Korakrit Arunanondchai | Museion, Bolzano

"Si compie per la prima volta un pensare e vedere attraverso il filtro digitale".
28 Agosto 2016

Korakrit Arunanondchai è un artista nato a Bangkok nel 1986. Il nonno era l’ambasciatore tailandese in America, Francia e Vietnam: forse per una “family tradition” (le virgolette sono citazioni di KA), c’è in lui sia il desiderio di stare e crescere in un ambiente economicamente e culturalmente sviluppato, sia la volontà di portare in qualche modo un rinnovamento nel suo paese d’origine (“less-developed country”). Come dice lui stesso nell’intervista fattagli da Ben Noam per Interview Magazine tre anni fa, non ha mai visto mostre d’arte contemporanea durante l’intera sua adolescenza. Non ha avuto accesso ad Internet fino ai 17 anni, quando scoprì la rete, che però era incredibilmente lenta. Dice anche che, avendo quattro fratelli, ed evidentemente dovendo aiutare la famiglia, non aveva in realtà neanche il tempo da occupare nella ricerca, o semplicemente nella scoperta. All’incirca in prossimità della fine delle scuole superiori, Korakrit andò a trovare il fratello a Londra: qui la rivelazione di qualcosa ancora ignoto che scalciava dentro di sé. Il tutto davanti a Sun (2003) di Olafur Eliasson, nella Turbine Hall della Tate Modern. È lì che ha pensato o capito di essere un artista visivo? Non esattamente. C’è da dire che prima lui suonava in una band ai tempi piuttosto famosa nel sud della Tailandia, cosa che lo faceva sentire una giovane, promettente ed esordiente rock-star. Ma tutto naufragò, quando la più grande record company tailandese gli disse che, in realtà, secondo loro non era molto portato per il canto, ma neanche per la musica in generale. Così decide di cambiare vita, di dare una svolta a se stesso e di studiare e specializzarsi in arte. Si trasferisce a New York (“I never left New York, but I think I’m still jetlagged”), studia alla Rhode Island School of Design in Providence (USA), poi alla Skowhegan School of Painting and Sculpture in Skowhegan (USA) ed infine finisce gli studi con un MFA alla Columbia University di New York. Ha studiato con Matthew Ritchie e poco dopo ha fatto uno studio visit con Hans-Ulrich Obrist, che dice averlo aiutato a confrontarsi ed ubicarsi all’interno della storia dell’arte tailandese.

Dal 2013 lavora con la galleria Clearing di NY e Bruxelles, con cui ha fatto diverse mostre personali, l’ultima inaugurerà a breve. Nel 2014 ha presentato una personale al MoMa PS1 di NY e nel 2015 al Palais de Tokyo di Parigi. È presente alla Biennale di Berlino di quest’anno e a quella di Sidney (conclusasi il 5 giugno). Queste sono solo alcune delle diverse mostre che ha organizzato e delle personali a cui è stato invitato.

Korakrit Arunanondchai,   Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff out,   exhibition view,   Museion 2016

Korakrit Arunanondchai, Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff out, exhibition view, Museion 2016

In questo periodo, invece, fino all’11 settembre 2016, il Museion di Bolzano ospita Korakrit Arunanondchai con la personale Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff ou, a cura della direttrice Letizia Ragaglia. È la prima volta che viene dedicata una personale italiana a Korakrit Arunanondcha. La mostra inizia al piano terra del museo, dove sono esposti tre dipinti su tela di jeans, su cui vengono sovrapposti frammenti di un’altra tela stampata rappresentante il suo stato di precedente combustione: History Paintings (Poetry Floor). Al quarto piano, invece, l’artista ha creato uno scenario esclusivo: le pareti vetrate sono state ricoperte da pellicole colorate (rosse e blu) e le luci a soffitto sono gialle. È un’ambientazione quasi digitale, virtuale, che ricorda un videogioco 3D. Al centro dello spazio espositivo c’è una moquette blu, sopra cui sono posti dei grandi cuscini in denim macchiato per far accomodare lo spettatore di fronte al grande led wall che riproduce Painting with History in a Room Filled with Men with Funny Names 3, epilogo di una trilogia di video composta anche da Painting with History in a Room Filled with Men with Funny Names 1 e 2012-2555 (part 1 to the trilogy), pezzi di una soap opera che racconta la storia di un pittore di denim. Il titolo del video, traducibile in Dipingere con la storia 3 o 2559 anni per capirci qualcosa, rimanda al calendario buddista, dove l’anno 1 corrisponde al 543 a.C.; così il 2559 citato nel titolo corrisponde al 2016, anno della mostra a Bolzano.

