Call it an art fair, Italian style | GRANPALAZZO 2016

Considerazioni e brevi interviste ad alcuni galleristi (entusiasti) della scorsa edizione della mostra-evento.
11 Giugno 2016
GRANPALAZZO 2016,   Zagarolo – Foto  Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016, Zagarolo – Foto Giorgio Benni

Report di Alessandra Arancio

Un confronto riunito di gallerie, per rendere partecipe lo spettatore, i collezionisti e i galleristi stessi, di una proposta sul panorama dell’arte contemporanea. Un evento concentrato e dispersivo allo stesso tempo, in cui ognuno, attraverso il proprio percorso ha fatto delle scoperte in una cornice che ha, senza dubbio, dello straordinario: un Palazzo di notevole importanza storico artistica.

La cosa suggestiva di GRANPAPALAZZO è l’esserne partecipi: il fatto che sia effettivamente fruito come mostra piuttosto che come vera e propria fiera commerciale, permette ai collezionisti e ai visitatori di approfittarne come spazio in cui soddisfare la propria curiosità e avere l’occasione, per chi ne ha possibilità, di appropriarsi di opere d’arte secondo il proprio gusto. I galleristi sono stati piacevolmente soddisfatti delle vendite e altrettanto sono stati soddisfatti i clienti degli acquisti fatti in un contesto così accogliente e piacevole. L’ambiente è stato senz’altro un fattore fondamentale della riuscita della fiera: il Palazzo Rospigliosi e gli affreschi che lo decorano hanno permesso infatti allo spettatore di godersi le opere esposte in un contesto unico, sia per gli spazi interni, che per quelli esterni caratterizzati da squarci di natura che distinguono l’aria di Zagarolo da quella cittadina.

La seconda edizione della fiera ha compreso ben 9 gallerie in più rispetto all’anno scorso coinvolte per aggiungere punti di vista nuovi provenienti da diverse parti del mondo. Il merito va, senza dubbio, all’organizzazione: Paola Capata, Delfo Durante e Federica Schiavo hanno pensato ad una vetrina commerciale “alternativa”; Ilaria Gianni, invece, come curatrice ha saputo, seguendo la propria interpretazione, organizzare un ambiente vivo e vivido capace di suscitare un dibattito critico. Le alternative espositive sono diverse così come gli ambienti che ospitano le opere degli artisti selezionati per ciascuna galleria.

La Collicaligreggi (Catania), alla seconda partecipazione in fiera, ha proposto quest’anno Ra di Martino nella sala delle bandiere, all’ingresso del palazzo, con uno studio sul nuotatore, ispirata al racconto “Il nuotatore”, scritto nel 1964 da John Cheever.L’installazione era formata da diversi elementi tra cui una proiezione del video “On Making a Circle to Swim Under Water” sulla superficie dell’acqua di una bacinella , esposto insieme a sei sculture ispirate al manuale del 1696 intitolato “L’arte del nuotare”, le cui illustrazioni erano riportate su una stampa fotografica su cotone e montate su sdraio da spiaggia degli anni cinquanta. L’artista ha proposto anche una performance – avvenuta sabato 28 maggio che ha completato il lavoro. I galleristi intervistati rispondono:

Come mai avete scelto Ra Di Martino per Granpalazzo?

“La scelta è dipesa da tante cose. Innazitutto la decisione di portare quest’artista è stata fatta assieme agli organizzatori. Essendo una fiera formata da più mostre, abbiamo seguito i loro consigli. Senza contare che la Di Martino ha lavorato molto a questo progetto, cominciato circa un anno fa con la nostra galleria; lo stesso si concluderà con la produzione di un lungometraggio, un film vero. E’ stato senza dubbio utile portare questo suo lavoro in quanto, un appuntamento come Granpalazzo – una fiera piccola ma allo stesso tempo molto seguita da collezionisti e curatori , – le ha dato molta visibilità. In futuro, sicuramente viaggerà non solo nel circuito artistico ma anche in quello dei festival cinematografici.

Qual è la vostra idea di Gran Palazzo, anche in merito al fatto che, come diceva lei stesso, è più simile ad una mostra?

“Siamo abituati a partecipare alle fiere come se il nostro stand fosse una vera e propria mostra, per cui ci siamo trovati a nostro agio con una impostazione come questa. Esistono anche altre esperienze simili come ABC Berlino, per esempio. Conla formula di Granpalazzo, in cui io credo in modo particolare, il collezionista si muove in questo contesto partecipando in maniera molto attiva, non è solo un visitatore occasionale, ma uno che vive per due giorni un esperienza condivisa con artisti, curatori, galleristi. Questa “fiera” aiuta a far conoscere il lavoro degli artisti e allo stesso tempo fidelizzare il collezionista.”

Il fatto che l’ambiente sia ristretto senz’altro aiuta chi lo visita a concentrarsi sulle proprie preferenze e può raccogliere molte informazioni su ciò che più gli interessa.

