Take me a question | Arte e spazio pubblico: il curatore racconta

10 ARTISTI - 10 MESI - 1 CESTINO PUBBLICITARIO che diventerà - ogni mese - l’interlocutore per mettere in comunicazione arte e spazio pubblico
5 Marzo 2018
Tamara Janes, Alter Ego, 2013, still da video. Courtesy Boccanera Arte Contemporanea , Trento

Tamara Janes, Alter Ego, 2013, still da video. Courtesy Boccanera Arte Contemporanea , Trento

Take me a question è un progetto di arte pubblica a cura di Andrea Lerda pensato per Caraglio, cittadina in provincia di Cuneo. Il progetto prevede il coinvolgimento di 10 artisti invitati a realizzare un progetto site specific a cadenza mensile. Attraverso la produzione di un poster d’artista, un cestino pubblicitario diventerà l’interlocutore per mettere in comunicazione arte e spazio pubblico dando forma a riflessioni e sollecitando una partecipazione collettiva.

“Prendendo in prestito le parole di Vito Acconci, Take me a question vede ‘l’arte pubblica, in quanto luogo di raccolta per le persone, [che] funge da modello per la città’. Un’arte pubblica che ‘ristabilisce gli spazi popolati che portano a discussioni che portano a dibattiti che portano a riconsiderazioni che portano alla rivoluzione. In un mondo di centri commerciali, l’arte pubblica ristabilisce la piazza’.
Take me a question ha l’ambizione di considerare l’arte contemporanea come uno strumento in grado di porre interrogativi ed evocare riflessioni, stimolando una riflessione sul suo ruolo all’interno della comunità.

Il primo intervento ha inaugurato lo scorso sabato 3 marzo, con la presentazione della proposta di Franco Ariaudo, visibile fino al 31 marzo 2018. La realizzazione del suo progetto è stata supportata da COLLI independent art gallery di Roma e l’artista. Per maggiori informazioni sul progetto CS

Seguono alcune domande al curatore Andrea Lerda e il suo testo critico scritto in occasione del primo intervento —

ATP: Il titolo è preso a presto da una citazione di Vito Acconci. Mi contestualizzi la frase e il suo utilizzo?

Andrea Lerda: Negli ultimi periodi ho letto diversi testi sull’arte pubblica e in particolare sui numerosi eventi in tal senso degli anni Sessanta e Settanta, anni che in America erano caratterizzati dalla Land Art e dal bisogno di uscire dai tradizionali luoghi dell’arte. Trovo che sia interessante e necessario ritornare a parlare di spazio urbano come campo di forze sollecitabili.
In questo senso l’evento “Arte Povera + azioni povere” ad Amalfi nel 1968 costituì un punto di partenza fondamentale sulla riflessione sullo spazio in senso più ampio. Ma in quegli anni ci furono numerose esperienze di interazione tra arte e spazio pubblico. Spoleto 1962, Campo urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana a Como nel 1969, Volterra 1972-73, Matera 1978 e via dicendo. (Consiglio L’arte nello spazio urbano di Alessandra Pioselli, Johan & Levi).
Take me a question non ha di certo la pretesa di porsi all’interno di un percorso così importante ma nel suo piccolo di riattivare una discussione sul ruolo dell’arte pubblica, e dell’Arte Utile di cui parla Tania Bruguera “Il senso dell’Arte Utile è quello di immaginare, creare, sviluppare e applicare qualcosa che , prodotto nell’ambito della pratica artistica, determina un risultato chiaramente benefico per le persone. L’Arte Utile crede nella possibilità di crescita delle persone. Le persone che fanno arte sociale non sono sciamani, maghi, guaritori, santi o mammine. Sono più vicini agli insegnanti, ai negoziatori, ai costruttori di personalità e alle strutture sociali. L’Arte Utile funziona a diretto contatto con la realtà. L’Arte Utile ha in mente una diversa società.”
Il contenitore che ospiterà gli interventi dei 10 artisti invitati a partecipare a “Take me a quesiton” nasce per accogliere messaggi pubblicitari – è un banale cestino pubblicitario. In questo caso ho materialmente comperato lo spazio pubblicitario per un anno per affidarlo agli artisti. Il pubblico non riceverà altri stimoli commerciali ma un prodotto artistico che svincolerà lo sguardo dalle consuete propagande e retoriche pubblicitarie.

ATP: – Da quali premesse sei partito per questo progetto pubblico?

AL: Il riferimento ad Acconci di cui parli è relativo a un testo che ho letto recentemente e pubblicato in “Vito Acconci, public places di Linda Shearer, The Museum of Modern Art, 1988 – pubblicato in Manufatto in situ. 10 paesaggi, Viaindustriae publishing, Foligno 2017.
Il saggio che si intitola “Fuga dal museo” è una riflessione molto interessante sulla marginalità come centro dell’arte pubblica, sul ruolo e l’importanza del fare arte pubblica e la decisione dell’artista di abbandonare lo spazio usuale dell’arte per trasformarla in una nuova dimensione, non categoria a se stante, ma atmosfera instillata, quasi segretamente tra le altre categorie della vita.

ATP: Che reazione o riflessione vorresti stimolare tra le persone che si imbatteranno nelle immagini prodotte o scelte dagli artisti?

