Il 17 Maggio ha inaugurato “2.141 The picture is a fact”, collettiva curata da Giuseppe Pinto con lavori di Lia Cecchin, Elisabeth S. Clark e Krišs Salmanis nello spazio Like a Little Disaster* di Torre Santa Susanna. Il 9 Giugno la stessa mostra sarà riproposta presso Omphalos, a Terlizzi.
Matteo Mottin – in collaborazione con ATPdiary – ha fatto qualche domanda a Giuseppe Pinto.
ATP: Vorrei iniziare chiedendoti del titolo, “2.141 The picture is a fact”.
Giuseppe Pinto: Il titolo è un’immagine. Affermando che l’immagine è un fatto non abbiamo più bisogno di alcun supporto o contenitore per l’immagine che appare al mondo. Soggetto/visitatore e mondo/opere esposte stanno fra loro come l’occhio e il campo visivo: l’occhio che vede non si vede, esso è visto nel mondo.
Nel percorso del Tractatus di Wittgenstein queste proposizioni appaiono secche ed istantanee come un lampo, svaniscono subito attraverso la contraddizione di quella successiva, il percorso espositivo è stato concepito nello stesso modo, alternando affermazioni a negazioni, presenze ad assenze, visibile ad invisibile. In tutti i miei progetti arte e filosofia sono sempre pensati come percorsi che continuamente si intrecciano e biforcano. Penso che l’arte e la filosofia siano pratiche, esercizi performativi costantemente difformi e rigenerati il cui istinto primario dimora nello spostare incessantemente il fulcro identitario che le qualifica e classifica.
ATP: Gli artisti di questa collettiva hanno nazionalità e background differenti. Cosa accomuna la loro ricerca?
GP: Il progetto coinvolge tre artisti che finora non hanno avuto modo di condividere un progetto ed uno spazio comune; questo aspetto è molto importante per me, mi interessa molto creare nuove relazioni. Mi sembra che i tre artisti abbiano una comune propensione ad una radicale evanescenza dell’immagine, per una ricerca severa intorno alle proprietà e alle potenzialità di materie e contenuti leggeri, impercettibili, diluiti in un alone ironico e concettuale. La loro ricerca è un’esplorazione delle forme e dei confini dell’immagine, della sua percezione, della sua presenza/assenza attraverso una metodica messa in discussione dei limiti percettivi o tramite un’estrema dematerializzazione dell’opera stessa. Come molti artisti dell’ultima generazione anche Cecchin, Clark e Salmanis attuano una sorta di spontanea messa in discussione dei dogmi e degli stereotipi in cui si è provato a convogliare il fare dell’arte e dell’artista. La fusione stilistica e la libertà compositiva caratterizzano il loro agire incisivo, un procedere che assorbe le esperienze passate – anche molto recenti – e ce le restituisce in maniera del tutto personale e priva di condizionamenti.

Elisabeth S. Clark May I draw your attention to a cast eyelash, 2012 Scultura in oro18ct e diapositiva 35mm.
ATP: Puoi raccontarmi dei lavori in mostra e del criterio con cui li hai selezionati?
GP: E’ la nostra prima volta con i tre artisti. L’idea iniziale mia, di Cinzia Cagnetta e Paolo Modugno, con i quali condivido il progetto LALD, era di proporre una piccola selezione delle loro opere, un primo approccio tra la pratica degli artisti e il nostro pubblico, un rapporto che si consoliderà nei mesi successivi, attraverso progetti personali.
Sia Lia Cecchin che Elisabeth Clark che Krišs Salmanis, oltre ad un nucleo di opere realizzate negli ultimi due anni, hanno voluto presentare nuovi progetti appositamente pensati per l’occasione: il mio compito è stato quello di rendere concrete le loro idee ed istruzioni. Lia Cecchin presenta in anteprima “Sconfitta totale”, un’installazione stupenda, realizzata su modello di un’insegna esistente e tuttora esposta in un Bar-Tabacchi di via Napione a Torino. Su un display a led scorre uno strano messaggio “MEMORY LOST !!”, l’insegna non comunica più un messaggio preimpostato dall’uomo, sembra quasi provvista da un autonomia comunicativa.
Elisabeth S. Clark realizza una performance sonora invisibile, tre persone confuse tra il pubblico della mostra si comunicano la parola eco, l’eco coinvolge con la sua immaterialità quasi tutti gli spazi espositivi.
Kriss Salmaniss, anche lui in anteprima, con “The Earth may be pinning around the sun, but the word is turning around me”, presenta un video praticamente inesistente. Contrariamente al titolo, i pochi secondi di filmato acquistano forma, forza e narrazione nell’infinità ripetitività del loop.
ATP: La mostra sarà visibile fino al 31 Maggio da Omphalos e dal 9 al 29 Giugno da LALDspace. Come hai affrontato i due diversi allestimenti nei due spazi?
