New Photography | Luca Massaro

"A me piace molto la superficie delle cose e il medium fotografico credo possa rinnovarsi sempre proprio perché si adatta alla superficialità del progresso tecnologico e della visione retinica. Non m’interessa di per sé un’evoluzione tecnica che rischia di fare regredire il linguaggio poetico a una critica ironica post-qualcosa."
24 Gennaio 2020
Milano, Mexico 2019 – Luca Massaro See Both Sides courtesy Viasaterna

Il quinto appuntamento con New Photography è dedicato a Luca Massaro

Mauro Zanchi, Sara Benaglia: Partiamo dalla relazione tra parola e immagine, dal rapporto con una nuova possibilità della misurazione del mondo e dei suoi misteri attraverso una coazione col medium fotografico. Come si è svolta la tua esplorazione attraverso il progetto “Vietnik”?

Luca Massaro: Sì, fin dal primissimo libro Foto Grafia (2010-2014, Danilo Montanari Editore 2015), questa interazione e ibridazione di immagine e parola è stata la linea guida del mio lavoro. Da quasi 10 anni fotografo parole. Nella prima pubblicazione, ho selezionato tra le mie fotografie, le grafiche e scritte che avevano a che fare con il medium fotografico, perché ero interessato a questo cortocircuito tra forma e contenuto dell’immagine, tra significato e significante semiotico.
In questa prima serie –realizzata proprio durante gli anni di università in letterature straniere a Milano e Parigi e vari viaggi in Europa e Giappone– la fotografia di ricerca era semplicemente concettuale, con poco interesse ed esperienza verso la forma fotografica. Il lavoro successivo Vietnik (2015-2019) è stato un tentativo di avvicinamento al medium, alla sua storia e alla ricerca della fotografia libera da preconcetti: in 4 anni di edit fotografico e linguistico su una serie scattata durante vari periodi in America, quello che è rimasto è un’interiorizzazione del mio modo di fotografare, a-prospetttico e ravvicinato, sdoppiato o raddoppiato, nello spazio invisibile che separa una fotografia dalla sua didascalia.
Nel libro questo si traduce in un numero di pagine uguale dedicato alle fotografie e alle didascalie, a un apparato testuale diviso in capitoli e note finali che ricordano il romanzo di formazione o il saggio. Nell’installazione invece la parola entra all’interno dell’immagine in svariate forme non didascaliche.

MZ / SB: Ci interessa molto approfondire alcuni temi che hai affrontato con la tua ricerca: lo sdoppiamento del sé e dell’immagine fotografica; l’ibridazione tra reale e virtuale.

LM: Vietnik è l’username/pseudonimo musicale che utilizzavo sulla piattaforma Soundcloud. Tutti i social network, o ancora più in generale tutte le immagini sociali e fotografiche che presentiamo di noi stessi, sono il frutto di uno sdoppiamento. Roland Barthes diceva che “la fotografia è l’avvento di me stesso come altro, un’astuta dissociazione della coscienza d’identità”. Oggi più che mai ogni profilo Instagram è una costruzione sociale che ha più punti di contatto con la fiction performativa che con il documento biografico. Il medium fotografico anche etimologicamente è sdoppiato in una componente di luce φῶς e di scrittura γραϕία. Tendo fin da piccolo a vedere tutto doppio, per questo mi è naturale finire per approfondire il tema della dualità nei miei lavori. Anche le immagini online hanno una doppia vita: più che l’opposizione tra reale e virtuale mi interessa la compenetrazione di un aspetto nell’altro, e proprio questa era la prospettiva della mostra collettiva dal titolo Retina (il nome della più evoluta tecnologia di schermi Apple, oltre che la membrana interna dell’occhio), curata con il progetto collaborativo Gluqbar .

Foto Grafia – Luca Massaro Danilo Montanari Editore 2015
Vietnik – Luca Massaro Gluqbar Editions 2019

MZ / SB: Ci parleresti della doppia articolazione del medium fotografico e il suo rapporto con la didascalia?

