Fino al 6 settembre si svolge il grande progetto ARTE IN CENTRO Mete Contemporanee, curata da Andrea Bruciati e dislocata in tre sedi differenti: l’Associazione Arte Contemporanea Picena, ad Ascoli Piceno, la Fondazione Malvina Menegazper le Arti e le Culture, a Castelbasso (Teramo) e la Fondazione Aria – Fondazione Industriale Adriatica, a Pescara.
Pino Pascali: iconografie, eredità e genealogie testo di Marco Tonelli
Chimera: radici utopiche nella poetica di Gino De Dominicis testo di Andrea Bruciati
Segue il testo di Valerio Dehò — Gina
Tutti la ricordano per le performance degli anni Settanta, ma Gina Pane ha attraversato da protagonista varie stagioni artistiche a cominciare dall’arte comportamentale legata al tema uomo-natura. Nel 1968 con Pierres déplacées va oltre la fase d’esordio delle Structures affirmées (1965-1967), delle sculture minimaliste e monocromatiche, e si avvicina all’esperienza poverista di Giuseppe Penone di Lavorare sugli alberi (1968). Esperienze simili nello stesso Piemonte, regione di origine dell’artista italiana nata in Francia a Biarritz. I suoi interventi sul e nel paesaggio sono straordinari, di grande intelligenza e rarefazione, esemplari, come tutto nel suo lavoro. Ovviamente vengono documentati da sequenze fotografiche, un gesto, un movimento dolce sul paesaggio e dentro la natura le sono sufficienti per creare un quadro concettuale sempre sorretto da un forte afflato emozionale. Questa è una delle eredità di Gina Pane: le idee non prescindono dalla partecipazione umana, da un’emozione che l’arte deve conservare per essere comunicativa e universale.
In Situation idéale (1969) si fa fotografare mentre è in piedi tra la terra brulla e scura e un cielo azzurro. Questo è il suo autoritratto, l’uomo è spiritualità, coscienza del cosmo, riflesso di una natura che aspira al sublime. La pesca a lutto (1969) (Pêche endeuillée) presentata alla Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin, in memoria dei pescatori giapponesi morti durante gli esperimenti nucleari americani nel Pacifico, ci indica anche che l’artista aveva una forte coscienza politica. Nel Dessin verrouillé (Disegno nascosto) dello stesso anno pone all’interno di una scatola di ferro si nasconde un disegno sconosciuto. Il ferro si corrode progressivamente e nei decenni le suture delle saldature cederanno, rivelando il messaggio segreto che l’artista ha consegnato al tempo. C’è chiaramente una memoria duchampiana e pieromanzoniana delle strisce infinite, ma già compaiono i tagli suturati, le saldature del contenitore sono già ferite che possono rimarginare che restano come traccia, memoria del sangue. Inoltre c’è l’idea che il messaggio deve viaggiare, arrivare ad altri esseri umani, ad una futura umanità con cui Gina si è sempre idealmente collegata.
Per l’artista l’arte è amore, donazione, apertura totale alla natura come madre e sentimento originale, oltre che agli altri uomini. Lo “scandalo” lo producono le sue azioni come Death control (presentata nel 1974 addirittura nel salotto dell’arte della Fiera di Basilea sempre con la Galleria Diagramma) o Psiché (1974) o Azione sentimentale (1973) in cui le spine delle rose sono simboli di un tormento sospeso tra la religiosità e la condizione femminile. L’artista era credente e la sua può essere definita un’arte sacra anche se ben lontana dalla propaganda religiosa. Naturalmente la visione di Gina Pane non era certamente illustrativa, ma fondante una spiritualità contemporanea in cui l’arte doveva avere un ruolo determinante. E’ un esempio di coerenza poetica e se qualcuno si attarda ancora a identificarla con le sue memorabili performance (actions, si dovrebbe dire), dovrebbe considerare l’intero suo lavoro. Ha saputo utilizzare in modo simbolico il proprio corpo esattamente come Gesù Cristo, al di là delle verità storiche e delle credenze. Per questo ha operato negli anni Settanta con la Body Art proprio alla ricerca di un equilibrio dialettico con il pubblico, di un suo coinvolgimento fisico e soprattutto mentale. Ha anche saputo mettere in chiaro i limiti della rappresentazione, tenendo una certa distanza dagli spettatori, magari con lo sguardo nascosto sotto degli occhiali scuri o anche a specchio.
L’intera opera di Gina Pane s’inscrive nel segno della spiritualità contemporanea. Possiamo dire che l’artista italo–francese sia stata tra i pochissimi artisti contemporanei che abbiano saputo riattualizzare linguaggio perduto della simbologia religiosa. Nelle sue ultime opere tra cui La chair ressuscitée (La resurrezione della carne) del 1988, la tensione verso la trascendenza si è perfettamente fusa con la sua ricerca di un corpo capace di produrre segni linguisticamente articolati. Il punto di equilibrio tra la corporalità e la spiritualità lo trovò nella fisicità dei metalli e nella loro forza simbolica. Il corpo delle performance diventa scultura; difatti al contrario di Marina Abramovic a cui spesso la si accosta, Gina Pane era veramente un’artista con una grande capacità di dare forma, fisica, iconica, alle sue idee. Nelle azioni non interagiva con il pubblico, non ha mai cercato la fisicità aggressiva, il suo corpo è sempre stato coperto, mai ostentato o inteso come provocazione sessuale. Diventava essa stessa una immagine, anche nei gesti più estremi conservava un rigore formale eccezionale che la rendeva diversa dalle altre esperienze performative.
Il suo ritorno alla scultura dopo che il suo stesso corpo aveva subito le ferite delle autoflagellazioni, è stato una forma di continuità non solo cercando di riprendere i temi della storia dell’arte e dei santi, ma mostrando gli strumenti del martirio in forma strettamente simbolica. Ne La resurrezione della carne le impronte dei corpi ridotti a scheletri, sbalzate dalle lastre di ferro, di latta e di rame richiamano l’idea del sepolcro, della pietra tombale. È la forza della risurrezione a piegare i metalli, la carne torna a vivere sostenuta dalla fede, dalla trascendenza incarnata. La morte appare allora non una sconfitta, ma la prova decisiva della capacità dei santi di comunicare con il corpo i simboli di uno Spirito che ci dà energia, e questa porta alla speranza. I metalli tornano alla loro funzione simbolica e alchemica, sono strumenti di conoscenza, servono per andare al di là della materia fisicamente e psichicamente.
L’opera è molto simile a François d’Assise trois fois aux blessures stigmatisé del 1985-87, ma rispetto a questa perde ogni connotazione aneddotica e annuncia l’estremo capolavoro La prière des pauvres et le corps des Saints concluso nel 1990 poco prima di morire. Il corpo, mortificato o esaltato anche nelle difficoltà del post mortem, è il segno visibile e tangibile che il divino agisce in questo mondo, nella nostra mortalis substantia. La chair ressuscittée rivela, con il rigore in cui è organizzata, il riscatto dei corpi dall’oblio, l’ascesa a superare il richiamo della terra e lo slancio verso l’immortalità in un processo che avvicina Gina Pane imprevedibilmente a Gino De Dominicis. Il matrimonio indissolubile tra spirito e materia piega i metalli che diventano in questo modo i simboli di una ritrovata unità e recano la rivelazione di un’identità annunciata. Tout se tient, il destino di noi mortali sta nel superare la nostra natura e il nostro destino attraverso lo spirito che è sostanza dell’arte.
Valerio Dehò

