The Present in Drag | 9th Berlin Biennale 2016

"Rather than organizing symposia on privacy, let’s jeopardize it. Let’s give a body to the problems of the present where they occur so as to make them a matter of agency—not spectatorship. Instead of unmasking the present, this is The Present in Drag."
6 Giugno 2016

Aperta in questi giorni la nona biennale di Berlino. E quasi non ce ne siamo accorti. Tempi passati quella di una Berlino effervescente capace di chiamare attenzione in ogni stagione dell’anno e di stupire nell’efficacia provocatoria delle sue biennali? Certo tempi passati quelli delle Biennali di Berlino che facevano scoprire quartieri remoti della città, edifici storici o dismessi, nuove architetture, vie e piazze in de-costruzione. Che facevano incontrare artisti e operatori di diverse generazioni, tutti con scarpe comode e una bottiglia di birra in mano. Che coinvolgevano in installazioni estese, in pratiche partecipative, in performance avvolgenti o in maratone cinematografiche dentro cinema sgangherati.

Eppure anche questa edizione presenta caratteristiche ben precise: la velocità con la quale si visitano le sue poche sedi espositive; la “concentrata centralità” delle stesse; la presenza di numerosissimi collettivi d’artista; la residenza americana di molti fra questi; l’inaspettata assenza di realtà e di contestualizzazione; l’ordine quasi da scuderia che sovrintende l’allestimento delle sedi; il caldo che stupisce stampa e professionisti alla preview; la difficile “traduzione” del suo titolo, The Present in Drag e il mistero “sorridente” dell’immagine che la comunica. E poi ascensori in vetro e acciaio, piani vetrati, bunker esclusivi, caschi virtuali, video in stanze surriscaldate, figurazione e “figurazione”, qualche vip che non manca mai e il silenzio di chi cerca di orientarsi per individuare senso, ragione o illusione.

A curare questa biennale è un team collettivo di artisti che hanno scelto New York come base operativa: DIS, composto da Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro. A dirigerla è Gabriele Horn e le sue sedi sono presso l’Akademie der Künste, l’ESMT – European School of Management and Technology, il piano terra del bunker ristrutturato a cura della privata Feuerle Collection, il noto KW Institute for Contemporary Art (che è anche sede dei suoi uffici) e infine un battello “artisticamente aggiornato”, il Blue-Star, che a orari precisi naviga sulla Sprea nel tratto modernista della “nuova Berlino”. La sintesi del concept è questa: The 9th Berlin Biennale for Contemporary Art seeks to materialize the digital condition and the paradoxes that increasingly make up the world in 2016: the virtual as the real, nations as brands, people as data, culture as capital, wellness as politics, happiness as GDP, and so on. With its selection of exhibition venues it aims to shape-shift across multiple sites, each one releasing a whiff of contemporary “paradessence” (paradox + essence).

E la dichiarazione, a firma del collettivo DIS a chiusura del brevissimo testo che introduce la biennale, recita così: Our proposition is simple: Instead of holding talks on anxiety, let’s make people anxious. Rather than organizing symposia on privacy, let’s jeopardize it. Let’s give a body to the problems of the present where they occur so as to make them a matter of agency—not spectatorship. Instead of unmasking the present, this is The Present in Drag.

Certo è che se il virtuale è il reale, se le nazioni sono marchi, le persone sono data, la cultura è capitale, il benessere è politica e la felicità è il PIL – analisi possibile – ci si aspetterebbe se non una rivoluzione almeno una contro-rivoluzione capace di registrare la situazione nella sua ibridazione di contesto globale. Ed è in ciò il silenzio di questa biennale che lascia emergere la mancanza di una cornice, di una proposta seduttiva, di una cinica indicazione, di un senso o non-senso, di una rappresentazione o narrazione, di un racconto o di una poetica, di una malattia o un miracolo, di una medicina o un veleno.

Ma non mancano, identità nella non identità, lavori che meritano attenzione e interesse, che fanno dimenticare assenze o difficoltà e che immettono corrente. Tra questi ad esempio le opere e le sale di Camille Henrot, Hito Steyerl, Halil Altindere, Simon Fujiwara, Anne De Vries e Adrian Piper.

Un avviso finale ai naviganti berlinesi: non perdere la contemporanea mostra di Julian Rosefeldt – Manifesto 2015 – alla Hamburger Bahnhof: 13 film installazioni che restituiscono ogni fatica.

Simon Denny mit with Linda Kantchev  Installationsansicht / Installation view  Blockchain Visionaries,   2016  Verschiedene Materialien Mixed media Courtesy Simon Denny; Galerie Buchholz,   Cologne/Berlin/New YorkIm Auftrag und koproduziert von Commissioned and coproduced by Berlin Biennale for Contemporary Art Mit Unterstützung von With the support of Galerie Buchholz,   Cologne/Berlin/New York; Creative New Zealand Foto/Photo: Timo Ohler

Simon Denny mit with Linda Kantchev Installationsansicht / Installation view Blockchain Visionaries, 2016 Verschiedene Materialien Mixed media Courtesy Simon Denny; Galerie Buchholz, Cologne/Berlin/New YorkIm Auftrag und koproduziert von Commissioned and coproduced by Berlin Biennale for Contemporary Art Mit Unterstützung von With the support of Galerie Buchholz, Cologne/Berlin/New York; Creative New Zealand Foto/Photo: Timo Ohler

GCC Installationsansicht / Installation view 2016 ,  )+( Positive Pathways/      ?  ??? ? Verschiedene Materialien Mixed media Courtesy GCC; Kraupa-Tuskany Zeidler,   Berlin; Project Native Informant,   London; Mitchell-Innes & Nash,   NY Im Auftrag und produziert von Commissioned and produced by Sharjah Art Foundation Foto/Photo: Timo Ohler

GCC Installationsansicht / Installation view 2016 , )+( Positive Pathways/ ? ??? ? Verschiedene Materialien Mixed media Courtesy GCC; Kraupa-Tuskany Zeidler, Berlin; Project Native Informant, London; Mitchell-Innes & Nash, NY Im Auftrag und produziert von Commissioned and produced by Sharjah Art Foundation Foto/Photo: Timo Ohler

Cécile B. Evans Installationsansicht / Installation view  What the Heart Wants,   2016 HD-Video,   Farbe,   Ton; Wasser,   Holzplattform HD video,   color,   sound,   40‘; water,   wooden platform Courtesy Cécile B. Evans; Galerie Emanuel Layr,   Vienna; Barbara Seiler,   Zurich Foto/Photo: Timo Ohler

Cécile B. Evans Installationsansicht / Installation view What the Heart Wants, 2016 HD-Video, Farbe, Ton; Wasser, Holzplattform HD video, color, sound, 40‘; water, wooden platform Courtesy Cécile B. Evans; Galerie Emanuel Layr, Vienna; Barbara Seiler, Zurich Foto/Photo: Timo Ohler

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