Sean Scully. A Wound in a Dance with Love | MAMbo, Bologna

Sono esposte oltre settanta opere che ripercorrono tutte le fasi salienti del percorso artistico del pittore irlandese, dagli anni Sessanta al presente: dipinti su varie tipologie di supporti, fra astrazione e figuratività, e un’importante sezione di lavori su carta, che includono anche riflessioni poetiche sull’arte.
19 Agosto 2022
Sean Scully A Wound in a Dance with Love – Installation view MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022 Foto Ornella De Carlo Courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo

Nel 1996, presso Villa delle Rose, dépendance della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, si teneva una mostra dedicata a Sean Scully (Dublino, 1945), già allora uno dei grandi protagonisti della pittura contemporanea. Oggi, a ventisei anni di distanza, il pittore irlandese torna a Bologna con la monografica A Wound in a Dance with Love (fino al 9 ottobre), ospitata nella Sala delle Ciminiere del MAMbo, con un’appendice al primo piano nel Museo Morandi. Sono esposte oltre settanta opere che ripercorrono tutte le fasi salienti del percorso artistico del pittore irlandese, dagli anni Sessanta al presente: dipinti su varie tipologie di supporti, fra astrazione e figuratività, e un’importante sezione di lavori su carta, che includono anche riflessioni poetiche sull’arte. Tra queste compare What Art Is (2004), l’assunto da cui è estrapolato il titolo della mostra: “I think that art is a wound in a dance with love. And if the wound and the love are the same size they can dance well”. Nel percorso espositivo è presente anche una sala video, in cui è proposta la proiezione di sei documentari sul lavoro dell’artista. Una delle opere in mostra, Aix Wall 4 (2021), sarà donata alla collezione del museo. 
Il catalogo include un’intervista condotta dal curatore Lorenzo Balbi, che segue la formula di corredare ad ogni risposta un’opera selezionata da Scully, così da creare una mostra nella mostra. Nel volume è presente anche un’importante selezione di testi, che include il saggio scritto da Danilo Eccher per la mostra a Villa delle Rose e un altro testo molto significativo scritto dallo stesso Scully e dedicato a Giorgio Morandi, uno degli artisti con cui ha da sempre manifestato maggiore affinità, per la tendenza comune a resistere alle dinamiche del sistema dell’arte. È in virtù di tale connessione con il pittore bolognese che la mostra, tappa italiana di un tour europeo che ha già interessato Budapest ed Atene, si declina in modo unico e coerente con il contesto espositivo.

L’allestimento della Sala delle Ciminiere si sviluppa attorno alla grande scultura Opulent Ascension, alta oltre dieci metri, originariamente realizzata per l’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia in occasione della Biennale Arte 2019. I moduli sovrapposti, di forma quadrata e variopinti, costituiscono un vettore ascensionale per lo sguardo del visitatore che accede al suo interno. Come ha fatto notare l’artista durante la preview per la stampa, la grande scultura si pone in rapporto dialettico con le due ciminiere, torri bianche svettanti che la esaltano per contrasto cromatico. Scully ha poi ripercorso le tappe della propria biografia artistica, a partire dal suo avvicinamento all’arte concettuale all’università e, soprattutto, dal viaggio compiuto in Marocco nel 1969 sulle orme di Matisse (questi vi aveva soggiornato nel 1912-13), che per lui ha rappresentato un totale cambio di prospettiva. Partito con l’aspirazione di cogliere nel paesaggio magrebino le radici dei toni sgargianti e saturi del pittore francese, è rimasto affascinato piuttosto dal ritmo e dalla ripetizione, dalla combinazione tra sfera visiva e musica tipica della cultura islamica. Un esito di queste riflessioni è l’opera seminale Backcloth (1970), una sovrapposizione di griglie ortogonali di diversi colori: nell’idea del pittore, la visualizzazione di una sorta di rock stratificato, o di jazz, che tenta di conciliare la gestualità esistenziale di Pollock e la “struttura cosciente” e il “senso morale” di Mondrian. 

Sean Scully A Wound in a Dance with Love – Installation view MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022 Foto Ornella De Carlo Courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo

Il Marocco di Matisse, con i suoi tappeti a motivi geometrici, rimarrà un riferimento costante anche nei decenni successivi ed è alla base ad esempio di Uninsideout (2018-20), un pannello di alluminio di oltre cinque metri su cui campeggiano “molti quadri in competizione fra loro, o sezioni, o frammenti di quadri, che agiscono su un enorme campo dipinto a spruzzo, anch’esso spezzato, e hanno l’aspetto di finestre oppure di campioni, campioni di tessuto appesi ad una gigantesca facciata” (dall’intervista con Balbi, p. 19). L’opera è collocata nella prima sala del museo, à pendant con un altro dipinto monumentale, What Makes Us Too (2017). Comunque, all’“influenza esistenziale” operata sul pittore da quella terra esotica a fine anni Sessanta segue il trasferimento a New York e l’incontro-scontro con la tendenza prevalente della scena artistica dell’epoca, il minimalismo, di cui Scully ha parlato ampiamente durante la preview e nella lecture pubblica che si è tenuta qualche giorno dopo:

«A New York sono stato schiavo del minimalismo e ho cercato di fare del mio meglio, di dipingere opere minimaliste, zen, sempre ispirate da una luce notturna, che non permette di inserirle perfettamente nel dogma principale di quella tendenza, all’insegna di una tautologia assoluta». È il caso, ad esempio, di Fort #1 (1978), una tela quadripartita e attraversata da strisce orizzontali nero su nero, che richiama la pianta dei forti romani. «All’epoca New York era davvero un posto duro per fare arte. Ricordo libri su Ad Reinhardt in cui si susseguivano pagine con opere in nero; se qualcuno non apprezzava quel tipo di arte era considerato stupido perché non riusciva a capirla. Era la ricetta perfetta per trasformare gli artisti in macchine, per far fare loro la stessa cosa ad oltranza fino alla morte. La pittura astratta stava dipingendo la propria tomba. E quindi la domanda a quel punto era: chi poteva fare qualcosa per cambiare tale situazione? Io non ero americano, eppure ero lì in America, e questo elemento, pensando ora a quella fase in modo retrospettivo, è stato fondamentale, perché solo un europeo che aveva non solo la mente ma perfino i piedi radicati nella storia dell’arte, che amava il Quattrocento italiano, il Romanticismo, l’Impressionismo, il Postimpressionismo, il Cubismo, poteva osare una rottura. Per cinque anni mi sono dedicato all’arte minimalista, ed è stato come passare cinque anni in una miniera di carbone. Ma poi sono andato oltre e ho realizzato opere come The Bather (1983). Per un americano sarebbe stato letteralmente impossibile. Io ho scritto la mia tesi su Matisse, ho studiato Cézanne, sono stato a Mont Saint-Victoire, un americano non avrebbe mai potuto farlo». 

L’opera citata è proprio un omaggio ai Bagnanti al fiume (1909-16) di Matisse e ne evoca il contrasto tonale tra le figure e la natura nella dicotomia tra il modulo arancio-rosa centrale e gli elementi verdi e blu laterali. Come ha fatto notare Scully nella lecture, l’insieme è ancora molto strutturato, ma la struttura non è più quella della ragione, la salda ma apatica struttura dell’arte americana e della musica di Philip Glass, quanto semmai quella del sentimento, di cui è intrisa la tradizione artistica europea oppure le composizioni dello slovacco Arvo Pärt, vivificate da “texture, profondità emotiva, umanismo, dubbio, empatia”. 

Sean Scully A Wound in a Dance with Love – Installation view MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022 Foto Ornella De Carlo Courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo

Si dischiudeva davanti a lui una nuova rotta da seguire, una rotta di bande di colore incardinate in pattern saturi e stratificati, in cui la trama stessa del pigmento e i confini slabbrati lasciano affiorare toni sommersi: ne sono testimoni opere come Oisin Sea Green (2016) e Landline Oisin Green (2016), paesaggi ridotti a strisce orizzontali sovrapposte, oppure Wall of Light White Tundra (2009) e Wall of Light Zacatecas (2010), traduzioni pittoriche della mutevolezza cangiante della luce sui muri di varie località del mondo (Scully aveva iniziato questa serie nel 1998, ispirato dai riflessi del sole sulle rovine Maya visitate durante i suoi viaggi in Messico). 

In questa nuova rotta, sempre costante sarebbe stato negli anni il faro dell’arte europea, i gialli sontuosi di Van Gogh in Vincent (2002) e nel trittico Arles-Nacht-Vincent (2015), il sole nero di Malevic in Black Square (2020). Nonostante tutto, però, numerose sono state negli anni le incursioni nella figuratività, a partire dalla serie di studi a pastello di figure sedute (1966-67) esposta in mostra, influenzata dallo studio di Karl Schmidt-Rottluff, fino ai recentissimi dipinti su alluminio della serie Madonna (2018-19), in cui sono raffigurati con un tratto grezzo la moglie e il figlio Oisin sulla spiaggia. “Penso che sperimentazione e libertà abbiano un’importanza enorme, e infatti le persone si sorprendono quando vedono il livello di varietà che c’è nel mio corpus di opere, quando le vedono esposte tutte insieme. Perché ci sono periodi in cui violo proprio le cose che ho costruito, e non ho l’idolatria del piano pittorico: lo buco, ci metto degli inserti. Faccio un quadro figurativo e poi uno astratto, e poi ritorno ancora all’astrazione” (dall’intervista, p. 23). Oppure mette in crisi la distinzione vigente tra queste due categorie, assemblando nella stessa composizione bande di colore e scorci di figure: è il caso di Figure Abstract and Vice Versa (2019), in cui il profilo del figlio sulla spiaggia, volto che è in realtà una campitura rossa, si staglia con il suo cappello nero su uno sfondo giallo e blu, ma il giallo e il blu ritornano più in basso, in un riquadro incastonato che pare sovrapposto alla figura stessa. Un processo compositivo di dialettica tra piani che era già in nuce nell’opera giovanile Cactus (1964), in cui un trittico di piante grasse si staglia su uno sfondo composto da bande verticali; lo stesso principio che caratterizzerà poi gli “inserti” a bande invertite o variate di scala in opere come Mariana (1991) e Long Light (1998), ispirata alla luce del paesaggio umbro, ma anche nei due dipinti ad olio su lino che compongono Two Windows Grey Diptych (2000), significativamente allestiti, in occasione della mostra, in una sala del Museo Morandi: accanto alle composizioni di contenitori del pittore bolognese le quattro “finestre” a strisce bianche e nere paiono, allo stesso modo, degli oggetti collocati su superfici orizzontali e inquadrati frontalmente. I colori sono sommessi, la pittura è tutta di tocco: Morandi sfrutta il soggetto figurativo come un pretesto per allestire una dinamica di toni e di nuances, mentre Scully scarnifica il soggetto e lo riduce alla sua ossatura tonale. Ma, proprio come nella musica di Pärt, la struttura messa a nudo effonde una carica emotiva. La finestra-inserto di Empty Heart (1987), dedicato al figlio primogenito morto prematuramente, è un’elegia, un lamento austero, un varco sigillato per un altrove. “L’arte è una ferita che danza con l’amore”, espressione di una sofferenza esistenziale che aspira alla redenzione.

Sean Scully A Wound in a Dance with Love – Installation view MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022 Foto Ornella De Carlo Courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo
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