LM: La percezione-occhio e la rappresentazione-fotografia si modellano sulla relazione tra stimoli esterni e le forme generative iscritte nella nostra mente. Gregory Bateson parla di un doppio legame tra messaggio e contesto per cui è molto difficile “districarsi” dall’interpretazione inscritta nella forma gestaltica, se non attraverso un “eccesso” semiotico-poetico. Ogni volta che guardiamo un’immagine, la traduciamo mentalmente in parole e viceversa. Dato che ogni immagine contiene già di per sé una didascalia interpretativa e ogni fotografia è iscritta nei limiti del nostro linguaggio, mi interessa lavorare sulla coesistenza di immagine-parola in maniera non didascalica. Creare un “eccesso” di linguaggio foto-grafico.

MZ / SB: Temperance / Indulgence (2019) ci sembra anche un rimando a rivolgere lo sguardo e il binocolo verso un’altra dimensione, ctonia. Al contempo pare un invito a oltrepassare una soglia, per sondare qualcosa che per ora è ancora nell’ombra. Come mai ritieni indispensabili la temperanza e l’indulgenza per intraprendere questo viaggio?

LM: L’immagine a cui ti riferisci fa parte dell’ultima installazione a Viasaterna con interventi grafici e stampa decal sul vetro che incornicia la fotografia. Già la fotografia del binocolo (sede di Google a Los Angeles), esposta senza interventi grafici in varie mostre precedenti, aveva attratto varie interpretazioni che apprezzo e accetto. Ma tutte le parole scelte e applicate sulle fotografie, così come le fotografie stesse, si sottraggono alla significazione metaforica chiusa.
Le scritte dell’installazione nella stanza ettagonale di Viasaterna richiamano in parte l’opposizione delle 7 virtù e dei 7 vizi capitali nella Cappella degli Scrovegni di Giotto. L’affresco di Giotto “Temperanza”, per la sua composizione a-prospettica con la sovrapposizione della scritta in latino “temperantia”, mi ricorda molto l’omonima carta dei Tarocchi di Marsiglia. Ecco, m’interessano questo genere di parole e immagini universali, che invitano all’interpretazione e che si fissano nella nostra psiche, senza però limitarsi a un unico messaggio. In ogni Tarocco di Marsiglia è presenta una dualità. La compresenza di elementi opposti tende ad annullare e quindi amplificare il significato. Nell’opposizione dei due termini applicati sulla fotografia, c’è più semplicemente la dualità insita alla visione, la compresenza dei due occhi/binocolo, del “Seeing Double” e “See Both Sides”, titoli delle due ultime mostre personali.

MZ / SB: Come possiamo andare oltre la mera visione retinica stigmatizzata da Duchamp? Quali sviluppi e modalità nuove immagini per una evoluzione del medium fotografico?

LM: A me piace molto la superficie delle cose e il medium fotografico credo possa rinnovarsi sempre proprio perché si adatta alla superficialità del progresso tecnologico e della visione retinica. Non m’interessa di per sé un’evoluzione tecnica che rischia di fare regredire il linguaggio poetico a una critica ironica post-qualcosa. Oggi m’interessa, piuttosto che il “vedere chiaramente” professato dalla scuola di paesaggio italiana (Ghirri, Guidi ecc, che a loro volta si dovevano emancipare da Evans, Strand ecc.), il “vedere di traverso”, appunto il “vederci doppio” o il vedere contemporaneamente “da due parti” dello schizofrenico. Credo che il linguaggio del futuro –per quanto più evoluto e rinnovato nella forma– riservi una sorta di ritorno al primitivo, in cui l’Arte (tutta, dalla Fotografia alla Musica) sia un’espressione dello Zeitgeist, ma come una sorta di fede religiosa o attrazione sessuale –che poi era il centro di una bella mostra su Duchamp e Koons curata da Gioni, visitata di recente a Città del Messico.

See Both Sides Installation View – Luca Massaro 2019 courtesy Viasaterna
See Both Sides Installation View – Luca Massaro 2019 courtesy Viasaterna

MZ / SB: Cosa intendi rappresentare attraverso “visual bildungs roman” e immagini semiotiche, che celano influenze all’intersezione tra fotografico e musicale?

