Testo di Costanza Sartoris
Oramai più di un anno fa, g. olmo stuppia ha vinto la residenza presentando “progettokoleos” (PK), un’idea molto interessante ed elaborata che aveva come obiettivo quello di “invadere come coleotteri lo spazio”, ispirandosi per il nome all’automobile Renault Koleos. Con una poetica citazionista dai tratti baroccheggianti, in PK emergono una forte commistione e stratificazione di linguaggi. Dalla performance alla scultura, dalle videoproiezioni alla radio, tutto entra in un unico ambiente sempre caratterizzato da un vorticoso immaginario kitsch. PK si basa, infatti, su un atlas di immagini pubblicitarie, capace di invadere il nostro immaginario collettivo disciplinandone i comportamenti intriseci. PK cerca di invertire i canoni della pubblicità per creare delle narrazioni visive capaci di riportare lo spettatore a una visione critica della realtà.
Nel corso di un anno di residenza g. olmo stuppia ha sviluppato nove capitoli, o sotto-narrazioni, legate al tema pubblicitario. Ogni capitolo sviluppa un argomento preciso e cerca di farlo con atti performativi cross-mediali in spazi interni o esterni alla Fondazione. Sinteticamente i capitoli sono: I – Si perde il pelo ma non il vizio, II – SAFARI, III – INVERSIONI, IV – Deprive Depraved Images con Alexander Darkish e Marco Barotti, V – Radiovenexia, VI – nOiA, VII – Skinboxes, VIII – SKYPE_MIRROR, il capitolo ora in mostra per OPERA 2016, e quindi l’ultimo capitolo, IX – Biscione, forza Impero Latino con Mirko Pajè, che si terrà il 19 marzo 2017 nella sede BLM di Palazzetto Tito.
Ora, alla conclusione del percorso di residenza, la mostra collettiva finale presenta un titolo che cita la celebre poesia di Bertolt Brecht “A coloro che verranno”. Nel comunicato stampa si spiega la scelta del verso“Per dormire mi distesi accanto agli assassini” come una metafora della ricerca del giovane artista che si ritrova a dover scendere a patti con se stesso per esprimersi liberamente e autonomamente, ma allo stesso tempo ripensando e ricollocando criticamente le proprie opere nei limiti dello spazio di azione di un’istituzione pubblica quale la Bevilacqua La Masa. A partire da queste riflessioni abbiamo voluto porre a g. olmo stuppia qualche domanda.
Costanza Sartoris: Pensando a progettokoleos e a come si è strutturato nel corso dell’anno di residenza, in che modo pensi si avvicini alla citazione di Brecht?
olmo stuppia: L’opera di Brecht, che deriva da una suggestione di Gioele Peressini, ha subito colpito tutti, e sappiamo che il drammaturgo tedesco all’epoca in cui scrisse quella poesia si trovava dinanzi a enormi lacerazioni in Europa. Quello di oggi è senza ombra di dubbio un mondo schizoide. Lavorare in un’istituzione pubblica unica in Italia per le residenze di arte contemporanea, rende bene questa sensazione. Tornando a Brecht, credo che tutto il mio lavoro abbia trovato suolo fertile adoperando una continua sottrazione, una sospensione dello stato di competizione con il mondo: sottraendo, appunto, un immaginario alla sua funzione primaria (essere icone di desiderio) si crea una forma di afasia e anche di sfasamento che naturalmente risultano alieni al resto. Perciò in questa direzione penso che il mio lavoro abbia molto a che vedere con “il dormire accanto agli assassini”: si tratta sostanzialmente di “osare e perdere”, per dirla con le parole di Lindo Ferretti.
