The Classroom — Intervista con Paola Nicolin

Parte oggi il corso gratuito tenuto da Diego Perrone e Piero Golia: gli artisti sono stati invitati a riflettere sull’artista americano Chris Burden. La sera del 27 marzo ci sarà un'esposizione aperta al pubblico.
24 Marzo 2017

Inaugurato con un corso e una mostra personale di Adelita Husni-Bey (Milano, aprile 2016) dedicati alla riflessione sulla pedagogia radicale e alla relazione tra arte e identità ,The Classroom ha proseguito la sua attività con un progetto speciale di Hilario Isola (a Marrakech, nel maggio 2016) sul tema dell’errore e della storia orale.
 Il terzo appuntamento del centro ha avuto come protagonisti i Masbedo che hanno approfondito  il tema del restauro dell’arte contemporanea lavorando dal settembre a gennaio del 2017 presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e con il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale.
Entro pochi giorni partirà il prossimo progetto: Piero Golia e Diego Perrone on Chris Burden.
I tre giorni del laboratorio (24-26 marzo, in Via Cesare Correnti, 14 Milano) saranno seguiti dalla apertura al pubblico della “classe” la sera del 27 marzo. L ’esposizione sarà visibile sino al 10 aprile. Per maggiori informazioni THE CLASSROOM – Piero Golia, Diego Perrone on Chris Burden , Milano 2017

Fondato e diretto da Paola Nicolin – che nell’intervista che segue ci racconta un anno di questa avventura – the classroom è un centro di arte e educazione con sede a Milano in un ex edificio scolastico che dal 1972 al 2011 ha ospitato una Casa dei Bambini – Scuola Montessori.

L’iniziativa pone l’artista al centro del discorso sulla storia delle arti, incoraggiando la elaborazione di percorsi e metodologie individuali. La sua missione è quella di lavorare sulla storia delle arti come base dei diversi percorsi formativi e sulle dinamiche attraverso le quali questa storia è scritta, tradotta, diffusa.

Seguono alcune domande a Paola Nicolin —

ATP: Prima di entrare nel merito del progetto presentato da Piero Golia e Diego Perrone, vorrei chiederti di raccontarmi, dopo un anno di programmazione, come sta progredendo il progetto The ClassRoom? Come sono state percepite le iniziative che proponete?

Paola Nicolin: The classroom si era posto come obiettivo a breve termine la verifica dei suoi presupposti e, da parte mia, delle motivazioni personali che mi hanno spinto a lavorare a questo progetto. Per il primo anno di attività era infatti importante capire e imparare dal progetto nato davvero come un esperimento di produzione e educazione, dove le competenze coinvolte (artistiche, educative, produttive, curatoriali, di mediazione e di ricerca) collaborassero in una logica di sinergia istituzionale e dove ogni volta la sola regola fosse il cambiamento. Sono sempre stata sinceramente affascinata dalle “intelligenze mancine” e la motivazione più radicale di the classroom è proprio forse quella di riportare al centro della trasmissione del sapere l’artista come produttore di storie “mancine” e nello stesso tempo di ripensare agli spazi della educazione – della scuola insomma, che è poi il luogo dove trascorriamo inesorabilmente gli anni più formativi della nostra vita. Che cosa è una classe? Come ci si vive? In che relazioni metti in ordine quello che sai o non sai in uno spazio? In questa prospettiva realizzare tre progetti in un anno, con tre artisti diversi in tre contesti altrettanto differenti (Milano, Marrakech, Firenze-Venaria Reale, rispettivamente con Adelita Husni-Bey, Hilario Isola e Masbedo) ci ha permesso di iniziare un percorso di analisi dei processi attraverso i quali l’arte si studia, si crea e si condivide in uno spazio “mancino”.
Gli artisti con i quali abbiamo lavorato sono stati molto generosi così come le persone che ci hanno dato fiducia, i primi dei quali sono persone legate alla figura di Massimo Buffetti; e questo ci ha spinto a guardare sempre più avanti: i progetti sono cresciuti di scala, abbiamo costruito molte relazioni istituzionali e con fondazioni private, abbiamo iniziato a produrre le prime pubblicazioni, abbiamo in uscita il sito – che include un progetto editoriale speciale e stiamo progettando i prossimi due progetti, uno ancora sul finire del 2017 e un altro nel 2018. Anche il team si è ampliato: abbiamo costituito un comitato scientifico, formato da tre artisti (Piero Golia, Diego Perrone e Linda Fregni Nagler), dopo l’esperienza con Masbedo lavora con me anche Luca Bradamante che è il responsabile delle produzioni e delle relazioni esterne, poi ci sono stati diversi stagisti e interns, in un primo momento legati alla università dove lavoro che ha fatto da hub del primo progetto – come Marco Minicucci e Costanza Longanesi della Università Bocconi – ai quali si è affiancata poi Bianca Frasso che ha seguito il corso di Adelita Husni-Bey a Milano l’anno scorso e che ancora ci aiuta.