LM: Quella era la descrizione di Vietnik sulla Aperture Photobook Ideal Bookshelf di Federica Chiocchetti: nel senso che in Vietnik, anche grazie alla sinestesia e all’elemento musicale, si prova a passare dall’influenza di Ghirri e Frank alla costruzione di un linguaggio personale, come in un romanzo di formazione. In Vietnik mi sono voluto confrontare in maniera diretta con i “padri” della fotografia e nelle prime pagine del libro ci sono fotografie di casa Ghirri del 2013 e poi una visita allo studio di Robert Frank nel 2015. In particolare l’incontro con Frank mi ha dato coraggio e il desiderio di inserire di nuovo la parola nel mio lavoro in maniera inedita. Queste nuove sperimentazioni s’intravedono nell’ultima installazione a Viasaterna e in maniera più diretta nel nuovo lavoro “captionthis”. In Vietnik, invece, m’interessava affrontare “l’angoscia dell’influenza” e “il soccorso tra le arti” descritta in un bel saggio su immagine-parola di Michele Cometa sul romanzo di Thomas Bernhard “Antichi Maestri”. “I pittori dipingono merda, i compositori compongono merda, gli scrittori scrivono merda”, ma il protagonista Reger, un musicologo che si occupa di arti figurative, è “sempre nello stesso tempo e simultaneamente pittore, musicista e scultore”. Fin da subito sapevo che volevo un titolo ambiguo e incipit simile a quello de Il Soccombente (sempre parte della trilogia delle Arti di Bernhard) che racconta di “Anche Gleen Gould..”, per diventare una fuga contrappuntistica sul ritmo della prosa dello scrittore austriaco, piuttosto che una biografia musicale su Gould.

MZ / SB: Come immagini una via sinestetica per espandere il medium fotografico?
LM: Capovolgerei la domanda e direi che la generazione di artisti coetanei che m’interessano (1991-1981 più o meno) lavora con la fotografia e con l’immagine in una dimensione installativa, che può espandere il medium fotografico in ogni direzione, sonora così come filosofica o tridimensionale. Rosalind Krauss nel 1979 scriveva “Sculpture in the Expanded Field” riferendosi al superamento della sensibilità modernista di Greenberg, e sottolineando le connessioni della scultura con altri ambiti disciplinari come l’architettura, la fotografia e la filosofia. Oggi penso alla fotografia come a un’istituzione in cui la stampa è solo un elemento in una rete più ampia, composta da supporti tridimensionali, titoli, architettura espositiva, libro d’artista, testi, immagini, comunicazione, nel campo allargato dell’installazione.

Seeing Double installation view – Luca Massaro courtesy Metronom
Wizard – da Vietnik – Luca Massaro
Montague Street – da Vietnik – Luca Massaro
Le Immagini, Napoli – Luca Massaro Milano, Mexico 2019 – Luca Massaro
Milano, Mexico 2019 – Luca Massaro – da captionthis

Per leggere le altre interviste New Photography

Inauguriamo una nuova rubrica di approfondimenti dedicata alla fotografia contemporanea: una serie di interviste di Mauro Zanchi e Sara Benaglia realizzate nel contesto di ricerca riferito alla Metafotografia e alla New Photography, iniziata nel 2018 – approfondita con una mostra presso BACO_BaseArteContemporaneaOdierna (Baco Arte Contemporanea) e una pubblicazione edita da Skinnerboox nell’ottobre 2019 – e tuttora in divenire con ulteriori approfondimenti nelle pagine online di questo sito.
New Photography è un progetto che in una prima fase coinvolge l’avanguardia fotografica contemporanea italiana e in seguito la Nuova Fotografia internazionale. Si pone il quesito di quale sia la natura dell’immagine alla luce di un cambio di paradigma visuale combinato con i cambiamenti sociali e tecnologici che lo hanno accompagnato. Gli algoritmi di correzione dell’immagine, il deep web, l’apertura al non visuale, la codificazione con stringhe di numeri, l’archivio, le corruzioni e gli sviluppi dell’inconscio tecnologico, l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza e dello scanner invece di un obiettivo sono solo alcuni dei metodi e delle modalità di ricerca adottati dagli artisti coinvolti.

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