The Malpighian Layer | CAR DRDE, Bologna

La scoperta tardo seicentesca del medico bolognese Marcello Malpighi trova della opere in mostra una nuova lettura metaforica che ridisegna le categorie di spazio e di tempo.
26 Maggio 2018
The Malphighian Layer - Exhibition view - CAR DRDE Bologna

The Malphighian Layer – Exhibition view – CAR DRDE Bologna

Testo di Guendalina Piselli

Le cellule della nostra pelle sono continuamente sostituite attraverso un processo di rigenerazione giornaliera del quale non abbiamo alcuna coscienza e che trasforma la nostra superficie corporea. In un parte più profonda dell’epidermide, nel cosiddetto strato malpighiano, nuove cellule nascono e si moltiplicano per mitosi risalendo poi in superficie per sostituire quelle dello strato più esterno con il quale il corpo viene a contatto con il mondo circostante.
Anche le opere in mostra negli spazi di CAR DRDE in occasione della mostra The Malpighian Layer sembrano far riaffiorare in superficie un livello più profondo, lo spettro di un substrato. La scoperta tardo seicentesca del medico bolognese Marcello Malpighi trova così una nuova lettura metaforica che ridisegna le categorie di spazio e di tempo. Prima e dopo, interno ed esterno, qui e altrove si confondono in un processo di trasformazione di linguaggi che mette in luce la natura artificiale e fallace della visione stessa della realtà. Il corpo, inteso come insieme di processi naturali, si scontra con l’ambiente che lo circonda e prende coscienza dei suoi limiti.

Giulio Severi Rossi sembra mettere in mostra l’incapacità dell’uomo di accogliere la realtà nella sua interezza. Gli estremi dello spettro visivo percepibile dall’occhio umano si mescolano, a causa di un continuo processo chimico, in “Fluidi #1” riducendo l’ampiezza originale della visione e i canoni sono rovesciati da “Sottrazioni” nei quali ciò che appare è frutto di un atto di eliminazione, di erosione della superficie verso un livello più basso. A giocare con i limiti della percezione sono anche le opere di Theis Wendt “Permanent Shadow” che fingendosi pittura nascondono la loro vera natura. I due calchi in resina e pigmenti, uno dei quali sospeso al centro dello spazio, confondono dando allo spettatore l’ingannevole sensazione di trovarsi davanti a dei dipinti. Tecniche differenti quali fotografia e pittura si confondo in “Vertex” e “Da Mask” – entrambi tratti dalla serie “Coloring Book for Adults” – attraverso le sovrapposizioni complesse create da Inga Meldere.

Jonathan Van Doornum, Kithchen cabinet  2018 - CAR DRDE Bologna

Jonathan Van Doornum, Kithchen cabinet 2018 – CAR DRDE Bologna

A perdersi durante il processo di visione, in quello che è la codifica del codice da significante a significato sembra essere la presenza di qualcosa di autentico e generativo: come per la rigenerazione delle cellule avviene tutto indipendentemente dalla nostra volontà, in modo automatico e meccanico. Solo un’anomalia sembra poter interrompere questo processo. Le interruzioni dei segni in “Small Accidents” lasciati da Amèlie Bouvier ci appaiono allora come errori, malfunzionamenti di uno di quegli strumenti tecnologici come i sismografi usati per visualizzare elementi e fenomeni non visibili. Difficile accettare che siano invece frutto di ostacoli studiati per interrompere la regolarità di un gesto manuale ripetuto meccanicamente, di elementi esterni ed artificiali che si inseriscono in un processo. Ad essere messa in mostra sembra essere la presa di coscienza della visione in quanto prodotto culturale, come meccanismo fisiologico influenzato da agenti costruiti dall’uomo stesso per adattarsi al mondo. Una riflessione che si traduce in superfici ingannevoli tra le quali le opere scultoree di Jonathan Van Doornum sembrano perdere di impatto. I suoi pseudoarredi – “Kitchen Cabinet 03” e “Nails” – costruiscono infatti una spazialità deviata che apre un ulteriore livello, diverso da quello esplorato dagli altri artisti in mostra al quale lo spettatore ha abituato il proprio corpo. Le deformazioni messe in atto da Von Doornum su oggetti di design di massa dallo “stile Ikea”, mettono infatti in gioco non solo la visione, ma anche un inconscio collettivo legato al concetto di interno, casa, rifugio. Un passaggio forse troppo forte per il fruitore che nello stesso spazio fa i conti con la propria incapacità di rapportarsi con il mondo senza filtri e senza fallimenti.

Fino al 28/07/18
THE MALPIGHIAN LAYER
Amélie Bouvier, Inga Meldere, Giulio Saverio Rossi, Jonathan Van Doornum, Theis Wendt
a cura di Bruno Barsanti & Gabriele Tosi

Giulio Savrio Rossi - Sottrazioni #3 2018_CAR DRDE Bologna

Giulio Savrio Rossi – Sottrazioni #3 2018_CAR DRDE Bologna

Jonathan Van Doornum, Nails 2018 - installation view - CAR DRDE Bologna

Jonathan Van Doornum, Nails 2018 – installation view – CAR DRDE Bologna

Inga Meldere - Damask 2016 - CAR DRDE Bologna

Inga Meldere – Damask 2016 – CAR DRDE Bologna

Giulio Saverio Rossi, Fluidi #1 - CAR DRDE Bologna

Giulio Saverio Rossi, Fluidi #1 – CAR DRDE Bologna

Amelie Bouvier, Small Accident # 2 #6 #8, 2015 - CAR DRDE Bologna

Amelie Bouvier, Small Accident # 2 #6 #8, 2015 – CAR DRDE Bologna

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