La Biennale di Venezia di Okwui Enwezor, All the World’s Futures

22 Ottobre 2014

All the World’s Futures a cura di Okwui Enwezor

la Biennale di Venezia | 56. Esposizione Internazionale d’Arte

Venezia, 9 maggio – 22 novembre 2015

Testo di di Camilla Mozzato

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia

Paul Klee,   Angelus Novus 1920

Paul Klee, Angelus Novus 1920

La prima esposizione della Biennale di Venezia nel 1895 si svolgeva ai Giardini nell’unico edificio espositivo permanente che era il Padiglione Centrale; solo dodici anni dopo, a partire da quello Belga nel 1907, si sarebbe iniziato a pensare e a progettare i Padiglioni Nazionali, che saranno novantacinque nel 2015 distribuiti tra Giardini, Arsenale e l’intera città. La formula anacronistica e identitaria della rappresentazione nazionale è forse la caratteristica che più distingue la Biennale di Venezia dalle altre Biennali e che l’ha collocata nel punto di confluenza di moltissimi cambiamenti storico-culturali, di ridefinizione di confini, guerre, e regimi ma anche fratture storiche nel campo della tecnologia e dell’economia, o movimenti di protesta sociale come quello operaio, femminista o anti-coloniale e per i diritti civili. In questo contesto i Padiglioni che dovevano essere semplici luoghi dell’arte diventano una vera cassa di risonanza politica, il prodotto culturale della polis, della società in cui si vive.

Analizzando la contemporaneità con lo sguardo di un uomo moderno che ovunque scorge nuove catastrofi, Okwui Enwezor sceglie come fil rouge della sua Biennale l’Angelus Novus, il dipinto di Paul Klee nella lettura diWalter Benjamin, che acquistò l’opera nel 1921. Trascendendo ciò che effettivamente rappresenta, Benjamin, ne intravide una forza profetica, un chiaro sguardo storico, che ci obbliga a rivedere la capacità rappresentativa dell’arte: la figura ritta e animata al centro della tela è “l’angelo della storia” ai cui piedi si accumulano, sempre più alte, le macerie della distruzione moderna.

L’inquietudine del nostro tempo vive ancora nello sguardo dell’Angelus Novus, che “vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto” ma si ritrova in una tempesta che spira dal paradiso e “lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo”. Enwezor traduce il cambiamento postmoderno, la distruzione, il caos e la promessa come motore per la produzione di nuovi punti di partenza e di confronto per gli artisti contemporanei, e propone All the World’s Futures, come una nuova valutazione della relazione tra l’arte e gli artisti nell’attuale stato delle cose.

In che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, azioni, testi e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di quest’epoca?

Quali materiali simbolici o estetici, quali atti politici o sociali verranno prodotti in questo spazio dialettico di riferimenti per dare forma a un’esposizione che rifiuta di essere confinata nei limiti dei convenzionali modelli espositivi?

La mostra seguirà una struttura orchestrale che privilegerà nuovi lavori e proposte appositamente concepite da artisti, cineasti, coreografi, performer, compositori e scrittori, in cui lo stesso curatore, gli artisti, il pubblico e tutti i partecipanti saranno i protagonisti centrali del progetto che si svilupperà su filtri e parametri che circoscrivono le molteplici idee che verranno trattate per immaginare e realizzare una diversità di pratiche. I filtri ricorrenti saranno:

Vitalità: sulla durata epica

Partendo dal presupposto che la natura dell’esposizione sarà fondamentalmente visiva, corporea, uditiva e narrativa, il concetto di vitalità e di durata epica suggerisce l’idea che All the World’s Futures è una manifestazione, sia temporale sia spaziale, che è incessantemente incompleta. Sarà una drammatizzazione dello spazio espositivo come un evento dal vivo in continuo e incessante svolgimento.

