Matteo Mottin: A Marzo dell’anno scorso gli artisti di “Pure Disclosure” sono stati coinvolti in una residenza di un mese coordinata da Siliqoon presso lo spazio Sandra Natali – MAMbo a Bologna, collaborando con una selezione di aziende artigiane del luogo. C’è una relazione di continuità tra questa mostra e il progetto dello scorso anno?
Zoe De Luca: Le opere esposte in Marsèlleria sono quelle che Agudio, Keller, Magnani e Si-Qin hanno concepito durante la residenza, e che in questi mesi sono state progettate e prodotte. Dai trattamenti estetici per alluminio al reverse prototipyng, dalla ceramica ai tessuti tecnici per abbigliamento sportivo, gli artisti hanno lavorato a stretto contatto con le aziende, affrontando insieme le sperimentazioni e le problematiche che ogni materiale o tecnologia inevitabilmente si porta dietro. La contaminazione è continuata nella scelta delle aziende grazie all’aiuto di Confartigianato, nell’uso degli spazi studio offerti da Xing e dall’affiancamento di un team di studenti dell’Accademia delle Belle Arti, la cui presenza ha contribuito a sfaccettare l’esperienza e ad aprirla in più direzioni. Il format del progetto è trasparente ed esportabile. L’intento è portare gli artisti nei distretti produttivi e farli interagire con il contesto ospitante: non solo producendovi delle opere, ma generando delle vere connessioni con le realtà culturali del luogo e instaurando un dialogo con studenti e curiosi, ampliando così le parti coinvolte ed il concetto di ‘addetti ai lavori’.
MM: Da dove nasce e cosa significa il titolo della mostra, “Pure Disclosure”?
ZDL: Il titolo vuole essere sia didascalico che evocativo. Riflette l’approccio limpido al processo produttivo nel quale ogni spicchio ha rilievo, senza che sparisca nell’anonimato che spesso a qualcuno si riserva. Evoca l’energia fluida tipica delle concezioni dualistiche.
MM: Nel testo scrivi: “le opere appaiono come prodotti post-capitalisti presentati secondo logiche espositive commerciali, creando così un attrito con la loro natura spirituale, critica, ironica”. Potresti approfondire brevemente questo meccanismo?
ZDL: La frizione sta nel fatto che tutte le opere, seppur in modo differente, si presentano come artefatti indirizzati al consumo contemporaneo, richiamando i supporti tipici della promozione aziendale ed esasperandone gli espedienti cosmetici e pubblicitari. I lavori in mostra sublimano così una realtà globalizzata, e allo stesso tempo ne rappresentando il processo come risultante di una relazione artista-azienda. Inoltre, gli schemi espositivi riprendono le consuetudini dello showroom (come Marsèlleria, che periodicamente ne assume la funzione) e delle fiere (come MiArt, che inaugura lo stesso giorno della mostra). In questo senso, le modalità secondo le quali Pure Disclosure è stata contestualizzata non sono casuali, e un anno di incubazione è servito anche ad inquadrare questi elementi.
MM: Ricollegandomi alla domanda precedente, in che modo è stato concepito il display?
ZDL: Abbiamo cercato di articolare i lavori nello spazio in modo da accentuarne le peculiarità. Il simulacro di Agudio come un complemento d’arredo innestato al di fuori del suo contesto originale, i manichini di Keller come reali espositori di abbigliamento, il laboratorio di Magnani come un campionario appena consegnato dai magazzinieri di un’ipotetica startup, la stampa di Si-Qin come un espositore pubblicitario monofacciale.
MM: Che ruolo e “peso” ha avuto il confronto con gli artigiani della provincia di Bologna nella creazione e nell’identità delle opere? In che modo sono stati recepiti e accolti i progetti degli artisti?
ZDL: Gli artigiani hanno, molto semplicemente, influenzato la produzione con la loro stessa presenza, allestendo una visione. Durante le visite in azienda i materiali e le tecnologie si impastano sempre con le persone che le utilizzano. Questa è senza dubbio una storia, genera idee che covano ed ispirano. Ogni progetto è stato accolto come un momento in cui fermarsi un secondo, riflettere sulle proprie potenzialità produttive e sperimentare. Da questo punto di vista siamo stati molto fortunati nell’aver trovato “dall’altra parte” un interlocutore attento e disponibile, è raro e prezioso.
MM: A In che modo si è evoluta la visione curatoriale di Siliqoon dalla nascita alla realizzazione di questo progetto? Potresti già darci qualche anticipazione sulle sue evoluzioni future?
ZDL: La visione curatoriale si modella ed evolve attraverso un dialogo costante con gli artisti. Un discorso “debole e diffuso” spesso indirizzato verso una intelligenza pratica legata a come fare le cose. Fornire i migliori strumenti intellettuali e tecnologici che conducono alla realizzazione di un’opera è attualmente il nostro topic. Spesso nella nostra prassi curatoriale cerchiamo quindi di far incontrare due “vision”, quella aziendale e quella dell’artista. Questo incontro generativo è quello su cui stiamo lavorando.
Con le esperienze di Bio Awake e Pure Disclosure, Siliqoon sta uscendo dalla ‘fase beta’ in cui abbiamo affinato la ricerca e testato l’assetto. Stiamo quindi lavorando alla prossima residenza e ad altre collaborazioni e produzioni, inclusa la prima edizione di Qway, una pubblicazione virtuale di trend forecasting.
Fino al 10 Maggio 2015.