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Dare ordine al caos | Fabrizio Prevedello alla Galleria Cardelli & Fontana

[nemus_slider id=”70433″] — Tutta la sua poetica sembra condensarsi nel titolo della sua ultima mostra, “Interno”, ospitata alla Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) fino al 18 novembre 2017. Interno: dal latino internus, «entro, tra»; ciò che è dentro, la parte di dentro....

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Tutta la sua poetica sembra condensarsi nel titolo della sua ultima mostra, “Interno”, ospitata alla Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) fino al 18 novembre 2017. Interno: dal latino internus, «entro, tra»; ciò che è dentro, la parte di dentro. La parola, che spesso definisce un luogo di casa, un ambiente domestico, è utilizzata dall’artista Fabrizio Prevedello come spazio interiore, una zona di scavo e di riflessione. La narrazione visionaria dell’artista inizia dall’esterno, laddove la mostra è nascosta da un leggero strato di colore bianco che l’artista ha applicato alle vetrate della galleria. Il colore, steso in modo veloce e disomogeneo, è interrotto dalla parola “Interno” che, tracciata con un dito, lascia intravedere piccoli frammenti di opere, tracce di materiale, indizi di una ricerca che da sempre connota il percorso artistico di Prevedello. “Volevo ottenere l’effetto che solitamente si trova nei cantieri o nei negozi prossimi all’apertura. Con vecchi giornali, tessuti o, appunto, vernice, si oscurano i vetri per impedire che da fuori si veda ciò che succede all’interno”.

Nei racconti che l’artista ha condiviso con me, emerge una chiara volontà di tracciare un vero e proprio percorso espositivo: tappe o capitoli di un racconto che ci riporta sempre al più vasto e appassionato vissuto esistenziale di Prevedello, che con continuità ci conduce in cave antiche, in spazi millenari silenziosi e solitari. “Con interno, mi riferisco a qualcosa di intimo, raccolto. Un luogo che conserva una sua sacralità”.
Lo stare ‘tra’ le cose è una dimensione propria anche della fotografia dell’invito della mostra: l’immagine ravvicinata del muso di una capra.

“Girando per delle cave, è abbastanza normale incontrare capre e mufloni. Entrambe hanno un occhio molto particolare: la pupilla è rettangolare. La prima volta che l’ho vista, sono rimasto molto sorpreso.  La capra, un animale peloso, su quattro zampe, con le corna, possiede una occhio che definirei ‘tecnologico’, squadrato. E’ stato spiazzante fare questa scoperta. Indagando, ho scoperto che questi animali hanno la pupilla con questa particolare forma per avere una visione panoramica che gli consente di controllare il territorio in cui si muovono. (…) Per questa mostra sono andato a cercare delle capre in cattività per fotografarle. L’obbiettivo era di utilizzare la foto di una capra per l’invito della mostra: guardando l’invito della mostra si osserva un occhio che, a sua volta, guarda te. L’occhio appartiene ad una capra e quindi il dialogo che intercorre tra due esseri che si osservano. Volevo raccontare, con questa immagine, l’incomunicabilità tra due esseri che si osservano… ma anche descrivere un modo per guardare se stessi e scontrarsi con l’incomunicabilità, il mistero che ogni essere racchiude dentro di sé…”.

Fbrizio Prevedello, Rosone (186), 2017 ferro, gomma, vetro  cm 311x284x200 Ho costruito una vetrata circolare utilizzando profili in metallo (rimanenza di un’altra scultura) e vetri di recupero di tipologie diverse: lisci, smerigliati, vetri camera… - Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) - Foto Dario Lasagni
Fabrizio Prevedello, Rosone (186), 2017 ferro, gomma, vetro cm 311x284x200  – Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) – Foto Dario Lasagni

