Giacinto di Pietrantonio racconta la mostra “Come è viva la città”

Com’è Bella la città, com’è viva la città, tra estetica e vita attiva la città si realizza con e nel quotidiano delle pratiche dei cittadini prese a riferimento per una mostra che vuole parlare più dei cittadini che della città.
25 Ottobre 2015

Segue il testo critico della mostra “Come è viva la Città” – ospitata a Villa Olmo, Como, fino al 29 novembre 2015 -, scritto dal curatore Giacinto di Pietrantonio.

Com’è Città la Città

Dal cucchiaio alla Città idea-slogan-percorso che almeno da Walter Gropius, architetto e padre fondatore della Bauhaus, passa di mano in mano ad Ernesto N. Rogers, architetto e direttore di Domus e Casabella, nel 1952, alla XV Triennale di Milano del 1973, rincorrendo fino a oggi un’idea che intende definire la progettazione come questione di scala dal piccolo al grande. Com’è grande la città, insediamento di grande scala, centro abitato esteso contrapposto alla campagna. La città è fatta di qualità e quantità, concentrazione e amplificazione, oggi rese ancor più evidenti dalla globalizzazione, che ha portato allo svilupparsi di città enormi, tanto da non poter essere quasi più chiamate città, ma metropoli: + di 1 milione di abitanti, megacity: + di 10 milioni, megalopoli: + 50 milioni. Una crescita tumultuosa, espansione ben resa dall’opera Lagos, 2000, di Armin Linke. Organismo storico, la città, dal latino civitas, condivide l’origine etimologica con civiltà, è luogo di fondazione e radicamento. Fin dall’origine non si parla mai della fondazione di un villaggio, ma di fondazione di città anche quando questa ha ancora le dimensioni di villaggio. Fondare una città significa, non solo scegliere un sito utile, ma anche dare ad essa un’immagine, dotarla di una simbologia, così che Romolo, futuro re di Roma, traccia un solco dopo aver osservato il volo degli uccelli e, successivamente, si affretta a creare la leggenda dello svezzamento della lupa che diventa simbolo di Roma. Già in precedenza Atene nasce divinamente per volontà della dea Atena ed altri esempi potrebbero proseguire fino alla fondazione delle recenti città in Cina, progettate seguendo le regole della geomanzia taoista, che vede nei luoghi immagini di animali, spiriti e cose.

La città non è solo un luogo e neanche un non luogo, ma un pluriluogo, un luogo di luoghi. Un mutiluogo che dovrebbe essere riportato a dimensione umana. È forse per questo che la rivista Domus, con la nuova direzione di Nicola Di Battista, ha scelto lo slogan “La città dell’uomo.” Città dell’uomo che è la città per l’uomo da poter percorre anche a passo d’uomo. Com’è viva la città e in tal senso la guardiamo, pensiamo, viviamo dalla prospettiva umanistica italiana. Un modo di vedere la città come luogo a misura d’uomo, perché, come dice Calvino, la città è “Relazione tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”, contravvenendo all’esaltazione modernista-futurista della città, che architettonicamente e artisticamente sale, o all’espressionista città-metropoli, che cinematograficamente e socialmente sale e scende, come la storia dell’arte insegna.

E non è forse su questo che la cultura figurativa, e non, vanno interrogandosi da una trentina di anni, cercando risposte alternative all’esaltazione metropolitana della modernità, tentando, al contrario, di rendere presente il passato con la memoria, come avveniva nella Biennale architettura del 1980 diretta da Paolo Portoghesi?

