Fino al 13 settembre gli spazi della Chiesa delle Lacrime a Carrara, ospitano “Diluvio”, l’installazione dell’artista Nunzio, a cura di Luciano Massari. Gli spazi della chiesta sconsacrata di epoca barocca diventano testimoni di una riflessione sulla percezione dello spazio, secondo un modus operandi dell’artista, che nella sua ricerca ha sempre posto in primo piano il tema della spazialità, svincolata dall’aspetto funzionale e perciò territorio di sperimentazioni e soluzioni inaspettate. Spazialità che coinvolge il pubblico invitato ad osservare l’opera da sempre diversi punti di vista. L’opera, dunque, si arricchisce di attenzioni e sottigliezze debitrici di un’epifania della visione.
Alcune domande a Luciano Massari.
ATP: Dal tuo punto di visto, quanto la Chiesa delle Lacrime a Carrara ha potenziato a livello espressivo la grande installazione di Nunzio ‘Diluvio’?
Luciano Massari: La Chiesa delle Lacrime risale al secolo XVII: si tratta di un’architettura barocca che dialoga splendidamente con l’opera “Diluvio”. Il lavoro di Nunzio richiede tanti punti di vista per essere fruito in pieno e quello spazio era l’ideale. Il dialogo tra l’opera e la chiesa si svolge su due registri diversi: il primo inerente la percezione spaziale attraverso il concetto di “limite” e trasparenza; “Diluvio” costituisce una seconda abside. La seconda chiave di lettura, invece, è legata allo spazio architettonico barocco nella sua complessità e indeterminatezza. L’opera di Nunzio, come dicevo, necessita di tanti punti di vista e di tanti piccoli spostamenti dello spettatore per rivelarsi in tutta la sua bellezza, per esaltare il blu oltremarino con cui è dipinto il grande legno combusto. Un po’ come un’architettura o una scultura barocca che invita il fruitore a un’esperienza sorprendente.
ATP: Tra la vasta produzione di Nunzio, perché avete scelto proprio questa opera? C’è un motivo particolare?
LM: E’ stato l’artista stesso a riproporre a distanza di oltre vent’anni la collocazione dell’opera in una chiesa. “Diluvio” è stata installata per la prima volta nel 1993, in occasione del Festival dei Due Mondi in Santa Maria della Manna d’Oro a Spoleto, una chiesa con caratteri stilistici molto simili a quelli della Chiesa delle Lacrime. E’ stata una sorta di “verifica” e dopo 22 anni l’opera funziona ancora in questo contesto.
ATP: In merito alla reazione del pubblico, hai dei commenti o delle considerazioni che ti sono rimaste più impresse in merito a quest’opera?
LM: Quello che mi ha colpito nell’osservare l’approccio del pubblico è la postura che i fruitori assumono al cospetto dell’opera. Inizialmente lo spettatore si ferma, bloccato dal grande legno che si para frontalmente alla sua vista. Subito dopo inizia l’esplorazione fatta di sguardi trasversali, di inclinazioni del capo, di tanti piccoli passi di aggiustamento della visione. E’ sicuramente un’opera che ha un forte senso della prossemica e che invita all’esperienza fisica: è difficile da fotografare e in questo senso è figlia del tempo in cui è nata, quando le mostre si visitavano e i social erano ben lontani dall’essere anche solo immaginati.
Testo critico sull’opera di Nunzio di Matteo Innocenzo