Gina Pane, Enfoncement d’un rayon de soleil, 1969, 4 colour photographs, 110 x 163 cm overall Collection Anne Marchand /On deposit at the Frac des Pays de la Loire © Gina Pane/ ADAGP © Photo.Ville de Nantes, Musée des beaux-arts, Cécile Clos Courtesy Anne Marchand and Kamel Mennour, Paris
L’edizione 2015 di ARTE in CENTRO. Mete contemporanee diventa il contesto ideale per una “rifessione differente” sulla storia dell’arte italiana. Per esplorarla, il curatore prende spunto da una citazione da Acerba Etas, capolavoro incompiuto di Cecco D’Ascoli (1269 – 1327): Qui non si canta al modo delle rane, già utilizzata dalla rivista avanguardistico-letteraria “Lacerba” (1913) quale motto di un rinnovamento di pensiero guidato dal genio creativo dell’artista.
Gli artisti invitati a confrontarsi con Gino De Dominicis, Pino Pascali e Gina Pane sono: Yuri Ancarani, Rosa Barba, Simone Berti, Rossella Biscotti, Thomas Braida, Pierpaolo Campanini, Francesca Grilli, Diego Marcon, Invernomuto, Luigi Presicce, Agne Raceviciute, Moira Ricci, Federico Tosi, Luca Trevisani, Luca Vitone.
Scheda artisti – Arte in Centro, Ascoli Piceno – Testi di Irene Rossini

Yuri Ancarani, Senza titolo, 2014, stampa fotografica, cornice in resina, vetro, cm 10×17, 7×3 Ph. Filppo Armellin Courtesy the artist and ZERO…, Milan

. Moira Ricci, Dove il cielo è più vicino, 2014, video HD, 1 minuto Courtesy l’artista e Laveronica Arte Contemporanea, Modica