è una collezione identitaria della città, il risultato di una sedimentazione di epoche, immagini e simboli. Dipingere dal vero in questo contesto non voleva essere un confronto con o uno studio specifico dei singoli autori: ho voluto usare il museo come uno studio d’artista, per attingere da diversi immaginari ed epoche. Ho scelto di escludere un approccio di tipo sistematico e mi sono indirizzata verso la possibilità di provare a restituire un’immagine univoca del museo e della sua identità.

ATP: Tu hai anche una sorta di ruolo pionieristico nel progetto Pretorio Studio, essendo la prima a farne parte. Come hai vissuto questa esperienza e come te ne sei appropriata?

PA: Sono stata invitata dalla curatrice del museo Veronica Caciolli ad inaugurare un percorso che darà la possibilità a giovani artisti di interagire con una collezione della portata di quella della città di Prato. Ringrazio lei per questa possibilità e la direttrice Rita Iacopino per la sua disponibilità. Posso dire di aver iniziato questa esperienza proprio tramite un confronto costante e molto costruttivo prima di tutto con Veronica. Per Pretorio STUDIO si è creato un reale – e raro – momento di dialogo tra un’istituzione museale, che non si occupa di contemporaneo, e una giovane artista italiana. Quello che mi ha fatto partire con convinzione e molto entusiasmo è stata soprattutto la fiducia che mi è stata data e la consapevolezza di poter veramente arricchire il mio percorso tramite questa esperienza. Spero che questo sia solo l’inizio di un ciclo di progetti nel museo.

ATP: Il progetto contempla tre momenti: residenza in museo, periodo di sviluppo e presentazione di una mostra finale. Partendo dal primo, come si è svolta la residenza “dentro” al museo?

PA: Durante le prime fasi ho intrattenuto un dialogo sia con la curatrice Veronica Caciolli  sia con la restauratrice Angela Matteuzzi. Ho trascorso all’incirca una settimana all’interno del museo iniziando a disegnare su un blocco e in un solo giorno ho realizzato un libro d’artista, osservando dal vero e spostandomi sui vari piani della collezione. Disegnavo semplicemente quello che mi attirava di più: ho studiato le opere in collezione servendomene come fossero parte di un archivio personale da cui trarre nuovi spunti. E’ stato come se uno spaccato della storia che ci riguarda si mostrasse come una presenza reale, pronta a essere utilizzata per poter comprendere meglio una provenienza  e una impostazione culturale. Ho continuato questo periodo di residenza dipingendo ogni giorno tele diverse e di vari formati, senza focalizzarmi su una particolare opera. Di tutti questi lavori ho poi deciso di esporre in mostra soltanto una piccola tela, come testimonianza di questa esperienza. Il resto dei dipinti sono stati per me una solida base da cui partire in un secondo momento, per costruire un progetto più strutturato

ATP: Per quanto riguarda il momento transitorio tra museo e mostra, che si è alla fine realizzato nel tuo studio a Ghent, cosa mi diresti? Che scia ha avuto tutto questo nel tuo processo creativo?

PA: Attualmente sto frequentando un master presso la Kask di Ghent, e in questo contesto, tramite uno scambio continuo con i mentori del programma, ho voluto sviluppare quello che avevo iniziato all’interno del museo.
Ed è stato questo il passaggio necessario per prendere le giuste distanze dall’esperienza di immersione nella collezione. Ho guardato con distacco ai riferimenti storici provenienti dalla mia cultura, sviluppando un approccio alla pittura per me del tutto nuovo, che si nutre delle atmosfere e della composizione dell’immagine tipico delle fiandre.
Sono partita semplicemente dall’utilizzare una tela diversa, non preparata, diversi materiali e una diversa tavolozza. Sconvolgendo le normali abitudini, i vizi e le esperienze acquisite nel consolidato processo di lavoro, ci si pone necessariamente in un atteggiamento di ascolto, apertura e messa in discussione. Posso dire di aver fatto una vera e proprio TABULA RASA rispetto alle mie solite immagini e al mio metodo di procedere. Questo presuppone un difficile percorso, ma vale la pena che io lo affronti. Nelle mie tele ho deciso di non narrare una storia, di non evocare un’immagine e di non creare una gerarchia visiva. Ho scelto di non previlegiare un concetto invece che un altro e ho preferito lavorare sulla materia della pittura, per comporre degli oggetti pittorici più che dei dipinti di immagini.  Per questo ho messo da parte l’aspetto più strettamente estetico della pittura, che è quello che aiuta ad entrare nel dipinto e che indirizza lo sguardo sulla tela. L’idea che mi guidava era quella di restituire al museo un corpo unico di opere che potesse offrire alla sua collezione una nuova ed eterogenea identità.

