ATP DIARY

Intervista con Serena Vestrucci | Notte in Bianco

[nemus_slider id=”55475″] — Ci siamo ritrovati in una grotta di mattoni. E? accaduto tutto cosi? velocemente, che non ho fatto in tempo a rendermi conto di chi fossero gli altri e del perche? ci avessero portati li?. Secondo alcuni si...

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Ci siamo ritrovati in una grotta di mattoni. E? accaduto tutto cosi? velocemente, che non ho fatto in tempo a rendermi conto di chi fossero gli altri e del perche? ci avessero portati li?. Secondo alcuni si trattava di una caverna in cui saremmo dovuti restare immobili, in silenzio, senza sapere fino a quando, nella speranza che qualcuno si accorgesse di noi. A me pareva piu? un buco dal quale di tanto in tanto intravedevo dei visi che con aria scettica mi fissavano distrattamente per qualche istante, per poi tornare sui loro passi, con l’espressione perplessa di chi avrebbe voluto sentire appagata chissa? quale aspettativa, e appagato non era. Provavo a riconoscermi come nuovo abitante di quell’ambiente artificiale. Sembrava che la natura fosse stata chiusa fuori e che chi veniva a farci visita cercasse con noi un contatto verbale, senza capire invece che non parlavamo la stessa lingua e che per conoscerci servivano gli occhi. Quando sono stato io a provare a rivolgermi ai miei simili, mi sono reso conto che nessuno di noi poteva guardare gli altri, e che proprio il dispositivo che oscurava la nostra capacita? di vedere – ed essere visti – ne era in realta? un amplificatore, in quanto concentrava la possibilita? di osservare. E? stato allora che mi e? diventato chiaro come, proprio attraverso un processo di costrizione della vista, poteva essere favorita l’esperienza della mimesi dello sguardo. Nelle settimane seguenti sentivo che la temperatura esterna stava salendo e che le giornate iniziavano ad allungarsi. Poi e? arrivato uno strano momento in cui ci hanno spostato dalle nostre posizioni e chiuso dentro alcune casse. Da allora non ho piu? visto niente.

Serena Vestrucci

Questo il racconto – definito dalla stessa artista ‘epilogo’ – che accompagna la mostra di Serena Vestrucci ‘Notte Bianche’ ospitata alla galleria FuoriCampo di Siena fino al 28 giugno. Seguono alcune domande all’artista.

ATP: Il titolo della tua mostra alla galleria FuoriCampo “Notte in Bianco”, induce a fare una serie di connessioni, se vogliamo, legate all’atto del contemplare: il soffitto se una persona è insonne, le stelle, se una persona è più dedita a fare camminate notturne o, se vogliamo scavare nel significato da cui deriva l’espressione “passare la notte in bianco”, dobbiamo risalire al Medioevo: si narra che i cavalieri venivano vestiti di bianco e dovevano pregare tutta la notte ecc. ecc. Mi racconti perché hai scelto questo titolo? Che significato gli hai dato in relazione alla tua mostra?

Serena Vestrucci: “Notte in bianco” è il titolo di uno dei lavori esposti. Ho scelto che questo si prestasse come nome per l’intera mostra perché porta nel suo significato un carattere appartenente a tutti loro, potendo così offrirsi come identità comune. La notte in bianco fa riferimento al tempo di incubazione in cui li ho elaborati: in quel momento di rilassamento che non ha a che fare né con il sonno e i sogni, né con il controllo della coscienza vigile durante il giorno.

ATP: Per la mostra hai pensato a tre tipologie di lavori: un libro, una grande tela e una serie di sculture in cera. Che relazione hai creato tra queste tre diverse forme espressive?

SV: Ti riporto un estratto dei dialoghi nati con la galleria durante la fase di progettazione della mostra: “Lo spazio della galleria diventa il luogo dove attivare un processo di costrizione dello sguardo che gioca sulla reciprocità dell’oggetto/capacità in cui l’arte ci guarda e si fa guardare. Quasi come rivolgesse l’attenzione su di sé, l’arte si guarda. L’esperienza della mimesi dello sguardo si attua sia attraverso una vera e propria riflessione dello sguardo sullo spettatore, sia attraverso la negazione della vista, inibendo ­ la possibilità del visibile ma non la capacità di vedere. In questo modo il dispositivo che oscura la vista allo spettatore è in realtà un amplificatore perché esclude e concentra la possibilità di vedere.”

ATP: La mostra è una sorta di speculazione sull’atto del guardare, ma non solo, anche la negazione/ostruzione del vedere. Mi spieghi in che modo e quali sono le dinamiche che si creano tra opere e spettatore?

