Cosa resta di noi — Ruben Montini a Parigi

A fine marzo, all’Oratorio del Louvre (Église Protestante Réformée de l’Oratoire du Louvre), l'artista Ruben Montini ha presentato la performance per coro e organo "Cosa resta di noi - Requiem". 
16 Aprile 2015

  • Ruben Montini - courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini - courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini - courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, Agli amanti.. e anche quelli d’Italia, 2013 310 x 280 cm circa lana tessuta al telaio - photo Ela Bialkowska, OKNO studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI - Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska, OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre
  • Ruben Montini, Agli amanti.. e anche quelli d’Italia, 2013 310 x 280 cm circa lana tessuta al telaio - photo Ela Bialkowska, OKNO studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre

Sostenuto dalla galleria di Mestre Massimodeluca, il progetto di Montini era teso a esplorare i confini tra il mondo della musica e quello delle arti visive, per esprimere una riflessione poetica sul senso dell’Unione Europea. La  performance si è basata sull’esercizio di integrare nel momento stesso dell’esecuzione motivi portanti degli inni nazionali dei Paesi europei con la struttura e i toni del Requiem in D Minor, K 626 di Wolfgang A. Mozart. Questo è avvenuto attraverso un costante lavoro di improvvisazione sia nell’esecuzione che nella composizione in diretta, grazie all’attività di due musicisti: il compositore veneziano Giovanni Mancuso e il giovane compositore francese Benjamin Patrier-Leituz.

Alcune domande a Ruben Montini.

ATP: La performance “Cosa resta di noi” è pensata per esplorare i confini tra il mondo della musica e quello delle arti visive. Come è nata l’idea di questo progetto?

Ruben Montini: Il progetto è parte di una ricerca che porto avanti da qualche anno, a volte non sempre presentandola in pubblico ma coltivandola in studio attraverso tentativi di performance, video, disegni e insieme alla realizzazione di bandiere o installazioni che riflettono la mia condizione di Europeo e, ancora prima, di Italiano all’interno dell’Unione Europea. E’ dunque un progetto ancora in progress che non culmina nella performance che ho presentato all’Oratoire du Louvre, ma di cui Cosa resta di noi costituisce un momento, un episodio. Il lavoro non è stato pensato per esplorare i confini tra il mondo della musica e quello delle arti visive ma di per sé il problema si è presentato svariate volte, e i confini sono stati scavalcati o talvolta soltanto leggermente piegati per poter raggiungere ciò che mi ero preposto.

ATP: Il concetto che hai sviluppato è quello, molto vasto, attinente al concetto di identità europea. Quali tratti comuni sono emersi del popolo europeo? Cosa ti interessa, in particolare, di queste tematiche?

RM: Non posso dire cosa sia emerso di comune del popolo europeo: non credo che all’artista spetti il compito di istruire in questo senso il pubblico, o di illuminarlo su verità scoperte durante il processo di ricerca. Non ho scoperto niente di sconvolgente attinente al popolo europeo.. neppure ho mai pensato che mi interessasse farlo. Mi premeva di più partire da un dato che non ha bisogno di tante spiegazioni, teorizzato e metabolizzato da tutti, quasi ormai scontato, per creare un lavoro che facesse riflettere sulla condizione europea. Infatti, non penso che all’artista spetti, oggi, svelare lo sconosciuto: la figura dell’artista come guida del popolo è un concetto abbastanza anacronistico; è necessario, piuttosto, sollevare tematiche, spingere alla riflessione senza sentire la necessità di istruire.

Cosa resta di noi in questo senso invita alla considerazione di un’ unione possibile, tramite la manipolazione di materiale culturale proveniente dai diversi Paesi dell’Europa (gli inni nazionali) che, in un tentativo molto impegnativo, si è cercato di far convivere all’interno di una musica precisa (il Requiem in D minore di Mozart), di cui a mano a mano si son perse le note caratterizzanti perché mescolatesi a quelle degli Inni, esattamente come in un unione – che sia politica o che sia sentimentale – quando le due (o più) parti si perdono per unirsi in un canto corale.

ATP: In concreto, come hai organizzato la lunga performance della durata di quattro ore?

RM:  Le prime tre ore della performance erano caratterizzate da un lavorio costante di improvvisazione, sia della composizione della musica e sia della sua messa in pratica da parte del coro e degli strumentisti.

I due compositori che ho invitato a partecipare, cui ho delegato appieno la messa in pratica delle mie idee (non essendo io un musicista) – l’Italiano Giovanni Mancuso e il francese Benjamin Patrier-Leituz – hanno avuto il compito di spartirsi i vari movimenti del Requiem di Mozart (14): a ciascun movimento hanno quindi associato due Inni Nazionali (28 in tutto) dei Paesi facenti parte l’Unione Europea. Benjamin armato di computer e stampante, Giovanni armato di carta, matita e fotocopiatrice, hanno potuto comporre live le loro musiche, stampare gli spartiti e provare con i due gruppi che si erano formati (tra coro e strumentisti) le loro composizioni dal vivo. Le prime tre ore erano dunque un vero e proprio workshop: uno spazio di lavoro, di tentativi, di sbagli, di successi… di prova, di allenamento. A questa prima parte è seguita una pausa per il coro e l’orchestra, durante la quale io ho lavorato con i compositori e il direttore d’orchestra, il francese Frédéric Pineau, per strutturare la composizione finale, ovvero stabile l’ordine di esecuzione dei brani che avevano composto nella prima parte della performance, seguendo lo schema del Requiem di Mozart e eliminando quelle parti meno riuscite. L’ultima parte del progetto è stata invece chiamata “prova finale”: una prova appunto, per sottolineare anche linguisticamente l’idea di tentativo, in cui il coro e l’orchestra riunitisi in un unico gruppo, hanno eseguito quanto sperimentato nella prima parte dell’evento.