Il giardino del disordine

Questo Filtro utilizza e parte dallo spazio storico dei Giardini della Biennale come una metafora di disordine che caratterizza la geopolitica, l’ambiente e l’economia a livello globale. Il concetto originale di giardino nasce nell’antica Persia in cui era concepito come un paradiso, uno spazio chiuso fatto di tranquillità e piacere ma nel corso del tempo il giardino si è trasformato, diventando l’allegoria della ricerca di uno spazio ordinato e puro. L’esposizione ritornerà su questo antico concetto per esplorare i cambiamenti globali e interpretare i Giardini, con il suo incerto insieme di padiglioni, come il sito emblematico di un mondo disordinato, di conflitti nazionali e di deformazioni territoriali e geopolitiche, in cui gli artisti sono stati invitati ad elaborare delle proposte che avranno come punto di partenza il giardino, realizzando nuove sculture, film, performance e installazioni.

Il Capitale: una lettura dal vivo

Ogni giorno per quasi sette mesi senza soluzione di continuità, si aprirà con una lettura dal vivo dei quattro libri di Das Kapital di Marx e gradualmente si amplierà con recitals di canti di lavoro, libretti, letture di copioni, discussioni, assemblee plenarie e proiezioni di film dedicati a diverse teorie ed esplorazioni del Capitale. Nel corso della Biennale ensemble teatrali, attori, intellettuali, studenti e persone del pubblico saranno invitati a dare un contributo al programma di letture le cui voci inonderanno e pervaderanno le sale circostanti in una grandiosa esposizione di oralità. Un’importante fonte d’ispirazione per questa inusuale performance è rappresentata dalle prime righe del libro di Louis Althusser “Leggere il Capitale”:

“Ovviamente tutti noi abbiamo letto e leggiamo il Capitale. Per quasi un secolo abbiamo potuto leggerlo ogni giorno, in trasparenza, nei drammi e nei sogni della nostra storia, nelle sue dispute e conflitti, nelle sconfitte e nelle vittorie del movimento dei lavoratori che è la nostra unica speranza e il nostro destino. Sin da quando “siamo venuti al mondo”, abbiamo costantemente letto il Capitale negli scritti e nei discorsi di coloro che lo hanno letto per noi, nel bene e nel male, sia essi morti o viventi: Engles, Kautsky, Plekhanov, Lenin, Rosa Luxemburg, Trotsky, Stalin, Gramsci, i leader delle organizzazioni dei lavoratori, i loro sostenitori e oppositori, filosofi, economisti, politici. Ne abbiamo lette delle parti, i “frammenti” che una determinata ipotesi aveva “selezionato” per noi. Abbiamo persino letto più o meno tutti il Libro I, da “le merci” all’“espropriazione degli espropriatori”. Ma è fondamentale che un giorno il Capitale venga letto alla lettera, che ne venga letto il testo in sé, completo, tutti e quattro i libri, riga dopo riga, ritornare dieci volte ai primi capitoli o agli schemi della semplice riproduzione e della riproduzione su scala allargata, prima di scendere dagli aridi altopiani del Libro II verso la terra promessa del profitto, dell’interesse e della rendita… È così che abbiamo deciso di leggere i libri del Capitale… E li presentiamo nella loro forma immediata senza apportarvi alterazioni, in modo che vengano riprodotti tutti i rischi e i vantaggi di questa avventura; così che il lettore (e l’ascoltatore) potrà ritrovarvi l’esperienza di una “neonata” lettura; in questo modo lui, sulla scia di questa prima lettura, verrà trascinato a sua volta verso una seconda che ci porterà ancora più lontano”.

Okwui Enwezor lungo All the World’s Futures, e attraverso i suoi filtri narrativi traccerà lo stato delle cose mettendone in discussione l’apparenza, passando da un’enunciazione gutturale della voce alle manifestazioni visive e fisiche, tra opere d’arte e pubblico, in una partecipazione collettiva orchestrale.

Okwui Enwezor,   director of the 2015 Venice Biennale

Okwui Enwezor, director of the 2015 Venice Biennale

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