Una domanda che qui trova risposta ne La città banale, 1980, di Arduino Cantafora, un quadro denso di memorie architettoniche passate e moderne. La città emblema ed emblematica, la città moderna e storica che è pure foucaultianamente archeologia del sapere, su cui ha da dire qualcosa Francesco Clemente, che, non dimentichiamolo, ha studiato architettura. In Ritratto di Foucault, 1978, egli ritrae il filosofo dell’archeologia del sapere nella tipica posa dei malinconici, “malattia” e stato d’animo degli artisti saturnini, circondandolo di icone dell’architettura del passato, che vanno dalla piramide azteca al Maschio Angioino napoletano al Pantheon romano. Com’è antica la città, com’è moderna la città se tra modernità e antichità stanno l’opera di Candida Hofer, ZentralInstitut Fur Kunstgeschichte, Munchen IV, 2000, allo stesso tempo ritratto di scuola e museo, istituzioni educativo-culturali cittadine e sempre tra sguardo al passato e spinta al futuro è la città che si fa metafisica in de Chirico con Canto dell’antico con guanto di gomma, 1955. Tra attualità e memoria, nel 2014 Rem Koolhaas, all’ultima Biennale architettura, ribadisce la città attraverso un’architettura di microelementi come scale, finestre, archi, marciapiedi, pavimenti, tetti, cessi, porte, maniglie, …, parti di una standardizzazione fondamentalmente omogeneizzante e omogeneizzata nelle unità di misura S, M, L, XL. In questo catalogo della modernità la memoria della città resiste e, alla fine, non si sottrae alla necessità del discorso storico e di rivalutazione identitaria, chiedendosi cosa voglia dire per l’architettura essere nazionale. E noi aggiungiamo che bisogna passare anche dal nazionale al locale perché, come dice Andy Warhol, qui presente con l’opera Vesuvius, 1985, simbolo di Napoli, è il locale ad essere internazionale fino al personale, altrimenti non si capirebbe perché Christo impacchetta, in vari modi, i suoi luoghi simbolici, vedi: Wrapped reichstag, project for Berlin, 1977; The Point Neuf wrapped , project for Paris, 1984; The gates, project for Central Park NYC, 2001. Così che Ugo La Pietra, artista e architetto, viene qui invitato non con le sue opere visibilmente artistico-architettoniche, che indagano la città, ma con la serie di vasi-teste-volti, Unità nella diversità, 2011, di ceramiche, ritratti-emblemi nazional-popolari delle regioni italiane e dell’Italia tutta come, in negativo, nell’opera-stivale con gagliardetti di città sta l’opera di Paola Pivi Do you know why Italy is shaped like a boot? Because so much shit couldn’t fit in a shoe, 2001. Com’è luogo la città e le città sono luoghi simbolici e organismi vivi-viventi, ed è forse anche per questo che l’uomo ha sentito fin dall’inizio la necessità di dare alla città, come alle persone, un nome e un soprannome: Parigi – Ville Lumière, New York – Grande Mela, Roma – Città Eterna. La città non è soltanto luogo architettonico e urbanistico, ma spazio della vita (Com’è viva la città) e delle sue relazioni, fatta di esterni e interni, di tempo libero e del lavoro, di commerci, mercati, mobilità, di lotte, identità, problemi, opportunità, solitudine, compagnia, servizi, spazi e bene comune, degrado, distruzione e costruzione. Un luogo denso, stratificato e a volte pacificato come in Lezioni di canto, 1955, di Alberto Ziveri che ci dà il la per introdurre il titolo della mostra preso in prestito da una frase di Com’è bella la città, 1969, di Giorgio Gaber che, con la solita ironia che lo contraddistingue, cantava, e ora noi con lui:

Com’è bella la città

Com’è grande la città

Com’è viva la città

piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce

Maurizio Cattelan (1960) Ten part story 1998  10 Fotografie a colori su cartoncino  10x15 cm cad Collezione Consolandi,   Milano

Maurizio Cattelan (1960) Ten part story 1998 10 Fotografie a colori su cartoncino 10×15 cm cad Collezione Consolandi, Milano

Com’è Bella la città, com’è viva la città, tra estetica e vita attiva la città si realizza con e nel quotidiano delle pratiche dei cittadini prese a riferimento per una mostra che vuole parlare più dei cittadini che della città. È per questo che abbiamo scelto opere che sono rappresentazione della loro rappresentanza, il ritratto del loro esserci ed essere immagine di cittadinanza. Ma sono anche le geometrie a parlare delle città, però, anche qui, non tanto della loro conformazione reticolare greco-romana, sinuosa medievale, prospettica rinascimentale, circolare neoclassica, esplosa contemporanea, ma del loro senso metaforico. Sono metafore geometriche chiamate a raccontare anche un’epoca, come avviene nell’opera di Frapiccini concentrata su città come Genova, Milano, Torino, un’area metropolitana chiamata, segno dei tempi e della modernità, Triangolo industriale (Com’è metafora la città) su cui si concentrò, oltre Roma ombelico del mondo, il fuoco errante ed errato terrorista contrapposto alle manifestazioni democratiche qui visibili nelle opere di Cingolani, La rivoluzione siamo noi 1981, di Pistoletto, Manifestazione, 2010, Turcato, Comizio, 1949, Gutov-Radek Community, Demonstration-Manifestation, 2000, che riempiono di senso il vuoto di strade e piazze teatralizzandole. Una geometria che si fa postmodernamente mistica nell’opera, Mystica, 2012, di Peter Halley, dove l’astrazione è, con le sue geometriche e colori acidi, rappresentazione di condotti, strade, vie di comunicazione, reti di relazioni e di controllo. Non solo le immagini, ma anche i titoli parlano e Muri di piombo, sempre Frapiccini, diventano anche racconto, espresso tramite la metafora della materia dei tempi moderni che con il ferro dei tempi della Cortina di ferro appartengono e definiscono l’era industriale.