Costanza Sartoris: Perdere: pensando ai tuoi lavori e soprattutto alla tua scelta di vivere a Venezia, credo che la laguna sia molto legata alla perdita di un immaginario individuale originale, che è stato soppiantato da un immaginario di souvenir kitsch. Tra i vari capitoli di PK mi ha colpito Radiovenexia, che oltre ad essere davvero divertente da ascoltare, penso abbia una forte valenza sociale, riportando la realtà nuovamente in primo piano trascendendo gli stereotipi per dare spazio alla voce di ognuno. Ti va di parlarmene?
olmo stuppia: “Rosariaaa quando ti vedo mi manca l’ariaa” (NdA ridendo). Sì, Radiovenexiaè stato un capitolo molto divertente di PK. Ho invitato diversi veneziani a raccontare in dialetto le loro pubblicità preferite o odiate trasmettendo il tutto in una diretta online e illegalmente a frequenze medie con una radio amatoriale dallo studio. Ho scelto come media la radio perché, nonostante oggi sia uno strumento datato, Walter Benjamin lo considerava il primo mezzo in grado di sostituire il focolare domestico. Lo sapevano bene gli italiani quando di nascosto dai fascisti ascoltavano Radio Londra, in attesa di buone notizie… Un po’ come poi con la televisione, ci si riuniva intorno alla radio per sapere del mondo. Oggi quasi nessuno la ascolta più se non in macchina mentre ci si sposta. La radio mi ha sempre affascinato: è un mezzo economico, ha una portata potenzialmente illimitata e soprattutto ha un qualcosa di magico. Parlo, la gente mi sente ma non mi vede, quasi come una proclamazione divina. Inoltre la radio ha una dimensione che in termini mediatici mi interessa particolarmente. Infatti, non presenta le limitazioni che uno spazio museale o espositivo in genere ha: la radio trascende la dimensione spaziale, essendo potenzialmente illimitata. È infrastrutturale: il suono passa attraverso l’aria e l’elettricità. È magia. Con la radio il suono entra come una scultura nell’aria: forse è un’immagine banale, ma penso sia la sua intrinseca forza. In Radiovenexiapoi c’è il rapporto diretto con i veneziani e il loro immaginario, che sicuramente è altro rispetto a tutti coloro che non sono abituati a vivere a Venezia. Tutto a Venezia è più lento, si va al lavoro in barca, ci si sposta a piedi, il telefono prende poco: è come se si vivesse in un angolo di mondo lontano dall’ipervelocità cui siamo soliti rapportarci. Invitare quindi chi vive così a raccontare la propria piccola storia è un modo per conoscere un linguaggio e un immaginario diverso, dando voce a chi di solito voce non ha.
Costanza Sartoris: Vorrei concludere cambiando argomento e chiedendoti in che modo la religione e la sfera rituale entrino a far parte della tua poetica. Spesso ti travesti e agisci come uno sciamano e durante le performance entri così tanto nel ruolo che in varie occasioni si sono generate perplessità e astio tra te e il pubblico. Cosa puoi dirmi a riguardo?
olmo stuppia: Personalmente penso che tutte le opere siano un abbozzo più o meno riuscito di una preghiera. Mi approprio dell’immaginario rituale e religioso perché penso ci sia un forte bisogno di un ritorno a una sfera rituale. Il corpo non è solo materia. Tutto PK si fonda su un’estetica Post-Internet che certamente risulta ai più ostica, forse addirittura presuntuosa, mentre in realtà il mio tentativo è quello di aprire momenti di contemplazione viva e non di sterile partecipazione programmata. Il nostro immaginario mitico è diverso a quello del passato ma comunque a esso attinge, formando dei collage schizoidi con le forme di oggi… Creo ambienti apparentementelontani, ma in realtà gli oggetti che uso rimandano a un’estetica del tutto quotidiana: per me cercare di creare un’atmosfera in cui il pubblico possa penetrare è essenza stessa dell’arte, il provare a cambiare stato. L’astio che si può provare assordati dal rumore di un drone nella navata centrale della Fondazione Sandretto è proprio quello che cerco: la nostra società, all’apparenza fluida, in realtà si basa su conflitti e interscambi del tutto analogici, potenzialmente disattivabili con molta più facilità di quel che sembri. È l’abitudine che rende l’uomo schiavo: io cerco solo di disabituare gli occhi e l’animo, per questo forse risulto ermetico e pseudoreligioso…