Se l’occhio della capra è utilizzato dall’artista come introduzione, le relazioni e i nessi tra le varie opere iniziano già con “Rosone”, la grande installazione che si vede dall’ingresso. La forma circolare dell’occhio si ritrova nel grande cerchio di ferro che, al suo interno, raccoglie 26 frammenti di vetro dalla forma rettangolare. Utilizzando profili metallici recuperati da scarti di un’altra scultura, l’artista ha composto un dedalo composto da vetri di diversa fattura, lisci, smerigliati, sottili o più resistenti.
Quest’opera è installata in una parte in ombra della grande sala espositiva. L’artista ha pensato di chiudere l’ampia finestra che dà sul giardino per riaprirne solo una piccola parte, installando mediante del piombo fuso delle sottili lastre di marmo e onice. Lievi sfumature rosa rigano le superfici e attraversate dalla luce, ne modificano il colore – Colore (201), 2017, marmo, onice, piombo. L’artista voleva “evocare simbolicamente” un’atmosfera data dalle ombre, in questo caso mediante il rosa pallido dell’onice.

Poco lontano c’è un altro intervento coerente con il concetto di ‘internus’: Colore (198), 2017 (marmo Bardiglio Fiorito). Questa opera, installata dopo aver ricavato dalla muratura un piccolo interstizio, consiste in un ritrovamento dell’artista nelle sue solitarie passeggiate nelle cave. Prevedello ha trovato un frammento di marmo che, cosa abbastanza rara, conserva i segni della lavorazione compiuta in un tempo indefinito da un cavatore. Memore di un intervento senza nome, questo piccolo blocco di marmo conserva così, grazie all’intervento dell’artista, due storie: quella passata e quella contemporanea. “Le linee che si vedono in una superficie sono le tracce evidenti dei colpi dati dal cavatore con uno scalpello. Il trasporto dalla montagna, in alto, dalla cava a valle, veniva fatto con difficoltà. Gli estrattori portavano a valle lo stretto necessario. Ogni pezzo staccato veniva squadrato e levigato per far evidenziare le linee del marmo che lo caratterizza come fiorito”.

“Dando ordine caos”, come spesso ripete nelle sue spiegazioni, l’artista cerca di alludere, nell’allestire la mostra, ad un luogo ‘sacro’. Senza necessariamente pensare a qualcosa di religioso, Prevedello concepisce il sacro nella sua radice etimologica: attaccare, aderire, avvincere… ma anche seguire, accompagnare.
Un lavoro,  a mio parere, condensa queste intenzione: Senza titolo (63) del 2011; una lastra di marmo Arabescato Cervaiole, appesa al muro. A una prima occhiata non si distingue subito che la lastra ‘sfuma’ in una superficie di gesso. L’artista descrive questo intervento come un ‘aumento di superficie”: il marmo sembra leggerissimo, appena sospeso dalla parete grazie a degli interventi in ferro.

Nella parete a fianco,  Senza titolo (195), 2017 è formato da marmi di recupero, scarti, dalla superfici graffiate dagli strumenti utilizzati nelle cave. L’artista sembra attratto dalle imperfezioni o meglio, dai risultati degli interventi che, senza nessuna velleità artistica, hanno compiuto i cavatori. “Ho lascito nelle superfici le tracce degli attrezzi che hanno tagliato la montagna. Ho recuperato delle ‘fette’ di marmo che solitamente vengono scartate perché imperfette o rovinate”. L’artista ha composto un’ architettura che rimanda a degli edifici sacri, per lo più toscani, dove i colori delle pareti esterne si caratterizzano per l’alternanza delle cromie del marmo.
La seconda sala è quasi ostruita dalla grande installazione di ferro, marmo Verde Alpi e legno (Senza titolo (169), 2017). Alta oltre due metri, la struttura si auto sostiene e, nonostante formata da materiale pesante come il marmo, la sensazione che dà è quella di un’estrema leggerezza. Spiega l’artista: “Il marmo di questa scultura è tagliato in lastre montate parallelamente tra loro. Se osservate lateralmente le lastre scompaiono nella composizione di linee verticali della struttura in ferro che le sostiene e le solleva facendo apparire leggero il pesante marmo. Il marmo conserva nella trama e nella spaccatura irregolare del profilo le caratteristiche del luogo da cui proviene. La struttura che avvolge e contiene le lastre è in ferro per cemento armato”.