Sorpassata la modernità entriamo nel paesaggio liquido della postmodernità, nel paesaggio urbano che cambia continuamente, come ci avverte Mircea Cantor con The landscape is chanching, 2003. Com’è mobile la città. Niente è più fisso e tutto a Parigi è “festa mobile” di (Hemingway), come nelle opere di Campigli, Omaggio a Seurat, 1954, Jori, Le Grand Jour a l’Ile de la Grande Jatte, 2012 e Vitali, Pic-Nic Allée, 2000, diversamente ispirate alla Une dimanche a la Grande Jatte di Seurat. Opere che citano il tempo libero della borghesia che è ceto cittadino e del parco pubblico anch’esso luogo eminentemente cittadino che cerca di riportare all’interno della città una parte di natura addomesticata, che la città aveva lasciato fuori dalle mura. Ma nei tempi moderni e postmoderni la vitalità è vista pure attraverso l’obiettivo di Helmut Newton At the piscine Deligny, 1978, e la festa contamina tutto e tutti e i suoi caffè finiscono per interessare anche altre città come Londra con i suoi pub come ci fa vedere nel 1970 Mario Merz con Londra, pub irlandese George V, o in altre città come appare nei quadri di SALVO Al Bar, 1981, e Sandro Chia in Caffè Tintoretto, 1981, opere che ci ricordano questi come luoghi cittadini in cui si svolgeva e si volge la vita intellettuale fino alla sua crisi, come nel party anonimo per corrispondenza di Maurizio Cattellan. (Com’è colta la città). In un modo, o nell’altro tutto finisce per puntare alla città che tra costruzione, distruzione e ricostruzione, fra caduta e speranza viene rappresentata dalle opere di Alfredo Jaar, Milan, 1946: Lucio Fontana visits his studio on his return from Argentina, 2013, dove Fontana sta fra le macerie del suo studio milanese a seguito dei bombardamenti della seconda Guerra mondiale, o Mankid 01 a, Mankid 01 b, 2003, della Maja Bajevic con il dittico dell’attacco alle torri gemelle newyorkesi. La città è, così, sempre al centro degli interessi, passando da festa mobile a bersaglio fisso come insegna il dramma dell’attualità, ma sempre punto d’arrivo di un Voyge al Bout de la nuit, 1998, come Anselm Kiefer mostra, raccontando che ciò si è trasformato anche in scontro di civiltà.