Nel secondo anno di attività dunque vorremmo partire da qui per consolidare le relazioni istituzionali, concentrarci su un progetto di più ampia scala e iniziare una politica di relazioni internazionali. Una parte delle attività continuerà poi a riflettere sulla lezione come forma d’arte realizzando lezioni d’artista realizzate in Bocconi (come e’ accaduto con Gian Maria Tosatti) e con seminari di studio in collaborazione con altri istituti ( come e’ successo con il centro di restauro della Venaria Reale  il quale stiamo lavorando alla pubblicazione degli atti del convegno Immaterialità e identità)

ATP: Uno dei punti distintivi di The Classroom è la relazione tra pratiche espositive e pratiche educative. L’obbiettivo è quello di offrire al pubblico nuove modalità di produzione e approccio ai linguaggi dell’arte contemporanea. In concreto, sempre in relazione alle proposte passate dal progetto, quali novità metodologiche sono emerse?

PN: Credo che per parlare di nuove metodologie devi farci compiere almeno due anni, temo!
Provo a restituiti quello che sento e vedo di getto.

Un primo tema è l’imparare facendo, qualcosa che appartiene alle esperienze delle avanguardie e alla pedagogia radicale e che in questo nostro caso è inesorabile perché ogni artista è una scuola – o come scriveva già Alessandro Mendini nel 1976, “ogni uomo è una scuola”. In ogni caso l’aspetto metodologico che testiamo con mano ogni volta la classe è un esperimento sul campo e come tale dimostra come i rapporti interpersonali siano condizionati dal contesto strutturale le persone agiscono. La conoscenza come relazione tra le parti, tra corpi e spazio, tra persone diverse e luoghi diversi, inclusi gli aspetti imprevisti e non calcolati ma gestiti in autonomia dall’artista con il nostro supporto ove richiesto, è almeno per noi una fonte di stupore e ricchezza.

La relazione tra teoria e prassi è un’altra componente importante: gli artisti sono invitati a non parlare del loro lavoro, a non restituire una forma e uno stile che gli appartiene ma a parlare di sé attraverso il lavoro degli altri; è un invito al fare attraverso il pensare. Per questo la parte laboratoriale ha la sua importanza perché è un momento di contatto con la materia, mentre la teoria è il fascino della conoscenza che tutti noi subiamo.
Crediamo anche sia utile la relazione tra regola e caso: l’artista stabilisce un calendario, un syllabus, un contesto espositivo che possono essere compresi o meno ma che forse funzionano bene come orizzonte di riferimento.

The classroom alla fine nasce anche dalla percezione di una mancanza di affetto verso il momento della didattica – un affetto negato dalla strutturazione degli spazi, del tempo, dei formati, dei protocolli che insieme convergono verso la formattazione anche in età adulta di una immagine “contemporanea” da tirare fuori “al bisogno”. Mi piace pensare a una didattica curata capace di produrre moltissimo – e molto amata.

Adelita Husni-Bey, Milano 2016 - Photo Giovanna Silva

Adelita Husni-Bey, Milano 2016 – Photo Giovanna Silva

ATP: Per quanto riguarda il progetto presentato da Golia e Perrone, mi racconti perchè li hai invitati a partecipare a The ClassRoom? In cosa consiste la loro proposta?

PN: Piero Golia e Diego Perrone sono stati invitati a tenere un corso aperto a studenti e gli è stato proposto di lavorare su Chris Burden, come soggetto del corso. Pensiamo siano due formidabili artisti, interessati in modo diverso alla relazione tra le parti e tra le persone. Così ho raccontato brevemente l’idea a entrambi che sono partiti velocissimi: Piero, oltre alla rilevantissima esperienza della The Mountain School of Arts è un artista che ha avuto modo di conoscere Burden; il suo ruolo è fondamentale in relazione ai materiali di studio e alle scelte concettuali che ne derivano. La componente scultorea di Diego Perrone e l’unione nel suo lavoro di disegno, immagine e forma è un altro aspetto credo interessante in relazione a questa collaborazione ; e che forse è più evidente quando l’artista non fa una sua mostra “sua”rendendosi disponibile alla marginalità, con attenzione agli aspetti produttivi di progetti considerati “minori” – ma che forse sono il luogo da dove arrivano le idee “maggiori”. La possibilità di invertire i codici e le regole del gioco è in fondo anche un aspetto credo interessate per gli studenti, ai quali li lavoro degli artisti è rivolto.

Da parte mia l’idea di Burden è nata anche da una suggestione, legata all’immagine di una sua performance, realizzata nel 1975 a Milano alla Galleria Alessandra Castelli, intitolata “La Chiarificazione”– e che seguiva di pochi mesi l’azione dell’artista alla galleria Schema di Firenze nel 1975, “Oracle”. A Milano Burden faceva entrare in una stanza, allestita con 25 sedie, 11 spettatori e subito dopo murava l’ingresso, lasciandone fuori gli altri accorsi alla mostra; una volta dentro Burden in lingua italiana comincia a parlare e spiegare al pubblico che sono loro le sculture e che il buon risultato del lavoro dipende dalla loro complicità. C’è dell’acqua e il tempo scorre sino a quando la tensione si scioglie. Il relitto della performance è il martello con quale Burden ha picchiato i chiodi nel muro per sigillare la porta di accesso alla mostra. Tra le moltissime interpretazioni possibili, quella legata al tema del controllo psicologico, dello spazio costretto, della relazione tra chi parla e chi ascolta fosse una metafora per ragionare sull’insegnamento come prima forma di potere e sulla quale forse vale la pena farci un pensiero.

