La regina dei Caraibi a cura di Andrea Bruciati / PhotoArtVerona
AMO Arena Museo Opera / 16 ottobre – 13 dicembre 2015
12 fotografe e artiste della Collezione Milesi sono ospitate nella Sala degli abbeveratoi e in alcuni spazi vicini all’interno di Palazzo Forti, un tempo sede della Galleria d’Arte Moderna della città ora AMO, Arena Museo Opera, un museo dove alloggiano di volta in volta molte e variegate esposizioni, spesso temporanee e legate al mondo della musica, in particolare della musica lirica, ma non solo. Mi piace molto che il titolo di questa, purtroppo minima, mostra fotografica sia La regina dei Caraibi, perché rimanda chiaramente al tema esotico così caro al buon Salgari, scrittore veronese di avventure mirabolanti e girovaghe ma di fatto sempre o quasi fermo nella propria città. Ecco il meraviglioso tema del sedentario che visionariamente vede oltre il suo luogo d’origine e applica l’immaginazione al montaggio e allo smontaggio della realtà. Le artiste selezionate da Andrea Bruciati per PhotoArtVerona, con la collaborazione del Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, raccontano attraverso i loro soggetti e, a volte, attraverso la loro stessa vita messa in scena, penso alle polaroid di Tracey Emin e di Sarah Lucas e ai poster in bianco e nero di From Army to Armani, 1993, un’immaginario femminile lontanissimo dal romanticismo letterario e dal femmineo inteso come seduzione, mollezza ed esotismo. La Lucas e la Emin sono sfrontate ed esibizioniste, come le donne di Vanessa Beecroft che vengono fotografate nude o seminude, apparentemente forti, ma sottoposte al mio sguardo voyeuristico (e a quello dello spettatore). A leggere con attenzione la mostra, c’è forse nella scelta di includere gli scatti di Emily Jacir un riferimento al lontano mondo separatista e separato della Palestina d’oggi, un Medioriente che interpreto realmente come esotico, strano e straniante, pur nella banalità della scena o del particolare inquadrato dalla fotografa. C’è però anche un suggerimento di purezza nelle ragazze appena adolescenti di Larissa Kramer e Corinne Yeon Stoll fotagrafate a creare dei tableaux vivants, vestite di bianco o di azzurroverde, eteree principesse-regine di un universo fatato, custodi di un qualche tesoro: è splendido lo scatto Untitled, 2005, in cui una delle due ragazze in scena tiene tra le mani un nido di stoffa bianco con un uovo dentro. Tutte le fotografe alludono in questa mostra a degli spezzoni di realtà o di realtà sognata la cui interpretazione è sempre da cercare. Avrei voluto però una polposa e ricca mostra di fotografia ma gli spazi espositivi così angusti mi hanno depressa. Magari, quando riaprirà il Centro Internazionale di Fotografia, Verona sarà pronta per ospitare mostre fotografiche più ampie e approfondite.
Le opere esposte sono di: Vanessa Beecroft, Tracey Emin, Dominique Gonzalez-Foerster, Dana Hoey, Larissa Kramer, Emily Jacir, Annika Larsson, Sarah Lucas, Johanna Malinowska, Daria Martin, Corinne Yeon Stoll e Jeanine Woollard.
Il tesoro misterioso – Herbert Hamak al Museo Maffeiano
Il “tesoro misterioso” suggerito dal titolo della mostra è: da una parte la sede della mostra, lo splendido cortile del Museo Lapidario Maffeiano – edificio neoclassico forse poco conosciuto dai veronesi, che si apre a ridosso della notissima Piazza Brà – che ospita una collezione di reperti romani, etruschi e greci raccolti in oltre trent’anni dall’erudito Scipione Maffei; dall’altra, l’insieme degli interventi plastico-scultorei dell’artista tedesco Herbert Hamak, classe 1952, disseminati nel cortile e negli spazi espositivi dedicati alle civiltà classiche.
Il lavoro di Hamak, già legato alla città di Verona, che per celebrare l’apertura dei camminamenti di ronda di Castelvecchio chiama l’artista nel 2007 ad installare l’opera Ultramarinblau dunkel PB 29.77007, è plastico, architettonico e pittorico allo stesso tempo. I materiali che usa e le forme a cui dà vita rimandano alla naturalità del dipingere, con l’uso dei pigmenti mescolati alla resina su tela, alla razionalità delle opere minimaliste, con le forme solide geometriche, e al rapporto con lo spazio, nel bel gioco di richiamo dell’esterno con l’interno, dell’architettura del museo e dei ritrovamenti che in esso sono conservati. Come le raccolte museali sono stratificazioni di ricerche colte e mirano alla conservazione dei resti delle civiltà passate, così le opere di Hamak si inseriscono nel percorso come interventi cromatici inaspettati nel bianco totale delle lapidi classiche. Le curatrici ribadiscono: “Le opere scelte per dialogare con le collezioni del museo suggeriscono…l’idea del colore dei reperti ora non più leggibili. Ritorna quindi la policromia di un’epoca lontana e allo stesso tempo i suoi blocchi di resina sono custodi di copie di reperti trattenuti all’interno”. In memory of Atri, 2015, è l’installazione di “cubi blu” in resina, pigmento e LED posti sulla ringhiera della terrazza del museo che si vede da fuori e attraverso le finestre dello spazio espositivo: si tratta ancora una volta di una metafora della “colorabilità” della città, come se i cubi fossero “i colori di una scatola di acquerelli”, dice Hamak. Di nuovo l’idea di un dentro e di un fuori che sono messi in collegamento attraverso l’intervento artistico, a rispecchiare il concetto di iniziativa collaterale di ArtVerona: una fiera che arriva in città, lasciando qua e là le sue tracce di contemporaneo.
Il tesoro misterioso – Herbert Hamak al Museo Maffeiano a cura di Hélène de Franchis e Paola Marini
Museo Lapidario Maffeiano / 16 ottobre – 13 dicembre 2015