Ecco alcuni dei motivi per cui abbiamo voluto costruire la nostra mostra di Villa Olmo attraverso sezioni tematiche che, a volte e a prima vista, sembrano non avere a che fare con l’idea che di solito si ha della città, (Com’è insolita la città). Ecco perché a volte ci sono opere di artisti che non lavorano tradizionalmente sulla città. L’esposizione vuole, infatti, interessarvi non alla città in senso astratto, ma alla città viva, alla vita di città che naturalmente non abbiamo potuto raccontare nella sua totalità, ma solo per parti e, in special modo, attraverso le manifestazioni dei cittadini, cercando di tenere presente l’interrogativo shakespiriano: “ What are cities but people?”, perché parafrasando il sociologo e urbanista Lewis Munford, la città è, prima di ogni altra cosa, il luogo in cui la convivenza umana si relaziona. (Com’è sociale la città). La città, come dice l’antropologo Franco La Cecla, è luogo in cui gli spazi si fanno corpi, o sono sostanziati dai corpi, stanno con i corpi. Corpi che si muovono, corpi che si divertono, corpi che si liberano, corpi distrutti, corpi creati, corpi pensati, corpi venduti, corpi interni, corpi esterni, corpi costretti e corpi liberati e anche corpi e cose che si comprano e vendono. Non esiste, infatti, una città senza mercato, senza commercio, la città, da qualunque punto di vista la si voglia guardare, è nata dal commercio, nel commercio con la vocazione al commercio. Ci sono sia opere limite qui a raccontarlo, come VB 61, 2007 di Vanessa Beecroft, mattanza umana al mercato del Pesce di Rialto di Venezia, o commercio umano e vendita dei corpi come in Prost. nr. 4, 2008 di Pistoletto, o azioni per il corpo come nell’attività commerciale del Barbiere, 1948, di Giuseppe Viviani. Mercato di uomini, donne e merci della vita frenetica del consumo esponenziale cittadino che ci ha fatto preferire, per l’occasione, alle pitture metropolitane futuriste quelle narrative della Bottega araba, 1913, di Anselmo Bucci, o i Riflessi in vetrina, 1929, di Baldassarre Longoni, o il taglio razionalista del mercato comasco di Campagna. (Com’è   densa di vetrine e piene di luce la città). Mercato dentro e fuori, coperto o all’aperto, esso è una questione di strada in senso figurato o astratto centrale o periferica, reale o immaginaria come in Strada laterale, 1946, di Atanasio Soldati. Per la strada si svolge gran parte della vita di città con tanta gente che si sposta, gira e gira come in una giostra tra i segni di luce che si vedono nella New York, West Broadway, 1988, di Vespignani, o di Moriyama, Daido Hysteric n. 8, 1997-2011 e Another country in New York, 1974-2011 sempre di Moriyama. Strade d’umanità concentrata, segni, vie e mezzi di comunicazione, è la città in cui la gente diventa folla che si muove a piedi, o con mezzi meccanici con treni, come in Tralicci F.S. e treno giallo, 1998, di Giuseppe Bartolini, auto e autisti di Autista di piazza, 1950, di Titina Maselli e passeggeri in Dodge Brothers Coupé [D-8] (Double Indemnity), 2011 di Eric White. Gente che va, gente che viene o che attende in vie di terra e d’acqua come Attese n° 5, 1973 di Pistoletto e Stazione, c-type print, 2009 di Emily Jacir, o che parte come ne La partenza, 1926, di Vinicio Paladini. (Come viaggia la città). C’è dunque bisogno di muoversi in città, di dare tempo libero al corpo che, a differenza di quello di campagna, e’ più costretto. Allora ecco venirgli in soccorso individualmente e collettivamente lo sport con le sue specialità e i suoi centri come Decollo, 1998, lo stadio-astronave di Grazia Toderi, o le Tenniste del 1948 di Campigli e la Partita di Pallone di Radice che si svolge tra una folla di tifosi e uno sfondo di periferia urbana sironiana, il luogo limite della città che Renzo Piano invita a riannodare. (com’è sportiva la città). Una vita, quella cittadina, filtrata tra interno ed esterno, tra pubblico e privato, come ci dice uno dei filosofi che tra i primi ha riflettuto a fondo sulla città, Waler Benjamin, una questione messa in immagine da Felice Casorati in Primavera, 1928, Ilaria del Monte in Toilette, 2014; Torstern Kirkhoff in Futuro Anteriore, 2012; Andrea Salvino con Nella vita ci vuole organizzazione, 2000; Pompeo Borra con Figure, 1951; Roy Licthenstein in Wallpaper with blue floor interior, 1992 e Alberto Savinio in Annunciazione, 1932. Opere e mostra che parlano della costruzione quotidiana dell’identità del diritto alla città e che la città, oltre a essere uno spazio architettonico, è prima di tutto un luogo di socialità nostro e dell’altro.

(Com’è Città la Città)

Giacinto Di Pietrantonio

Come è viva la città - Villa Olmo,    Como 2015,   installation view

Come è viva la città – Villa Olmo, Como 2015, installation view

La mostra raccoglie cinquantotto opere che, attraverso diversi media, supporti e linguaggi espressivi, indagano i modi del vivere quotidiano attraverso lo sguardo di artisti italiani ed internazionali. Una panoramica lunga un secolo: quello della nascita e dell’affermarsi della città moderna.

Corredata da un fitto calendario di attività ed eventi collaterali, la mostra “Com’è viva la città” che sarà aperta al pubblico dal 18 luglio al 29 novembre 2015, richiama nel titolo le parole di Giorgio Gaber e si configura quindi come un’imperdibile rassegna sulla tematica della città, affrontata dai più importanti artisti che hanno operato nell’ultimo secolo ed è al contempo un’occasione imperdibile per godere delle numerose opere provenienti da collezioni private, raramente esposte al pubblico prima d’ora.

Emily Jacir (1970) Stazione 2009 C-type print  4 pezzi 46,  4x60,  3 cm Courtesy Galleria Alberto Peola

Emily Jacir (1970) Stazione 2009 C-type print 4 pezzi 46, 4×60, 3 cm Courtesy Galleria Alberto Peola

Dmitri Gutov (1960) Demonstration  2000 Video basato sull’azione di Radeck Community,   Manifestation DVD,   video a colori,   sonoro 9’ Collezione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci,   Prato

Dmitri Gutov (1960) Demonstration 2000 Video basato sull’azione di Radeck Community, Manifestation DVD, video a colori, sonoro 9’ Collezione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato

Massimo Vitali (1944) Pic-Nic Allée  2000,    C-print in diasec su dibond cornice posteriore in alluminio 230x180 cm Collezione dell’artista,   Lucca

Massimo Vitali (1944) Pic-Nic Allée 2000, C-print in diasec su dibond cornice posteriore in alluminio 230×180 cm Collezione dell’artista, Lucca

Theme developed by TouchSize - Premium WordPress Themes and Websites