GP: Tutta l’attività di Like a little disaster si sviluppa in modalità nomade stanziale. LALD individua, riattiva ed occupa spazi architettonici – senza alcuna preclusione o categoria che chiude ed esclude – convertendoli temporaneamente in dispositivi di trasmissione di pensiero, in alloggi provvisori di miraggi. Muovendo dall’idea che sia l’arte a “fare” il luogo e non il contrario. Non sono particolarmente propenso a demandare a quattro mura il delicato problema del valore, del contenuto e della singolarità dei lavori in mostra. Le strutture spesso sono solo impedimenti o limiti se è vero che, per ritornare a Wittgenstein, i limiti del mio mondo sono i limiti del mio linguaggio. Per 2.141 The picture is a fact ho deciso di intervenire – con lo stesso progetto a distanza di pochi giorni – in due strutture molto diverse. Omphalos a Terlizzi (Ba) è una torre del 1500, una dimora di 500 mq suddivisi su cinque livelli nei quali le opere dialogano con residui storici e architettonici e, spesso, con le opere della collezione d’arte contemporanea di Cinzia Cagnetta, proprietaria dello spazio. LALDspace a Torre Santa Susanna (Br) è la mia casa di famiglia, dove tuttora vivono i miei genitori i quali – probabilmente in un momento di delirio – mi hanno concesso tre grandi saloni che ho tempestivamente svuotato ed occupato.
Nonostante le differenze e le peculiarità delle due situazioni e nonostante i condizionamenti e le interferenze storiche, ambientali, olfattive, e direi anche folkloristiche, il senso del progetto rimane invariato.

Elisabeth S. Clark May I draw your attention to a cast eyelash, 2012 Scultura in oro18ct e diapositiva 35mm.
ATP: In mostra sarà presentata l’audio-video installazione “Long Day” 2012, nata dalla collaborazione tra Kriss Salmanis e Steve Roden. In cosa consiste?
GP: Long Day sembra essere una singola scena di un paesaggio rurale lituano, attraverso un processo di accellerazione osserviamo un’intera giornata dall’alba al tramonto. All’alba vediamo un capannone in costruzione, a mezzogiorno la costruzione è completa; nel pomeriggio, invece, una tempesta nel set e la struttura si riduce in rovina. Infine crolla e il sole tramonta. Migliaia di foto sono montate in successione, frammenti di un tempo molto più dilatato di un’unica giornata. Il sonoro di Roden sembra seguire la stessa dinamica frammentata, spesso non si capisce bene se sono le immagini ad inseguire una struttura sonora o il contrario.
Il loro è un mondo in cui cose semplici sono fatte in un modo complesso, affrontano il lavoro con scrupolo manuale che richiede tanto tempo. L’impressione generale è che tutto potrebbe essere fatto in modo molto più semplice, soprattutto servendosi dell’aiuto delle nuove tecnologie, ma Krišs Salmanis e Steve Roden realizzano tutto a mano, dubitando delle possibilità della tecnologia, così come del ruolo decisivo dei media nella rappresentazione, gli artisti scelgono di realizzare gran parte del processo di creazione del lavoro “realmente” – fotografare, disegnare, ri-fotografare / registrare, archiviare, campionare – e solo per poche operazioni finali si sono serviti del digitale. Credo che per entrambi si tratti di un tentativo di fuga dal mondo dei simulacri, in cui l’immagine e il suono interagiscono con l’intertestualità creando un ciclo infinito in cui si perde il punto di riferimento iniziale per essere completamente sicuri che tutto sia reale.
LALD è un progetto collettivo e collaborativo. In ogni progetto tento di coinvolgere un’opera realizzata attraverso uno stretto rapporto di collaborazione – meglio se a distanza. Nel progetto precedente, per esempio, abbiamo presentato per la prima volta tradotto in lingua italiana, il film nato dalla collaborazione tra l’artista inglese Phillip Warnell e il filosofo francese Jean-Luc Nancy. Forse la collaborazione ed il nomadismo ci salveranno!
* Like a little disaster è un progetto collettivo senza fissa dimora. L.A.L.D.rifiuta l’idea di essere confinato in un unico spazio e ricorre a tutte le strutture possibili, senza alcuna preclusione, come oggetto di azione e indagine. Creare significato è un’attività che necessita dell’interazione con le sedimentazioni storiche e culturali del luogo dei nostri interventi, in modo tale da attuare una strategia in cui la cornice sociale non sia solo un contorno ma parte essenziale di ogni progetto.
Siamo impegnati nella produzione, realizzazione e presentazione di progetti provvisori, fortemente condizionati dall’ambiente circostante, che possano offrire risposte significative o alternative possibili alle condizioni economiche, politiche e sociali e alle esperienze vissute quotidianamente nei “territori” dei nostri interventi. Promuoviamo collaborazioni artistiche, esplorazioni e sperimentazioni in diversi contesti culturali e dispositivi di visualizzazione pubblica. La nostra mission è semplicemente quella di fornire un alternativa; un contesto diverso in cui gli artisti possano sperimentare, cercando di estendere all’esterno le relazioni e le interconnessioni che essa genera; dal livello individuale a quello globale.
Abbiamo una struttura organizzativa in continua evoluzione. Siamo sempre pronti ad accogliere nuove idee e collaborazioni.