Unseen Stars | OGR, Torino — Intervista con Trevor Paglen

"In qualche modo lo spazio è stato l’elemento che ha ispirato la mostra: le strutture e le sculture che ne fanno parte sono essenzialmente specchi di varie forme e dimensioni e, mentre pensavo alla loro disposizione, ho realizzato che per certi versi sono le sculture a dare importanza a ciò che le circonda."
26 Dicembre 2020
Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio

Come potrebbe diventare lo spazio se non fosse influenzato da interessi politici e militari? È questa la domanda intorno alla quale ruota Unseen Starts, la personale di Trevor Paglen in mostra alle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino e a cura di Ilaria Bonacossa e Valentina Lacinia. Da diversi anni l’artista americano mette in discussione l’idea di Spazio – in apparenza poetico e puro – e ne sottolinea la caratteristica politica e di controllo, elementi molto legati anche alla fotografia che da sempre viene utilizzata per mappare i luoghi e quindi controllarli.

In mostra sono presenti tre satelliti non-funzionali, sculture in grado di attraversare lo Spazio e realizzate in Mylar, un materiale ultraresistente ma leggerissimo. Sviluppati con ingegneri aerospaziali, i satelliti di Paglen sono concepiti per orbitare nel cosmo senza una specifica funzione, un esperimento concettuale ed estetico allo stesso tempo che vuole far riflettere sul rapporto tra arte, scienza e potere. La strutta ottocentesca delle OGR si specchia nelle superfici dei satelliti che diventano caldi e avvolgenti come sono le stelle da sempre per l’uomo, elementi in cui è possibile riconoscersi, leggere il futuro e interrogarsi sull’altro.

Di seguito alcune domande all’artista —

Martina Matteucci: In occasione di Unseen Starts hai pensato ad un progetto site-specific. Come è nata la collaborazione con OGR e come ti sei rapportato con lo spazio espositivo?

Trevor Paglen: La collaborazione è iniziata quando Ilaria Bonacossa mi ha invitato a Torino. In quel momento stavo lavorando a una mostra a Milano e ho deciso di fare un salto e appena ho visto lo spazio espositivo mi è sembrato fantastico. Avevo in progetto di allestire alcune sculture di satelliti ma non ero mai riuscito a farlo a causa delle loro dimensioni. L’idea iniziale della mostra era quella di poterle finalmente esporre tutte insieme e così ho iniziato a disegnare e a renderizzare i vari elementi da produrre. In qualche modo lo spazio è stato l’elemento che ha ispirato la mostra: le strutture e le sculture che ne fanno parte sono essenzialmente specchi di varie forme e dimensioni e, mentre pensavo alla loro disposizione, ho realizzato che per certi versi sono le sculture a dare importanza a ciò che le circonda. L’architettura dell’edificio infatti viene tagliata e dissezionata grazie al modo in cui sono rivolte le superfici specchianti delle opere e in questo modo la mostra diventa un omaggio all’edificio che la contiene.

MM: Nel tuo lavoro indaghi ed evidenzi i rapporti di potere e di dominio nella storia recente. L’idea di Orbital Reflector era quello di incoraggiare uno sguardo nuovo e critico verso ciò che ci sta intorno e a riconsiderare il nostro posto nell’universo. Secondo te l’arte ha questo potere di cambiare il nostro modo di vedere e quindi il nostro modo di vivere?

TP: Si, assolutamente. Credo che questa non sia solo una mia opinione ma semplicemente la verità oggettiva. Per me l’arte si riferisce alla percezione e riguarda i significati che noi creiamo a partire dalle immagini, dai paesaggi o dalle persone attorno a noi. Le forme di significato che noi attribuiamo alle cose influenzano fortemente il nostro modo di interagire con esse e in ultima istanza determinano la forma che diamo alla nostra stessa società.

MM: Hai in programma un altro esperimento come Orbital Reflector?

TP: L’idea era quella di lanciare un satellite nello spazio e per farlo dovevamo collaborare con la NASA, con i militari e con il Governo degli Stati Uniti affinché si potessero effettuare le manovre necessarie per portare questo satellite-specchio nello spazio. Uno dei temi fondamentali di questo progetto era riflettere sul rapporto tra lo spazio pubblico e quello dell’universo. Quest’ultimo infatti non ha lo stesso ordine e funziona in modo diverso dallo spazio terreno. A partire dall’idea di riconsiderare l’idea di universo, ho immaginato un modo nuovo di pensare le diverse forme che gli spazi pubblici possono assumere. Non credo che lanceremo un altro satellite nello spazio. Credo che questo progetto abbia già raggiunto il suo obiettivo.