ATP: Infine, arrivando alla mostra, vediamo che hai realizzato numerose opere: dipinti, disegni, tre grandi tele e alcune sculture. Mi parli di questi lavori e di come possono essere visti quali filiazione della residenza al Museo Pretorio

PA: Il centro del corpo di opere realizzate è una serie di 4 grandi tele, che si accompagnano ad altri elementi disposti nello spazio e ad un wall painting. Per le tele, si tratta dello stesso dipinto ripetuto con diverse composizioni e una diversa tavolozza, costituita da una gamma di colori che non avevo mai usato in precedenza. I soggetti rappresentati fanno parte di opere presenti nella collezione, che avevo dipinto dal vero nella prima fase di studio. Quello che ne risulta sembra essere un collage visivo di dipinti, sculture e oggetti: come dicevo, la mia intenzione non era quella di indirizzare lo sguardo tramite le singole immagini rappresentate, ma di creare , invece, un’unica macro immagine fatta di molteplici soggetti. Ho ripetuto la stessa composizione su diverse tele per realizzare un tessuto pittorico nato dalla collezione ma capace di mostrarne un’identità propria e diversa, e il ripetere gli stessi soggetti mi aiutato in questo.

Durante questo processo, ho iniziato a considerare la pittura come metodo di pensiero necessario per articolare un progetto preciso, capace di uscire dallo spazio della tela e di estendersi anche ad altri elementi. Quest’evoluzione è riscontrabile negli oggetti in legno che ho posizionato in relazione alle tele: di forma regolare, sono dei riferimenti oggettuali agli stemmi e agli affreschi presenti in tutto il palazzo e sulla sua facciata. Sono trattati con estrema semplicità, e servono anche a dichiarare l’ approccio usato nei dipinti, ovvero quello di decontestualizzare le immagini dalla loro provenienza ed epoca, di renderle astratte, degli oggetti appunto.

In mostra è presente anche un grande wall painting, dove ho ripetuto la stessa composizione dei dipinti, un intervento che mi ha aiutato a creare un ambiente unico con il museo e le opere. L’ultimo elemento è una scultura in cartapesta e polistirolo: si tratta di un pezzo che ho segato da una mia grande scultura del 2014. La sua presenza rimanda alla mia difficoltà ad immaginare la provenienza effettiva delle bellissime pale di altare, sculture e dipinti in collezione, che spesso sono, come la mia scultura, frammenti fuori dal loro contesto originario.

Installation view. Le Forme del Tempo / The shapes of Time. Palazzo Pretorio Museum, Prato, Italy 2017

Installation view. Le Forme del Tempo / The shapes of Time. Palazzo Pretorio Museum, Prato, Italy 2017

Installation view. Le Forme del Tempo / The shapes of Time. Palazzo Pretorio Museum, Prato, Italy 2017

Installation view. Le Forme del Tempo / The shapes of Time. Palazzo Pretorio Museum, Prato, Italy 2017

Giardino Mosaico IV / Mosaic Garden IV. Installation view. 200 x 180 cm. Mixed media on canvas 2017

Giardino Mosaico IV / Mosaic Garden IV. Installation view. 200 x 180 cm. Mixed media on canvas 2017

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