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Reporting from the lagoon | Dire il tempo. Roman Opałka e Mariateresa Sartori

Report di Irene Bagnara — Il tentativo di contenere l’infinito in forme finite è la chiave del lavoro artistico – o, per meglio dire, del progetto esistenziale – di Roman Opalka. In Dire il tempo, mostra ospitata nelle sale della...

Il suono della lingua, 2008. Courtesy dell’artista, Galleria Michela Rizzo,Querini Stampalia. Ph. Michele Sereni

Report di Irene Bagnara —

Il tentativo di contenere l’infinito in forme finite è la chiave del lavoro artistico – o, per meglio dire, del progetto esistenziale – di Roman Opalka. In Dire il tempo, mostra ospitata nelle sale della Casa Museo della Fondazione Querini Stampalia e curata da Chiara Bertola, la ricerca di Opalka è accostata a una selezione di opere di Mariateresa Sartori – artista veneziana legata a Opalka da una profonda amicizia – e alle collezioni antiche dell’istituzione lagunare.
L’influenza del maestro polacco è palpabile nei lavori di Sartori, impegnata nella traduzione visiva di movimenti spaziali e flussi temporali. Disegni, fotografie e installazioni audio ci accompagnano a Il tempo del suono. Onde: il segno del carboncino sulle pagine bianche è la trascrizione grafica del rumore prodotto dal moto ondoso sulla battigia, il tentativo sinestetico di imbrigliare ciò che per sua stessa natura sfugge a ogni tipo di ingabbiamento concettuale e percettivo.
Spinto da una volontà analoga, Roman Opalka decide nel 1965 di dedicarsi al progetto Dètails 1965/ 1 – ∞, ossia la scrittura metodica, lenta ma continua, progressivamente evanescente di numeri in successione, partendo dall’uno per arrivare – nell’intenzione mai realizzata di Opalka – alla cifra altamente simbolica di 7´777´777.

Roman Opalka, Esercizi, 1965. Collezione Marie-Madeleine Gazeau Opalka. Ph. Michele Alberto Sereni
Il tempo del suono. Onde, 2019. Courtesy dell’artista, Galleria Michela Rizzo e Galleria Studio G7. Ph. Michele Sereni

Nella mostra il primo Dètails, in cui i numeri campeggiano chiari sullo sfondo scuro, si interfaccia direttamente con l’ultimo, incompiuto, in cui i caratteri si confondono, bianco su bianco, realizzando una fusione asintotica fra contenuto e contenitore. Un ciclo di autoritratti fotografici – che l’artista era solito realizzare a conclusione di ciascuna tela – accompagna il visitatore lungo uno stretto corridoio: un viaggio temporale in pochi passi, un memento mori, monito alla transitorietà della vita e alla natura effimera del corpo. L’artista si offre al nostro sguardo con grande onestà, una figura evanescente che progressivamente si disperde nel fondale bianco, esattamente come accade ai suoi numeri. Nel lavoro di Opalka la vita, nella sua estensione temporale, si fa arte, il progetto artistico diventa l’esistenza stessa.

La mostra a Venezia è parte di due capitoli: nella città lagunare, nelle sale del Museo della Querini Stampalia e a Milano nello spazio di BUILDING (Roman Opałka, una retrospettiva – A cura di Chiara Bertola – BUILDING, Via Monte di Pietà 23, Milano – 4 maggio 2019 – 20 luglio 2019).
Entrambe le mostre sono incentrate sul programma OPAŁKA 1965 / 1-∞.

Roman Opalka, Détail 1-35327, 1965. Courtesy Estate di Roman Opalka e Muzeum Sztuki, Łódź – Foto Michele Alberto Sereni
Mariateresa Sartori. Cronache, 2019. Courtesy dell’artista e Galleria Doppelgaenger. Ph. Michele Sereni
Il tempo del suono. Onde, 2019. Courtesy dell’artista, Galleria Michela Rizzo e Galleria Studio G7. Ph. Michele Sereni