“Altro aspetto importante è che, per come è stata concepita e organizzata, la fiera consente il formarsi di una sorta di comunità dove gli addetti ai lavori vivono per due giorni in stretto contatto. Si alloggia nello stesso hotel, si mangia tutti insieme, perciò si determina un altro tipo di rapporto, più amicale e anche da questo punto di vista è molto positivo.”

La LAVERONICA (Modica), alla loro prima partecipazione a GRANPALAZZO, ha presentato Maryam Jafri, artista pakistana classe 1972. Le sue opere, come quelle della serie “Product Recall”, si inseriscono in maniera ironica nel contesto a volte serioso dell’esibizione complessiva.  Corrado Gugliotta risponde così alle mie curiosità:

Come mai ha scelto Maryam Jafri per questo speciale contesto?

“Proprio per questo speciale contesto. In questo palazzo, dalla grande storia, ho pensato che le opere di Jafriabbiano una tridimensionalità che funziona molto bene. Oltretutto le sue opere sono molto “pop”, agiscono per contrasto in un ambiente del genere e perciò il risultato èvisibile con maggiore forza.”

Cosa ne pensa di questa fiera così particolare?

“Sono stato invitato e ho accettato ben volentieri perché la trovo molto interessante e in particolare molto ‘umana’; mi sembra che ci sia il tempo giusto e lo spazio giusto per guardare l’arte. In genere le fiere non sono proprio il contesto adatto a godere dell’arte, mentre qui ci sono tante piccole mostre; c’è un’attenzione da parte dei collezionisti che normalmente manca.”

È forse anche grazie al fatto che la partecipazione è più rilassata e mette più a proprio agio il visitatore?

“Senz’altro, il visitatore è più rilassato e approfitta di momenti di condivisione che solitamente nelle fiere non c’è!”

Per quanto il periodo espositivo sia breve è decisamente concentrato

“Assolutamente sì, tra l’altro con molte persone che partecipano alla fiera si conoscono già e quindi è anche un’occasione di condivisione in un ambiente diverso”

So infatti che proprio questo è uno dei presupposti su cui si basa questa fiera, il fatto che la rete di gallerie coinvolte siano apprezzate e riconosciute dagli organizzatori

“Sì, si vede che le gallerie invitate sono state scelte perché gli organizzatori ne stimano il lavoro e questo è gratificante.”

Anche voi perciò vi siete affidati alle linee curatoriali complessive degli organizzatori, ne siete soddisfatti?

“Assolutamente sì.”

La Workplace Gallery propone, nella sala delle allegorie, Marcus Coates, londinese del 1968 che ha compiuto un’indagine sul gesto rituale nella società contemporanea, interpretando in prima persona la figura mistica (“Indigenous British Mammals”) che catalizza l’attenzione e proponendo oggetti totemici di cui indagare il significato come “Bassbone/Goose caller”. “L’artista che partecipa a questa edizione è stato scelto dagli organizzatori”, spiega il gallerista.

Quindi lei si è del tutto affidato alla loro decisione?

“Sì, sono molto contento della decisione di Ilaria Gianni perché penso che Mooney si adatti perfettamente a questo contesto. Questa è la nostra seconda partecipazione al progetto perciò sapevamo già cosa aspettarci; ci è talmente piaciuta la scorsa edizione che siamo stati molto contenti di partecipare anche quest’anno.”

Mi potrebbe indicare alcune differenze tra le due edizioni?

“Beh, conoscendo il contesto è più facile anche l’approccio, perché si capisce meglio come funziona e in cosa è profondamente diverso da una comune fiera d’arte contemporanea: l’importanza data al tempo che si dedica alle opere e alla condivisione con i visitatori.”

Tra le opere esposte nell’ala ovest del Palazzo, invece, al primo piano, c’erano quelle di Doug Ashford (Rabat, Marocco 1958) presentato dalla galleria  Wilfried Lentz di Rotterdam. In particolare, l’opera “Next Day” (2015-2016), ispirata alla tragedia dell’11 settembre, riproponeva le 28 pagine dell’edizione del 12 settembre del New York Times con forme ritagliate e colorate che si impongono dando una nuova lettura a tale notizia che ha cambiato la Storia. Il gallerista è talmente impegnato a descrivere ai collezionisti i lavori in mostra che non ha abbastanza tempo da dedicarmi per un intervista, ma è chiaro, dal suo atteggiamento, di quanto sia soddisfatto.

Dalle mie conversazioni con i galleristi ho intuito che la chiave fondamentale di Granpalazzo è la “condivisione” che ha consentito di ottenere un risultato unitario di fruizione che ha incuriosito e gratificato le gallerie, i collezionisti e gli stessi visitatori che hanno goduto di una fiera che, sotto le mentite spoglie, è in realtà un’eclettica mostra d’arte contemporanea.

GRANPALAZZO 2016,   Zagarolo – Foto  Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016, Zagarolo – Foto Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016,   Zagarolo – Foto  Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016, Zagarolo – Foto Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016,   Zagarolo – Foto  Giorgio Benni

GRANPALAZZO 2016, Zagarolo – Foto Giorgio Benni

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