Fabrizio Prevedello, Interno - Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) - Foto Dario Lasagni - Installation view
Fabrizio Prevedello, Interno – Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) – Foto Dario Lasagni – Installation view

Nell’angolo della stanza un ‘trittico’ dal titolo insolito: “Ragazzo! Bisogna disegnare! (e cinque) (205), 2017; Ragazzo! Bisogna disegnare! (e undici) (206), 2017; Ragazzo! Bisogna disegnare! (e avanti) (207), 2017. Le loro forme ricordano la grande opera di Brancusi, “La colonna infinita”, e sono formate da un felice connubio tra  gesso e marmo Ordinario. Racconta l’artista in merito a queste opere: “Ogni mostra ha in sé un pezzo della nostra storia. Queste sculture, in particolare, rappresentano un momento per me molto felice. Ho chiamato: ragazzo bisogna disegnare! Questa frase me l’ha ripetuta moltissime volte uno sculture di Carrara, Remo Pietra, che ho conosciuto a Berlino. Artigiano bravissimo, ha lavorato per tanti artisti che spesso seguiva, lasciando Carrara per i loro viaggi attorno al mondo. Per lo più ha vissuto a Parigi, era innamorato di questa città. L’ho incontrato in un laboratorio di un artista per cui entrambi lavoravamo; lui gli faceva le sculture in marmo e io gli spazzavo il pavimento. Ci siamo visti e rivisti molte volte a Berlino. Una delle tante frasi che mi ripeteva nei nostri incontri è: “Ragazzo, bisogna disegnare!!!”. Racconta Prevedello: “Questa frase, che diventava perentoria, dai toni dispotici, mi è rimasta nella mente anche molti anni dopo. Questo inverno guardavo i lavori di Brancusi; negli autoritratti che si faceva nel suo studio, era molto spesso seduto. Guardando queste foto mi è venuto in mente Remo Pietra. Il cerchio per me si è chiuso”.

Prevedello ha intravisto, in blocchi di marmo di origine differente. Facendo incontrare gesso e marmo, l’artista utilizza il marmo come forme architettoniche di scarto: lastre che solitamente rivestivano edifici, pavimenti ecc. Scarti rivificati per comporre quella che potrebbe essere una colonna. Torna dunque l’associazione con la “Colonna Infinita”. Elementi casuali, di scarto e recupero, acquistano nuovamente delle virtù architettoniche, come se ritornassero ad assumere, idealmente, la loro funzione di coperture, rivestimenti, pellicole di un corpo abitato.
Chiude il percorso “Sceso da una cava sul monte dentro lo zaino (pensando a Carlo Scarpa che pensava a Costantin Brancusi) (194)”, 2017. L’artista ha raccolto un pezzo di marmo in una vecchia cava delle Alpi Apuane e lo ha portato a valle in spalla. La sua forma, spiega l’artista, “è determinata dalla struttura del monte e dal lavoro di estrazione del cavatore. Senza alterarlo l’ho posato su uno specchio d’acqua”.
Lo trova perfetto, senza bisogno di interventi ulteriori, così l’artista adagia la “scultura” sopra uno specchio d’acqua: “Non ho una grande confidenza con questo elemento e, utilizzandolo, ho voluto confrontarmi con una forma di sacralità, data dalla distanza”.

Fabrizio Prevedello, Interno - Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) - Foto Dario Lasagni - Installation view
Fabrizio Prevedello, Interno – Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) – Foto Dario Lasagni – Installation view
Fabrizio Prevedello, Senza titolo (195), 2017  ferro, marmi  cm 205x97x69 - Senza titolo (169), 2017 ferro, marmo Verde Alpi, legno  cm 220x105x46  - Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) - Foto Dario Lasagni
Fabrizio Prevedello, Senza titolo (195), 2017 ferro, marmi cm 205x97x69 – Senza titolo (169), 2017 ferro, marmo Verde Alpi, legno cm 220x105x46 – Courtesy Galleria Cardelli & Fontana (Sarzana) – Foto Dario Lasagni