MM: Come si è concluso l’esperimento?

TP: Mentre il mio satellite era in orbita, l’amministrazione di Donald Trump ha deciso che non avrebbe permesso al Governo americano di continuare a svolgere le proprie funzioni se non si fosse trovato un modo per costruire un muro gigante tra gli Stati Uniti e il Messico. Ma la Camera si è opposta a questo progetto e quindi l’amministrazione Trump ha bloccato il governo e ha mandato tutti a casa. In quel momento non c’era più nessuno con cui noi potessimo parlare – come la NASA, i militari o l’amministrazione – quindi il satellite morì perché non potevamo più telecomandarlo. Per certi versi la costruzione di questo muro è ciò che ha ucciso il satellite. Per me c’è una qualche forma di intensa poesia in questo, in qualche modo mi piace come sono andate le cose. In parte credo si pensi che quello che è successo sia sbagliato e che non abbia permesso lo svolgimento del progetto, ma in realtà questa è stata la risoluzione migliore.

Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio
Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio

MM: I sistemi di sorveglianza, come spesso tu hai ricordato e sottolineato sono invisibili, sia sulla terra che al di fuori di essa. Come in un sistema panottico, siamo sorvegliati ma non possiamo vedere i nostri sorveglianti. È possibile secondo te sfuggire a questa logica di potere? Se si, in che modo?

TP: Ci sono tanti concetti importanti dietro a questa domanda. Prima di tutto potremmo parlare della questione legata alla sorveglianza. Non so cosa sia la sorveglianza, nel senso che per me la sorveglianza oggi è praticamente tutto: sorveglianza è il telefono, sorveglianza è camminare in mezzo alla strada, sorveglianza è la nostra macchina. Quindi potremmo chiederci che genere di dati vengono raccolti, da chi e per fare che cosa e porci queste domande magari in una conversazione più concreta. Per quanto riguarda invece il concetto di panottico dal mio punto di vista è soltanto uno degli aspetti della sorveglianza, sicuramente importante, ma non l’unico. Quindi potremmo riformulare la domanda e chiederci quali siano i diversi sistemi con cui vengono raccolti i dati, cosa ci fanno e infine quali siano le conseguenze prevedibili di questo modo di lavorare. Invece di domandarci riguardo al panottico e alla sorveglianza potremmo chiederci chi usa che cosa al fine di raccogliere dati e quale scopo intende raggiungere, a beneficio di chi va questa raccolta e alle spese di chi. Queste domande possiamo porcele per molti tipologie di sistemi diversi. 

MM: Come si inserisce questo discorso nel tuo lavoro?
TP
: Per tornare a questo progetto, ho pensato a quante cose noi ci immaginiamo quando pensiamo e osserviamo il cosmo. Ci immaginiamo che lì esista una libertà, una forma di mistero, immaginiamo di poter conoscere qualcosa su noi stessi guardando nella profondità dell’universo. Questo potrebbe essere vero in un certo senso, ma quando ci rivolgiamo alla vera storia dell’universo e guardiamo chi ha fatto cosa nello spazio troviamo una situazione molto diversa. Riscontriamo una storia fondata sulla guerra nucleare, una storia di controllo e potere da parte degli stati. Per questo, una delle cose che cercavo di fare con questo progetto era di mettere in dubbio il nostro pensiero comune su ciò che le infrastrutture dovrebbero compiere, in modo da immaginare come sarebbero stati ad esempio i viaggi nello spazio se non fossero stati di dominio militare. E questa è una parte di lavoro di un settore artistico molto più ampio che lavora e investe in questo genere di questioni. Io guardo alle infrastrutture e mi chiedo che genere di politica si cela realmente dietro a questo impianto, che possibilità ci dà e cosa invece ci proibisce, e infine se sia possibile per noi immaginare diverse relazioni di potere all’interno di questi sistemi.

MM: È possibile secondo te un rapporto tra uomo e tecnologia scevro da potere?

TP: No. Il potere c’è sempre. Ma la domanda è chi ne beneficia e qual è il prezzo da pagare. Ovviamente ci sono diverse forme di potere e alcune sono più democratiche di altre, quindi il potere non è in sé una cosa negativa. È solo una cosa. Il problema sta nel modo in cui viene organizzato. 

Unseen Starts
Trevor Paglen
A cura di Ilaria Bonacossa e Valentina Lacinia
OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino
Fino al 10 gennaio 2021  

Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio
Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio
Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio
Trevor Paglen – Unseen Stars, 2020 – Installation view at OGR Torino – Courtesy the artist and OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino Foto © Melania Dalle Grave / DSL Studio
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