 ATP: Quale è l’obbiettivo fondamentale di questa performance? 

RM: L’obiettivo principale è stato sicuramente quello di incentivare la riflessione sull’idea di tentativo; un po’ come ho fatto fino a questo momento con altre mie performance, in cui era chiaro cosa volessi raggiungere durante le azioni ma era altrettanto chiaro che non lo sapessi fare (penso a quando mi son tatuato, o a quando ho cercato di entrare in un Museo camminando su dei piedistalli alti oltre 2 metri senza averlo mai fatto prima) e che cercassi, durante lo svolgimento dell’azione di fare del mio meglio per raggiungere l’obiettivo prestabilito. In Cosa resta di noi faccio esattamente la stessa cosa, mettendo in difficoltà la disciplina e la professionalità stessa dei musicisti, chiamati a comporre un requiem in 3 ore dal vivo senza modo di prepararsi o di poter sfoggiare in pubblico un’eccellente performance musicale, lontana dalle mie aspettative, che sarebbe stata probabilmente il frutto di giorni e giorni, se non mesi, di prove.

Mettendo in crisi la disciplina e la professionalità dei musicisti, ho cercato – metaforicamente- di ricreare la crisi europea, non tanto quella economica, ma quella culturale: una crisi dunque positiva, momento di negoziazione, di incontro, di aspirazione a una pacifica convivenza comune, perché necessaria per il raggiungimento di una voce corale.

 ATP: Cosa ti ha spinto ad intersecare il mondo della musica? Cosa hai scoperto collaborando con compositori, un corpo corale e un direttore d’orchestra?

RM: Avevo già lavorato con la musica, ma certamente non in maniera così ampia. In una performance del 2011 per esempio cantavo una preghiera fino a quando non avevo più voce; nel 2012, invece, avevo collaborato con un compositore, l’ americano Mike Salomon, cui avevo chiesto di trascrivere Born This Way di Lady Gaga in una partitura per banda musicale, secondo le regole stilistiche delle marce militari (che era stata poi eseguita per le vie di Trento dal Gruppo Strumentale Giovanile di Lavis in occasione della seconda edizione del Piccolo Festival dell’Arte, organizzato dall’Università degli Studi di Trento). Quest’ultimo lavoro effettivamente ha dei tratti strutturali in comune con quello presentato a Parigi ma non solo: appena arrivai qui a Berlino per una residenza nel 2013, avevo realizzato un piccolo video in cui, senza conoscere una parola di tedesco e senza saper cantare, mi sottoponevo a una lezione di canto, in cui un musicista mi insegnava a cantare Das Lied der Deutschen, l’Inno Nazionale tedesco. Penso che in questi lavori sia esplicito che la mia attenzione non si focalizzi mai sulla musica in sé e per sé, ma che la “usi” come mezzo per analizzare delle tematiche sociali e politiche. La musica impiegata nel contesto politico o religioso assume infatti una connotazione importantissima, che funge da legante per la comunità, più di ogni altra cosa. Per questo mi interessa impiegarla nel mio lavoro, così come mi interessa decostruire o costruire bandiere, simboli in cui chiunque si possa facilmente riconoscere o meno, e che comunque tutti sappiamo decodificare.

Questa volta la difficoltà maggiore è stata lavorare con dei professionisti della musica e far capire loro che la “perfezione” della “performance musicale” non era indispensabile.. ma incitarli, anzi, a non risparmiare fallimenti, cambiamenti, incertezze.

ATP: Quali sono stati le reazioni del pubblico?

RM: Sono stato sorpreso dal vedere diverse persone restare per l’intera durata della performance; la gente si sentiva a proprio agio, penso proprio per il fatto di aver abbattuto qualsiasi muro tra musicisti e pubblico; il pubblico, infatti, poteva camminare liberamente nello spazio, avvicinarsi ai musicisti, al coro, ai compositori.. Qualcuno si è seduto e prendeva appunti.. o non so, magari giocava con qualche programma per il computer o per il proprio smartphone.. non so.. Ma mi è piaciuto tantissimo, proprio perché l’atmosfera che si è creata era di completa libertà. Un cantiere aperto. Qualcuno può aver pensato che la situazione “mi sia sfuggita di mano”: ma era proprio questo l’intento: sparire; lasciare agli altri il posto per la realizzazione delle mie idee, tramite le loro. Demandare. Delegare. Rischiare.

Ruben Montini,   COSA RESTA DI NOI -  Requiem,   presso l’Oratoire du Louvre,   Parigi,   31 Marzo 2015 - Ela Bialkowska,   OKNO Studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca,   Mestre

Ruben Montini, COSA RESTA DI NOI – Requiem, presso l’Oratoire du Louvre, Parigi, 31 Marzo 2015 – Ela Bialkowska, OKNO Studio – Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre

Ruben Montini,   Agli amanti.. e anche quelli d’Italia,   2013 310 x 280 cm circa lana tessuta al telaio - photo Ela Bialkowska,   OKNO studio - Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca,   Mestre

Ruben Montini, Agli amanti.. e anche quelli d’Italia, 2013 310 x 280 cm circa lana tessuta al telaio – photo Ela Bialkowska, OKNO studio – Courtesy dell’artista e Galleria Massimodeluca, Mestre

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