AL: Ciò che mi aspetto è che gli artisti interagiscano con il territorio e che partano dalle sue specificità per creare un dialogo sinergico.
Questo sta avvenendo naturalmente. Franco Ariaudo, il primo artista coinvolto, mi ha chiesto di partecipare all’ideazione del primo intervento. Nell’ambito del suo macro progetto “Il Giornale Ideale” realizzerà un manifesto che chiama in causa una notizia di attualità del territorio. La lettera di Confindustria Cuneo ai genitori dei ragazzi, in cui si invita gli studenti a fare istituti professionali e tralasciare la formazione accademica e il lavoro intellettuale. (Servono operai e non laureati, questo il riassunto).
L’intenzione di Take me a question è quella di portare le persone ad aprire gli occhi su scenari inconsueti, a porsi domande che non si porrebbero senza un intervento artistico, libero e fuori dalle grammatiche convenzionali. Portare la comunità (e con esse le istituzioni) a interrogarsi sul ruolo dell’arte nella società. (A Caraglio, e più in generale nel cuneese, dove l’arte contemporanea stenta tutt’ora a fare presa, esiste un bisogno in questo senso? si? no?)
Trattandosi di arte pubblica, deve poi divertire, incuriosire e generare autonomamente un risultato inatteso.

Il sito online che ho predisposto vuole raccogliere eventuali contributi e commenti del pubblico, che saranno appunto pubblicati una volta inoltrati all’email takemeaquestion@gmail.com.

Franco Ariaudo, Il Giornale Ideale

Franco Ariaudo, Il Giornale Ideale

Franco Ariaudo, Il Giornale Ideale

Franco Ariaudo, Il Giornale Ideale

Testo critico di Andrea Lerda relativo al primo intervento di Franco Ariaudo
3 – 31 marzo 2018, Caraglio.

Uno dei primi casi, forse proprio il primo, in cui è stato utilizzato come medium di comunicazione visiva urbana il cartellone pubblicitario fu in occasione dell’Operazione 24 fogli, intitolata Dissuasione Manifesta. L’evento si tenne a Volterra, nel 1973, con il coordinamento di Enrico Crispolti. In quel caso il manifesto, di dimensioni decisamente importanti (6 metri di lunghezza per 2,80 di altezza), diventò per la prima volta un oggetto depositario di contenuti diversi da quelli consueti nel circuito della comunicazione consumistica (pubblicità di prodotti, di aziente, di film ecc.). Ecco che cosa veniva riportato nello statement dell’iniziativa: “Se la destinazione consueta [del cartellone pubblicitario] è quella della ‘persuasione’, più o meno occulta, verso i condizionamenti del consumismo, l’Operazione 24 fogli suggerisce un rovesciamento di intenzioni, proponendo immagini concorrenziali e alternative nello spazio urbano: non ‘persuasione occulta’, bensì Dissuasione Manifesta. Attraverso l’Operazione 24 fogli, pittori e scultori, operatori visivi cercano un tipo di comunicazione diverso: si appropriano di un ‘mass medium’ urbano per agire nella dimensione di questo, che è lo spazio cittadino, per agire insomma nello spazio cittadino con un mezzo specifico e non improprio. L’Operazione 24 fogli è dunque una proposta alternativa al circuito di fruizione consueto alla pittura e alla scultura. Si stabilisce un rapporto nuovo, aperto nello spazio cittadino, sulla città, un dialogo che è ideologico proprio nei canali di una comunicazione che promuove altrimenti la disattenzione ideologica, l’attenzione inconsapevole di sola superficie, la percezione disattenta”.
Il contenitore che ospita il progetto di arte pubblica “Take me a question” è invece un cestino pubblicitario. Nonostante le dimensioni, più ridotte rispetto all’esperienza di Volterra, le premesse concettuali rimangono pressoché identiche. Provocare lo sguardo e stimolare il pensiero. Il suo formato ricorda in questo caso quello delle locandine informative che siamo abituati a vedere fuori dalle edicole. Questa specificità, unita alla recente indagine che Franco Ariaudo sta portando avanti dal 2017 con il progetto il Giornale Ideale, costituiscono le premesse per l’intervento che l’artista ha deciso di realizzare a Caraglio.
Franco Ariaudo ha deciso di sviluppare il concept del suo manifesto partendo da due eventi specifici di cronaca locale: il primo, meno recente, è quello relativo alla chiusura del Centro Sperimentale per l’Arte Contemporanea nel 2016, il secondo, più attuale, si lega al contenuto della lettera aperta che Mauro Gola, Presidente di Confindustria Cuneo, ha inviato alle famiglie cuneesi. In questo documento il Presidente Gola scrive che molto spesso la scelta della scuola superiore “viene fatta dando più importanza ad aspetti emotivi e ideali, piuttosto che all’esame obiettivo della realtà”[1]. Riportando poco dopo il dato secondo cui la quasi totalità delle assunzioni sul territorio cuneese sono di operai specializzati e di addetti ai macchinari, invitava esplicitamente le famiglie a indirizzare i loro figli non sulla strada di una formazione intellettuale in ambito umanistico o scientifico, bensì di quella professionale. Insomma, potremmo leggerla senza troppi errori in questo modo: meno filosofi e più operai. Mauro Gola scrive una cosa corretta: “il nostro dovere è quello di evidenziarvi questa realtà”. Tuttavia non considera che quel senso di responsabilità al quale fa riferimento nella sua lettera non risiede semplicemente nell’invitare a scegliere la strada più semplice, quanto di fare si che siano le istituzioni e la politica a generare le opportunità mancanti o assenti nei settori meno cari al territorio cuneese.

Il manifesto di Franco Ariaudo ribalta la situazione dei fatti e facendo leva sul potere immaginifico dell’arte, annuncia l’apertura di una sede del Louvre a Caraglio. L’evento scardina le certezze del Presidente che, inviando una nuova lettera agli studenti, compie una vera e propria chiamata alle armi: “servono più artisti”.

Andrea Lerda

[1] Fonte: Lettera alle famiglie cuneesi 

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