
Artissima ha chiuso i battenti, eppure è ancora in circolo l’adrenalina rilasciata durante questa trentesima edizione, che per molti è una delle più riuscite degli ultimi anni. Molto più di una fiera, Artissima si dimostra un’istituzione in crescita e di altissimo livello, capace di connettere le più interessanti realtà d’arte contemporanea della scena internazionale e di fornire al pubblico una lettura aggiornata sulle tendenze e le ricerche più attuali.
Attraverso le varie sezioni sono diverse le gallerie a meritare una menzione d’onore: tra le altre si segnala la More Charpentier (Paris, Bogotá), l’HOA (San Paolo) in New Entries e Franco Noero (Torino) che gioca in casa con diversi nomi di rilievo, tra cui spicca quello di Anna Boghiguian, alla quale è dedicata contestualmente una mostra in via Mottalciata.
Diamo uno sguardo a Present Future – la sezione dedicata agli artisti under 40 – che in fiera occupa il ruolo centrale di osservatorio sulle espressioni artistiche più emergenti e sperimentali.
Quest’anno l’audace proposta dei curatori ha valso la premiazione di ben due artisti: oltre all’Illy Present Future, assegnato all’artista Bekhbaatar Enkhtur, anche il nuovo premio Pista 500, promosso da Pinacoteca Agnelli, vinto dall’artista Chalisée Naamani.
Per l’edizione 2023 i curatori Saim Demircan e Maurin Dietrich hanno riunito entro un unico nucleo espositivo la ricerca di 10 artisti locali, internazionali e diasporici, con un’enfasi sulla sensibilità tattile condivisa dalle diverse pratiche artistiche e nei vari materiali utilizzati, dalla cera d’api al tessuto. Quest’ultimo ritorna con particolare ricorrenza come veicolo espressivo per parlare di corpo, identità e di abitare il presente, in chiave intima e personale, ma anche di rapporto tra ecologia e industria, di consumo e produzione in un presente sempre più interconnesso e in continua trasformazione, dove memoria personale e collettiva si influenzano a vicenda dando origine a nuovi immaginari.
L’ampia visione d’insieme ha dato notevole rilievo anche alla scansione percepita dalle singole gallerie, 10 in tutto, 3 italiane e 7 straniere: Chris Sharp (Los Angeles) con David Gilbert, Ciaccia Levi (Parigi, Milano) con Chalisée Naamani, Matéria (Roma) con Bekhbaatar Enkhtur, Nir Altman (Monaco) con Curtis Talwst Santiago, IMPORT EXPORT (Varsavia) con Masha Silchenko, Federico Vavassori (Milano) con Osama Alrayyan, Vistamare (Pescara) con Sara Enrico, Von&Von (Norimberga) con Sophia Mainka, Fons Welters (Amsterdam) con Tenant of Culturee Esther Schipper (Berlino) con Camile Sahin. Tra le proposte più interessanti, sperimentali e coraggiose possiamo citare determinate realtà che si sono distinte trasformando lo spazio dello stand fieristico a vantaggio di una dimensione espositiva adatta alle giovani espressioni.


Iniziamo da Chalisée Naamani (1995) da Galleria Ciaccia Levi (Parigi, Milano). A maggio l’abbiamo vista a Milano nella seconda sede della galleria parigina. Un display essenziale, simile a uno showroom, riunisce lavori preesistenti e inediti, accomunati dall’accostamento pittorico di materiali tessili e vestiti di scarto recuperati da contesti industriali e produttivi. Ogni prodotto estratto dal flusso incontrollabile del fast fashion, viene scomposto e riassemblato per costituire un inventario visivo del mondo che ci circonda. Nelle opere si sovrappongono diversi layer e ispirazioni da vari retaggi culturali, dalle icone del Medio Oriente alla trap, fino alla pittura rinascimentale. Dietro a una patina kitsch, ironica e colorata, a paillette luccicanti e materiali dozzinali, si cela una visione critica che ci invita a prendere la moda sul serio: oltre a produrre gravi implicazioni a livello ecologico – è una delle industrie più inquinanti al mondo – la moda è espressione dei valori sociali e il riflesso della cultura che ci circonda. Dopo il suo debutto in fiera, Torino ora attende l’opera di Naamani per il billboard della storica pista di collaudo di Pinacoteca Agnelli.
Opere site specific inedite e prodotte appositamente per la fiera anche quelle di Bekhbaatar Enkhtur (1994), ultimo vincitore del premio Illy Present Future, presentato dalla galleria romana Matéria. Lo stand dedicato al lavoro dell’artista mongolo unisce due diverse declinazioni del medium scultoreo. Il materiale esposto nelle sue forme essenziali, cera d’api e alluminio, indaga le potenzialità trasformative del tempo e la transitorietà della forma. In un repertorio di immagini e simboli tratto dai miti e dalle tradizioni della Mongolia, le opere di Bekhbaatar alludono a un immaginario contemporaneamente intimo e capace di abbracciare culture e geografie lontane.
Anche lui tornerà a Torino il prossimo autunno con un progetto che, come di consueto, verrà sviluppato negli spazi di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, in occasione dell’art week 2024.


Al booth di Galerie Fons Welters ci troviamo catapultati in un magazzino di stoccaggio di qualche brand di moda. Appese alle stampelle metalliche, degli abiti-scultura dalle proporzioni esagerate, con strane protesi di tessuto e innesti di lattice e acrilico, che sembrano usciti da una sfilata di Balenciaga. È opera di Tenant of Culture, pseudonimo sotto il quale lavora l’artista Hendrickje Schimmel (1990). Presentati sotto forma di installazione ambientale, una serie di assemblaggi tessili di materiali provenienti da diversi stadi del processo di lavorazione dell’industria della moda. Il progetto si ricollega al contesto di ricerca dell’artista olandese, in bilico tra scultura e sartoria, che affronta il fashion design dalla prospettiva dell’arte contemporanea. I vestiti prelevati dal rapido flusso della moda fast fashion, vengono successivamente ricomposti in sculture antropomorfe che ne invertono il ciclo di vita.
Lo stand della galleria polacca IMPORT EXPORT è interamente dedicato a una nuova serie di dipinti di Masha Silchenko (1993), artista ucraina temporaneamente di sede a Parigi. Attraverso una disposizione essenziale e ricercata sono esposte delle opere su tela, dipinte con un processo di sbiancamento a candeggina. Le pitture rappresentano figure fantasmagoriche che incrociano artigianato e tradizione decorativa, con immaginari provenienti da tradizioni pagane e da manifesti di protesta. Uno stand rigoroso che nasconde dietro alla figurazione fantastica una riflessione sui traumi sociali e politici dell’occidente.
La Nir Altman di Monaco espone una serie di lavori dell’artista canadese Curtis Talwst Santiago (1979), parte del ciclo ongoing Infinity Series, che lo impegna dal 2007. Su di un lungo supporto lineare, disposti come i mirabilia di una preziosa wunderkammer o come i giocattoli sulla mensola di una cameretta per bambini, si trovano dei piccoli diorami racchiusi in preziosi portagioie recuperati. Si tratta di tableau cinematografici in miniatura che raffigurano nel dettaglio scene di vita comunitaria e quotidiana. Guardando attentamente dietro al loro display apparentemente giocoso, si rivelano degli scenari tragici, storie oscure e cadute nell’oblio, che ci raccontano di migrazione, colonialismo e ingiustizia.