ATP: Perchè hanno scelto la tecnica di stampa risograph? In cosa consiste?

PN: Ti possono rispondere solo loro su questo aspetto perché tutto è stato sempre nello loro mani che continuano a manipolare l’idea di fondo. La scelta della tecnica nasce a ogni modo dal desiderio di progettualità che gli artisti condividono, tra tecnologia e manifattura, tra materialità e immagine, tra gesto e scultura. La risograph – il vecchio ciclostile automatizzato per intenderci – è uno strumento di riproduzione a stampa che coniuga qualità e quantità. Si tratta di un duplicatore a matrice. L’immagine viene impressa a caldo su una matrice di carta a base di fibra di banana – piuttosto simile alla serigrafia. Da questa base si possono stampare molte copie a basso costo – ognuna delle quali di fatto ha un margine di unicità piuttosto alto. Gli inchiostri sono a base di soia e anche per questo piuttosto rispettosi dell’ambiente: molte copie, costi contenuti, serie unica, impatto – quasi – zero. In pratica un’utopia o il sovvertimento delle regole. Ed è il volantino per eccellenza – un manifesto come forma d’arte. In tutto questo siamo sostenuti dalla competenza di ATTO che abbiamo coinvolto come partner del progetto.

ATP: Per il corso, gli artisti hanno trasformato un ambiente con una precisa funzionalità – ricordo che The Classroom ha sede in un ex edificio scolastico in via Cesare Correnti – in una “fabbrica urbana”. Mi racconti questa trasformazione?

PN: The classroom ha la sua sede operativa in una ex scuola Montessori in zona Loreto dove l’anno scorso ha lavorato Adelita Husni-Bey. All’epoca l’edificio era in transizione dalla ex scuola alla nuova funzione abitativa e ci piaceva catturare con il lavoro dell’artista questo momento di passaggio. Quest’anno il progetto di ristrutturazione seguito dallo studio Binocle chiuderanno i lavori e ritorneremo a settembre a progettare insieme un intervento in situ. Nel frattempo ci siamo accorti quanto la dimensione nomadica del progetto in questa fase fosse senza dubbio più faticosa ma anche più stimolante e dunque anche a Milano abbiamo pensato di cambiare sede e lavorare in un altro quartiere, legato alle iniziative di 5vie, una associazione che da anni lavora sul territorio compreso tra corso Magenta e via Cesare Correnti. 5vie è venuto a conoscenza del progetto, lo ha valutato interessante e ci ha proposto una co-produzione nel suo stesso quartiere generale, il bellissimo palazzo storico di via Cesare Correnti 14. In questo sito abbiamo scelto uno spazio in linea con le caratteristiche di questo numero: un corso per 20 studenti circa, uno spazio aperto e accessibile anche a chi avesse voglia di dare uno sguardo alla classe, un luogo di produzione “officina”; e abbiamo trovato una stanza in affaccio sul cortile, completamente avvolta da mensole e scaffali vuoti, un tempo deposito di ferramenta o di tessuti credo, e comunque adatta a rispondere a questi desideri.

ATP: Il corso ha come esito un’esposizione con gli elaborati dei partecipanti al corso. Cosa dobbiamo aspettarci da questa “mostra” visibile fino al 9 aprile?

PN: Il corso si svolgerà dal 24 al 26 marzo in questa stanza. Il 27 apriremo semplicemente la classe al pubblico: non si tratta di una mostra in senso canonico; non ci sono opere di Piero o di Diego, ci sono i materiali di lavoro usati dagli artisti con gli studenti, le stampe realizzate – e i disegni, oggetti di studio, materiale di lavoro provenienti dallo studio di Burden. Sarà un’incursione nel lavoro svolto in aula, una porta aperta dentro la quale sbirciare.
Sempre il 27, dalle ore 21 ca., abbiamo pensato di allestire nel cortile 
di via cesare correnti 14  – un piccolo cinema dove proiettare Chris Burden. A video portrait, un ritratto dell’artista di Peter Kirby. Ingresso libero per tutti.

Hilario Isola, Marrakech 2016 - Photo Giovanna Silva

Hilario Isola, Marrakech 2016 – Photo Giovanna Silva

Masbedo, Handle With Care, performance - Palazzo Vecchio, Firenze, 22 ottobre 2016 - Photo Alex Astegiano

Masbedo, Handle With Care, performance – Palazzo Vecchio, Firenze, 22 ottobre 2016 – Photo Alex Astegiano

Theme developed by TouchSize - Premium WordPress Themes and Websites