SV: Una volta entrati nella galleria, una grande tela bianca blocca subito il passaggio, limitando il campo d’azione a meno della metà dell’abituale spazio della sala. Notte in bianco è una tela di cotone alta fino a toccare l’irregolare soffitto di mattoni e lunga quanto la distanza tra le pareti laterali. Entrando si ha l’impressione di essere davanti ad un muro, e nello spazio inizialmente sembra esserci il vuoto. Man mano che si scendono i gradini di ingresso e ci si avvicina al centro, si nota che sulla superficie del tessuto sono presenti numerosi piccoli buchi. Da alcuni di questi compaiono delle coppie di occhi. Persone anonime, di cui si può conoscere solo lo sguardo. Piccole fotografie che ci osservano osservarle. Da altri fori invece si intravvede una fonte luminosa di intensità più calda rispetto al neon che illumina l’ingresso. Sbirciando attraverso si riesce a vedere l’ultimo lavoro in mostra: una famiglia di cinque sculture in cera. La grande tela diventa un confine, un limite, dal quale da un lato degli occhi guardano davanti, guardano noi, mentre dall’altro lato sono i nostri che, andando e venendo, si mostrano sul retro.

Serena Vestrucci,   Cataogue 2015 100 pagine a colori,   sei giorni,   edizione di 30 esemplari + 2 pda Book Machine @ Peephole,   Milano - Galleria FuoriCampo,   Siena 2016
Serena Vestrucci, Catalogue 2015 100 pagine a colori, sei giorni, edizione di 30 esemplari + 2 pda Book Machine @ Peephole, Milano – Galleria FuoriCampo, Siena 2016

ATP: Per il grande vetro che caratterizza l’entrata della galleria – la vetrina, in altre parole – hai pensato ad una particolare soluzione. Perché hai deciso di coprire il vetro e di installare il catalogo della mostra a pag. 54 – 55?

SV: La galleria presenta una vetrina da cui è possibile avere uno sguardo completo su tutta la piccola sala che la compone, anche quindi restando fuori. Ho deciso di bloccarne la visione interna e utilizzare questo display per mostrare il catalogo, che si presenta così aperto direttamente su strada. Questo libro è stato il primo tra i lavori della mostra a essere realizzato, ed è anche il primo che incontri andando a visitarla. Se generalmente il catalogo nasce per essere sfogliato nella sua interezza e consultato al termine del percorso, qui è il primo elemento che si riceve, e di cui è possibile fruire solo due pagine. Il resto rimane inaccessibile. L’oggetto abbandona la sua tridimensionalità e si mostra come quadro, come sola immagine.

ATP: In merito al testo che accompagna la mostra, racconti una sorta di esperienza dal punto di un oggetto o, se non sbaglio, di un’opera d’arte. Mi racconti come è nata l’esigenza di scrivere questo breve racconto che hai definito come ‘epilogo’ della mostra?

Mi sono sempre chiesta a cosa serve il comunicato stampa, se non a fornire alcune informazioni generali su ciò che ci si può aspettare di vedere in mostra. È quindi qualcosa che si legge ancor prima di averla vista, perché già in circolazione insieme alla comunicazione dell’evento. Sono dell’idea però che le mostre vadano viste, prima ancora di venire filtrate da un testo che ne anticipi i contenuti. Così, in occasione di “Notte in bianco”, ho scelto di ripensare allo spazio di questo foglio come ulteriore terreno di lavoro. Decidendo di attenermi alle sue implicite regole – la scrittura e il formato non superiore alla pagina di un A4 -, ho elaborato un testo che, insieme agli altri lavori esposti, sarebbe andato a costituire il corpo della mostra, ma che, a differenza di questi ultimi, sarebbe potuto uscire dal luogo della galleria ed entrare nelle tasche di chiunque. Questo scritto andrebbe quindi letto solo dopo averla vista: più che come prologo, si presenta come epilogo. E ci parla della mostra alla sua fine. Quando non ci sarà più.

ATP: Ceroni è il titolo delle sculture in cera. Curiosa la didascalia: “Ceroni, 2016, cera, una settimana ciascuna scultura, dimensioni variabili”. Cosa significa e che valore ha la tempistica di queste sculture?

SV: Generalmente in una didascalia di un’opera vengono riportate esclusivamente le sue dimensioni e i materiali dai quali è costituita. Ho sempre considerato il tempo come concreto materiale di lavoro. Se dedico ad un progetto due giorni, due mesi, o due anni ritengo che questo dato entri inevitabilmente a far parte della sua natura e che apprendere questa informazione possa andare ad approfondire la conoscenza di un’opera, al pari del sapere la tecnica con cui è stata realizzata. La voce “una settimana ciascuna scultura” riportata in questa didascalia indica la media di sette giorni impiegati per la creazione di ogni Cerone, dal recupero della cera in fonderia alla lavorazione a mano del soggetto.

Serena Vestrucci,   Ceroni 2016 cera,   una settimana ciascuna scultura,   dimensioni variabili - Galleria FuoriCampo,   Siena 2016
Serena Vestrucci, Ceroni 2016 cera, una settimana ciascuna scultura, dimensioni variabili – Galleria FuoriCampo, Siena 2016
Serena Vestrucci,   Notte in bianco 2016 stampe fotografiche,   tela di cotone,    dieci giorni 2,  5 x 3,  86 mt (dettaglio) - Galleria FuoriCampo,   Siena 2016
Serena Vestrucci, Notte in bianco 2016 stampe fotografiche, tela di cotone, dieci giorni 2, 5 x 3, 86 mt (dettaglio) – Galleria FuoriCampo, Siena 2016