Raphaela Vogel: Son of a Witch | Berlinische Galerie

Alla Berlinische Galerie la personale di Raphaela Vogel "Son of a Witch" curata da Olaf Stüber in occasione del festival VAM ‘18
20 Dicembre 2018
Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

Testo di Dalia Maini — Da Berlino 

You are funny to ask if I’m a virgin/ because, of course, I fucked myself (Rebecca Tàmas)

Sotto l’egida cattolica di “streghe”, secolarmente sono state rappresentate le insicurezze dell’uomo di genere maschile. Infatti due secoli di «terrorismo di stato», il XVI e il XVII, hanno insegnato loro a temere il potere delle donne, poiché generatrici di vita e custodi del sapere primordiale della nascita. Per ridimensionare la forza della donna e sottoporla al controllo maschile, ella venne raffigurata come essere sui generis «lussuriosa e incapace di governarsi». Silvia Federici, teorica internazionale “delle streghe” studia e afferma il carattere costruito dei ruoli sessuali nella società capitalistica1. Lei nota come la sessualità femminile venne sanzionata, criminalizzando quelle attività non orientate alla procreazione e al sostegno della famiglia; la prostituzione, la nudità e le danze furono proibite e la sensualità collettiva al centro della vita sociale nel medioevo divenne «incontro politico sovversivo».
La Strega infatti, è diventata simbolo di martirio per i movimenti femministi e postcoloniali, poichè exempla del contrasto al pensiero maschile dominante, votato all’assoggettamento dello sconosciuto e del diverso-da-sè. Le donne/streghe intrinsecamente indomabili ed autonome sono quindi da zittire, da espropriare e soggiogare del corpo, epurare con il fuoco. Le Witches di allora sono le Bitches di adesso, quelle che si riuniscono per dare nuovo valore alla stregoneria, come qualità in cui investire nel futuro. Non si dovrebbe aver paura di essere strega, anzi si dovrebbe fare di tutto per esserlo, affermando il lato xeno, alieno e selvaggio, andando incontro e servirsi dei poteri, saperi oscuri e secolari, indossando mantelli di velluto rosso e avere occhi di smeraldo.

Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

Infatti non vedevo l’ora di vedere come si fosse vestita Raphaela Vogel per l’inaugurazione della sua prima mostra personale berlinese Son of a Witch curata da Olaf Stüber in occasione del festival VAM ‘18 (video a Midnight) alla Berlinische Galerie. Ho sempre trovato i suoi outfit accuratamente dissonanti e per questo meravigliosamente spontanei. Un mettere insieme cose completamente casuali, una pelliccia con un pantalone di tuta sdrucita e degli stivaloni marroni. Insoliti da guardare, ma che incuriosiscono perché reinterpretano le nozioni comuni di buon gusto e di stile, fanno apparire la donna come padrona della sua immagine e non assoggettata allo sguardo dell’altro, quasi sempre maschile. Ciò che mi ha colpito del suo abbigliamento in occasione di Son of a Witch, sono stati degli stivaletti dorati e pitonati e i suoi capelli selvaggi, che mentre la salutavo, facevano tutt’uno con la morbida pelliccia bianca che indossava. Sembra una regina capricciosa appena uscita da una delle sue opere video. Ero ancora più curiosa di vedere la mostra, quindi mi sono diretta verso la sala in cui è stata allestita l’istallazione.

L’entrata è resa circolare da un candido ornamento tridimensionale che sembra riprendere i motivi iconici dell’arte orientale, draghi e vortici, oppure insetti e soli, immediatamente rimanda ad un portale magico, il cui mondo oltre è sconosciuto. Varcata la soglia si entra in una struttura di ferro che ingabbia la sala. Sembra di essere in una cassa toracica o in una cattedrale nomade, le cui colonne, dei tubi di ferro, sbucano da mani di legno di stampo buddista. In fondo alla stanza uno schermo rivolto un po’ di sghembo rispetto al pubblico; il proiettore da cui partono le immagini è anch’esso nascosto da una mano legnosa, sembra quasi che il flusso di luce esca proprio dall’arto, come un superpotere. Le immagini si susseguono sullo schermo, dando vita all’opera video Sequenz (2017). Una versione distorta e solenne del notturno di Frédéric Chopin pervade lo spazio e da suono all’atmosfera.

Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

La forma predominate è il cerchio, tondo è il letto su cui Raphaela si dimena, tonda è la caverna celeste in cui respinge e attrae la camera che la filma, tondo è il suo sedere mentre lo schiaffeggia, circolare è la rotonda ripresa dall’alto, la cui struttura centrale sembra un fiore o un ingranaggio. Questa ricorrenza mi ha fatto pensare alla definizione di Bubble Vision2 coniata da Hito Steyler che fa riferimento al processo marcatamente disincarnato di vedere il mondo attraverso il multiverso sferico costituito dalla realtà virtuale. Steyerl delinea lo spazio in cui si entra nella VR con la forma di sfera, quindi è questo il solido in cui ci trasponiamo attraverso l’uso della macchina tecnologica. La Bubble Vision è una struttura invisibile ma di crescente potere, Steyler afferma infatti che: “Clicking on a spherical icon often transports users into realistic virtual worlds”. Quindi la sfera ci accompagna in un mondo in cui siamo lentamente sostituiti dalla tecnologia e dai sistemi di intelligenza artificiale. Sferico è il globo in cui la maga legge le sorti dell’uomo, ma sferiche sono anche le videocamere di sorveglianza.

Nelle video istallazioni di Vogel, di cui è regista, cameramen e soggetto, la si vede spesso in azione di combattimento, di rivolta, di irrequietezza nei confronti dell’elemento tecnologico di cui si serve per realizzarli. Go-pro posizionate su canne da pesca, selfie-stick o droni insetto, sono le incarnazioni dello sguardo costante a cui siamo assoggettati. Questo controllo del dominio del visibile, viene pensato da Vogel in una chiave futura e apocalittica, in cui è incarnato in una tecnologia metafora del dominio maschile. Una delle sequenze dell’opera video, ad esempio, la vede di spalle, seduta su di un marciapiede, sulla sua schiena è proiettata l’ombra del drone che la riprende. L’ombra facendo contrasto con la maglietta candida sembra delineare la struttura ossea della spina dorsale e delle costole. Qui la presenza della tecnologia sembra costituente in due modi, nel primo perché senza di essa non ci sarebbe immagine, nella seconda perché attraverso la proiezione “ossea” sembra dare struttura al corpo umano dell’artista stessa. L’ identità della donna diventa costruzione definita e opposta dall’uomo in un mondo alieno. Oppure ancora la si vede dimenarsi tra lenzuola bianche con in mano un infantile scettro unicorno, l’immagine distorta e sdoppiata dal filtro specchio è caleidoscopica, sembra voler ricreare la causa dell’irrequietezza del sonno. Un incubo forse causato dalla presenza della telecamera stessa?

Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel - Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 - Doku Berlinische (Max Sprott)

Raphaela Vogel – Son of a Witch | Berlinische Galerie 2018 – Doku Berlinische (Max Sprott)

La pratica di Vogel vede anche in quest’occasione l’intersezione del video con l’istallazione, il setting riprende l’ambiente in cui i film vengono girati. Lo spettatore si trova a poter esperire personalmente l’atmosfera degli ambienti fisici delle immagini in movimento. Osservando con più attenzione le mani/piedistalli e le colonnine di ferro, ho riscontrato delle similitudini con l’arto di Raphaela che mantiene il selfie stick in varie sequenze del video. Una mano che quindi gestisce il potere di osservare e che osservava. L’istallazione ha fatto si che anche noi pubblico ci trovassimo nella stessa posizione dell’artista, assoggettando i nostri corpi allo sguardo disincarnato della macchina, oramai luogo di nuovi culti e di nuovi poteri. Rendendolo visibile, attraverso le immagini del proprio mondo, Vogel svela tutti i clichè e gli stereotipi, offre la possibilità di combatterlo con la magia quando le soglie della civiltà saranno distrutte.

abracadabra.

1Il suo ultimo testo è «Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria», Mimesis, 2015

2 Hito Steyler parla di Bubble Vision il 21 Febbraio 2018 in occasione della lecture alla Yale School of Art (YSA).

Aufbau BG ©Anton Stüber

Aufbau BG ©Anton Stüber

Aufbau BG ©Anton Stüber

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