Sabato 7 novembre è stato l’ultimo giorno di PER4M, la sezione di Artissima dedicata alle performance, scandite in quattro per giornata. Oggi ci sarà la premiazione del vincitore – il Prix K-Way Per4m – ed è assegnato da Marie de Brugerolle, Ana Janevski, Silvia Fanti e Giorgio Fasol.
L’italiana Chiara Fumai (APalazzo, Brescia) è stata la prima ad esibirsi, con la performance “Black Pullet”. Come è di consueto nella sua pratica da performer, la Fumai ha incarnato due personaggi, facendo passare l’interpretazione come una vera e propria possessione. Senza scarti e senza soluzione di continuità, il monologo che l’artista proponeva passava dall’uno all’altro personaggio, senza cambio di tono o di volume della voce. Prima dotta e saccente gallerista stretta in una pletora di retorica, in uno studio con assistenti che dipingono un plinto, spolverano la mobilia, impostano un televisore, portano del vino in occasione dell’opening; poi, ci accorgiamo che queste assistenti hanno dei passamontagna e che la gallerista si è trasformata in un violentissimo serial killer, che descrive minuziosamente e tenacemente le sue pratiche sadiche, dallo squarciare il viso della malcapitata, al spaccarle la testa con un bastone. Chiara Fumai pone attenzione e interesse sul dato che si stia parlando, in entrambi i casi di “possessione”, del mondo e del sistema dell’arte: la gallerista suddetta e l’artista, nonché la preda dell’efferato aguzzino. Se ne ricavano, di conseguenza, i messaggi celati della performance. Il tutto si conclude con la morte / svenimento dell’artista dopo 10 minuti e col suo restare distesa a terra per 40.
La seconda performance della giornata è stata “Apology” di Oscar Santillan (Copperfield, London). Si tratta di una riflessione sul modo di “categorizzare” gli uomini nelle epoche precedenti, con particolare riferimento a due fatti: l’analisi, da parte di una giunta creata da Carlo V nel 1550, degli indigeni delle Indie Occidentali, per capire se fossero dotati o meno di anima; gli studi del fisiologo ottocentesco Paul Broca, che volevano dare supporto scientifico alle tesi razziste. Ecco, partendo da qui nasce la performance: un ragazzo e due donne si aggiravano all’interno di un cerchio creato dagli spettatori, si soffermavano ad osservarne uno in particolare e lo analizzavano in modo scientifico ed obiettivo: “due occhi, una bocca, un cuore, due gambe”… e così discorrendo per altri presenti. Mettere in evidenza che tutti siamo uguali, descrivendoci tutti allo stesso modo, ma, insieme, tutti siamo diversi è il messaggio, abusato e visitato parecchie volte.
Il terzo ad esibirsi è stato il bolognese Flavio Favelli (Francesca Minini, Milan / Studio Sales di Norberto Ruggeri) con la performance “Tango”. L’origine e lo spunto di questa è un video girato il 19 aprile 1989, che ritrae il calciatore Diego Armando Maradona mentre si allena in preparazione alla semifinale della coppa UEFA tra il Bayern Monaco e il Napoli. Flavio Favelli, artista attento alla storia intrinseca appartenuta al materialismo degli oggetti – che recupera e unisce in collage legati alle memorie della sua vita – è interessato, in questo caso, al rapporto quasi erotico e carnale che Maradona ha con la palla, con la sua superficie ruvida. Poi, si concentra anche sui movimenti del calciatore, sul palleggiamento quasi giocoso, danzereccio. Così, per esaltare e traslare questi aspetti, Favelli ha invitato un giocatore di calcio professionista, in modo che eseguisse un ordinario allenamento calcistico, mentre lui cercava di mimare i movimenti di Maradona, senza però l’uso della palla.
L’ultima performance della giornata è stata quella di Christian Falsnaes, artista vivente a Berlino che si concentra sempre sul coinvolgimento degli spettatori durante l’atto performativo. In questa occasione l’artista non era presente, ma ha delegato il compito ad una performer che ha saputo intrattenere il pubblico in modo attivo e iper efficace. Lei, con un tono di voce sostenuto, chiedeva agli spettatori di spostarsi, di andare in sua prossimità, di non aver timore. Quasi con impostazione di minaccia, chiedeva di sorridere, di battere le mani, di urlare, di dire parole e, poi, di andare verso di lei e farsi loro stessi performer, ballando come lei indicava, toccandosi come lei chiedeva, toccandosi come lei voleva. Coinvoltissimo il pubblico, sia partecipante che osservante: sicuramente un modo per chiedersi come è agire da performer e abbandonarsi al ritmo dell’atto performativo e come invece è restare solo spettatori attenti, ma non partecipi.