È una sorta di videoclip musicale sponsorizzato interamente da un’azienda di jeans che vede nel suo messaggio subliminale lo sguardo di Ives Klein. Klein è un alchimista che col fuoco trasforma la materia. Arunanondchai sembra utilizzare lo stesso procedimento, ma tutto avviene attraverso il computer, photoshop, … c’è ancora la pittura, ma è vista attraverso il filtro continuo di una realtà online: il video propone immagini in serie filtrate dalla sua sensibilità orientale, con i coccodrilli, i balli del posto, gli spettacoli con i rettili. Vengono fatti vedere tutti dei cliché che gli orientali considerano legati alla loro terra, ma proposti ed organizzati nella prospettiva dell’occidentale che li guarda. Si attua un gioco sofisticato e mimetizzato (forse anche autoironico e altamente critico) tra un vedere orientale e occidentale (due sguardi che, poi, si mischiano nelle opere), tra realtà e fantasia, spiritualità e scienza, memoria individuale e collettiva, globalizzazione e tradizione. A dominare è un ping-pong tra tradizione e avanguardia informatica. L’installazione diventa un vero e proprio ambiente, in cui il video, i pannelli, i cuscini, i colori sono un’unica opera. La superficie dell’immagine virata attraverso photoshop sembra quasi venir riversata su tutti gli oggetti e su tutto l’ambiente: siamo come di fronte ad una vera e propria realtà digitale. Per esempio la curatrice Rattaglia suggerisce: “La poetica di Korakrit Arunanondchai è rappresentativa di una generazione, in cui si compie per la prima volta un pensare e vedere attraverso il filtro digitale. La logica delle sue opere è effettivamente quella del “surfing”: la ricerca di connessioni improvvisate ed estemporanee attraverso l’aleatoria e libera navigazione nel web. In questo senso, proponendo un artista come Arunanondchai, Museion continua a porsi come “catalizzatore temporale”, in cui il presente è fucina attiva per ripensare il futuro.

Sebbene si possano intravedere i riflessi sfocati dell’espressionismo astratto di Jackson Pollock, delle antropometrie di Yves Klein, passando per il modernismo thailandese, fino al giapponese gruppo Gutai, qui siamo davanti ad un passo ulteriore. L’artista, utilizzando il filtro del digitale (e per filtro intendo un’intera formazione legata ad Internet e al computer: è un nativo digitale) rimescola, trasforma, amalgama, fonde e, poi, riplasma un mondo nuovo, altro, che vede i passati maestri come antenati di cui si ricordano solo pochi ammonimenti. Le immagini che ci vengono offerte nel video, ma anche i dipinti e i pannelli caotici fatti di materiali residui che rimandano direttamente al video, diventano dei gadget di un suo viaggio immaginario, svolto da Bangkok a NY, quindi ibridi tra occidente e oriente, nella volontà di un dialogo pur in una messa in scena super confusionaria. Non c’è più il volo di Klein fatto col corpo, ma un volo virtuale sia nella storia dell’arte che nelle due culture, occidentale e orientale. È un melting pop più aggiornato, e disposto su due registri, uno superficiale e uno templare, dove ogni cosa porta alla creazione di un tempio, super contemporaneo e inedito.

Korakrit Arunanondchai,   Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff out,   exhibition view,   Museion 2016

Korakrit Arunanondchai, Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff out, exhibition view, Museion 2016

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